Paolo
Cugini
Che
cosa significa per questi bambini la celebrazione della prima comunione? Che
cosa significa per noi, comunità cristiana? È questa la domanda importante che
rivolgiamo alle letture e alla quale cerchiamo una risposta che possa
contribuire al nostro cammino di fede. Concentrerò la riflessione
esclusivamente sulla parola: comunione. Credo che in un contesto culturale
sempre più individualista, che incentiva una vita di solitudine già visibile
nell’infanzia, è importante riflettere sulla proposta del Vangelo che oggi
questi bambini accolgono come positiva per loro. Che cosa s’intende, allora per
comunione e perché è così importante?
La
comunione è la situazione esistenziale che i discepoli e le discepole di Gesù
realizzano dopo la sua morte e resurrezione. Dice il testo degli Atti degli Apostoli
nel passaggio in cui si riassume la vita della prima comunità che: “erano perseveranti
nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione” (At 2,42). I membri della
prima comunità cristiana avevano capito che il segno evidente del discepolato era
la comunione, perché riproduceva lo stile comunitario vissuto assieme a
Gesù. Infatti, Gesù ha annunciato il Regno dei cieli, lo stile di vita fondato
sull'amore, la giustizia e la pace non da solo, ma assieme a un gruppo di
uomini e di donne con i quali ha tessuto una profonda relazione di amicizia. “Non
vi chiamo servi ma amici” (Gv 14,): sono queste le parole che Gesù ha detto ai
suoi discepoli e alle sue discepole nel contesto dell'ultima cena, parole che
riassumono il senso del suo stare in mezzo a loro. Ha donato se stesso, la sua
parola, il suo pensiero, il suo modo di essere, la sua ricerca costante della
giustizia e lo ha fatto in un contesto di amicizia virgola di comunione. Ecco
perché, proprio nel contesto dell'ultima cena, dopo aver lavato loro i piedi
dirà: “da questo sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni
per gli altri” (Gv 13,35).
La
vita di comunione all'interno di una comunità cristiana è importante non solo
perché riproduce lo stile di vita proposto da Gesù, ma anche e soprattutto
perché fa risplendere nel mondo la presenza di Dio, cioè il mistero
racchiuso nella Santissima Trinità, la comunione delle tre persone: il Padre,
il Figlio e lo Spirito Santo. Tutte le volte che produciamo uno stile di vita
individualista, tutte le volte che creiamo problemi all'interno della
comunità e siamo strumenti di divisione, non si tratta semplicemente di una
questione sociale, ma in una prospettiva di fede, stiamo ostacolando la
possibilità al mondo di vedere riflessa nella storia l'immagine di Dio, che si manifesta come comunione. Ecco perché tutto lo sforzo che facciamo per
fare in modo che nella comunità la comunione sia visibile e stabile è in
funzione di Dio.
Senza
dubbio dal punto di vista umano la comunione non si raggiunge in modo
spontaneo, ma esige un costante lavoro, una costante attenzione. Se ci pensiamo
bene, ci sono alcuni atteggiamenti che ci aiutano a vivere la comunione nella
comunità. Il primo di questi è la capacità di rinunciare alla propria ragione,
a fare un passo indietro, a non insistere su dei punti che possono provocare
rotture, contrasti insanabili. Se l'obiettivo della vita di comunità e la
comunione, perché fa risplendere l'immagine di Dio nel mondo, allora è
importante imparare a rinunciare alla propria ragione, a considerare la
comunione come un dono più importante della mia ragione. Quando i contrasti
sono visibili nella comunità e si arriva allo scontro diventa importante
apprendere a chiedere perdono. Gesù ci dice nel Vangelo che dobbiamo imparare a
perdonare i nostri fratelli e le nostre sorelle settanta volte sette, cioè
sempre. Il perdono è il cemento di una comunità, che desidera ogni giorno
camminare nella comunione.
C'è
un altro aspetto che è importante considerare in questa riflessione sul tema
della comunione. Non è, infatti, solamente in questione la dimensione religiosa
della vita. La comunione rivela anche il senso del cosmo, dell'intero
universo. Ce lo ha ricordato qualche anno fa proprio Papa Francesco quando
nell'enciclica Laudato sii ci ricordava che tutto è in relazione, che la
connettività rivela la cooperazione di tutti con tutti: tutto è
interconnesso. L'universo, dunque, non è la somma di tutti gli oggetti
esistenti, ma l'articolazione di tutte le reti di relazioni e connessioni tra
di loro. Tale capacità di stabilire relazioni, e conseguentemente di
creare unità, chiamate campi, a costituire lo spirito dell'universo, il quale è
il fondamento della relazionalità di tutto con tutto e il responsabile
dell'unità del tutto. Il principio della relazionalità è sempre lo stesso. Questa
cosmovisione ci obbliga a pensare alla realtà non come una macchina ma come un
organismo vivo. Esistono due tendenze in ogni essere: una ad autoaffermarsi
per evitare di scomparire e l'altra a integrarsi in un tutto più grande.
Quando viviamo in comunione collaboriamo alla vita del cosmo e permettiamo all'immagine di Dio di manifestarsi nel mondo.
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