XVII
DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C
Lc
11,1-13
Paolo
Cugini
Insegnare
a pregare è uno dei capisaldi del cammino spirituali, del rapporto tra Maestro
e discepolo. Del resto, la richiesta di uno dei discepoli prende proprio spunto
dall’esperienza dei discepoli di Giovanni Battista. Siamo quindi, nel contesto
del discepolato, di coloro che sono alla ricerca di un senso della vita ed
hanno già operato delle scelte concrete, hanno già posto la loro vita nella
direzione per trovare un cammino spirituale. Altro dato importante, sempre a
livello d‘introduzione al tema è che, con la preghiera, si entra nell’ambito di
una richiesta che dice di un bisogno di natura spirituale, che non soddisfa,
dunque, esigenze materiali. Sono sottolineature che orientano la lettura e l’interpretazione
del testo nel nostro contesto culturale, che fa fatica non solo a ritenere
importante la dimensione spirituale, ma anche a ritenere di avere bisogno di
qualcosa e di qualcuno.
Gesù
si trovava in un luogo a pregare. Gesù pregava e, nel
Vangelo di Luca troviamo spesso questa attitudine di Gesù. Gesù quando prega
non si trova mai nel tempio, nella sinagoga, in cui lui va ad insegnare, ma in
spazi isolati, all’aperto, a contatto con la natura. Del resto, ce lo dirà nel
Vangelo di Giovanni che, i veri adoratori, adoreranno il Padre in Spirito e
verità, che non c’è bisogno di un luogo specifico. Recuperare questa dimensione
personale e spirituale della preghiera è importante, perché ci aiuta ad uscire
dalla logica della formula per entrare in quella della relazione.
Quando
pregate, dite: "Padre. Gesù non vuole degli
adulatori e per questo non vuole che ci si diriga a Lui con dei titoli
altisonanti come: altissimo, eccelso, onnipotente, onnisciente, perché sono titoli
che non rivelano il vero suo volto e sono frutto della ricerca filosofica e
sapienziale, e non del dono ricevuto da Lui. Chiamare Dio con il titolo di
Padre significa che la relazione che Dio desidera instaurare con noi è di
paternità e, quindi, filiale. Dio non vuole dei devoti, ma dei figli. Padre,
nella cultura dell’epoca, è colui che trasmette al figlio tutta la propria vita
e quindi si riconosce in Dio Padre la fonte della vita.
Sia
santificato il tuo nome. Come si comprende dal testo, più che
una formula, la preghiera che Gesù insegna ai discepoli indica un cammino, uno
stile di vita. Padre, sia santificato il tuo nome. Il verbo è all’aoristo
passivo e ciò significa che il Padre viene santificato con lo stile di vita di
chi lo invoca. C’è un modo di vivere che santifica il nome del Padre, il quale
è santificato, riconosciuto come tale, quando il discepolo vive ciò che ascolta.
L’inizio della preghiera che Gesù insegna, è una richiesta di aiuto del
discepolo, della discepola per il cammino in cui è entrato/a.
venga
il tuo regno. Non si tratta di uno spazio politico, di
un’esigenza conforme alle logiche del mondo. Il Regno del Padre è stato reso
visibile dall’azione del Figlio che ha, come dice il salmo; aperto i cieli ed è
sceso. Gesù ha portato il cielo sulla terra. Di che cosa si tratta, allora?
Come si è manifestato il Regno di Dio in Gesù Cristo? Attraverso una vita di
amore disinteressato e gratuito, visibile nelle relazioni di fiducia che ha
saputo instaurare. Le qualità del regno di Dio sono la giustizia, la pace, l’uguaglianza,
tra le altre. Chiedere nella preghiera, che venga il regno di Dio, significa
non una proiezione dopo la morte, ma il desiderio di diventare protagonisti di
questo regno, collaborando in ogni momento alla sua realizzazione.
dacci
ogni giorno il nostro pane quotidiano. Per questo motivo, per
continuare nella nostra vita quotidiana l’opera iniziata da Gesù, abbiamo
bisogno di un alimento che ci sostenga. Questo pane che ci sostiene nella vita
quotidiana è Gesù stesso, la sua Parola di vita che ci alimenta e che assimiliamo
affinché giungiamo a pensare e a discernere con le stesse modalità di Gesù. Il
pane quotidiano che ci aiuta ad uscire dalle logiche del mondo, è la nostra
relazione con i poveri, perché in loro vediamo Gesù e con loro e per loro
condividiamo i nostri beni. Infine, è l’eucarestia il nostro alimento, perché è
proprio nel contesto eucaristico che Gesù si dona come alimento per trasformare
tutta la nostra vita nella sua.
e
perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro
debitore. Qui si tratta di debiti materiali. La comunità di
Cristo è una comunità di fratelli e sorelle, che condividono ciò che hanno. Gesù
lega la richiesta del perdono dei peccati non con un atto cultuale, ma in
relazione allo stile di vita della comunità cristiana che, in nome dell’amore
ricevuto e dell’esempio di Gesù, ha imparato a condividere e a perdonare –
condonare – i debiti materiali dei fratelli e delle sorelle. Ciò significa che
la richiesta del perdono dei peccati, implica uno stile di vita nella comunità
in cui condividiamo le nostre cose materiali, al punto da condonare i debiti
che qualcuno ha nei nostri confronti.
Non abbandonarci nella tentazione. A che cosa si riferisce Gesù quando dice queste parole? Come coglie la comunità questa indicazione? Di che prova si tratta? Probabilmente il riferimento storico è la prova della persecuzione, molto forte nei confronti dei cristiani nei primissimi decenni dopo la morte e resurrezione di Cristo. Tentazione che ha visto come prime vittime i discepoli e, tra loro, il capo, vale a dire Pietro. È la tentazione di abbandonare il campo quando ci sentiamo soli nella testimonianza e andiamo in confusione, perché ci sentiamo in minoranza, come abbandonati. La richiesta della preghiera è di poter continuare a sentire la presenza del Signore anche in questi momenti di solitudine, per vincere la tentazione di mollare tutto, di uscire dalla comunità.