Paolo Cugini
Noi abbiamo un tesoro in
vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene
a Dio, e non viene da noi. In tutto, infatti, siamo tribolati, ma non
schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non
abbandonati; colpiti, ma non uccisi, portando sempre e dovunque nel nostro
corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro
corpo (2 Cor 4, 7-9).
Riflessione
realista di Paolo sulla condizione umana del discepolo. Il dono dell’amore di
Dio che viene riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo (cfr.
Rom 5,5), è posto in un contesto di grande fragilità, che è la nostra umanità. C’è
un dono immenso che ci viene donato e che corre costantemente il rischio di
essere perduto, perché siamo fragili, delicati, perché la nostra umanità è
attratta dal negativo e fa fatica a rimanere fedele. Vivere conforme al dono ricevuto
provoca tensioni interne ed esterne. È certo, però, che questo dono straordinario
ricevuto da Dio, quando è accolto con fede, pur nella consapevolezza della
nostra fragilità, non rimane inerme, ma produce frutto di giustizia, pace,
misericordia, condivisione. Il dono ricevuto ci rende capaci di cose
straordinarie, che esulano dalla logica fragile della nostra umanità. Per
questo diventa visibile nella vita del discepolo che è intervenuto qualcosa di
straordinario che gli ha permesso di compiere pensieri e azioni che non possono
essere il frutto della propria umanità. In questo modo il discepolo, la
discepola, diviene segno della presenza dell’amore di Dio nel mondo.
Si avvicinò a Gesù la
madre dei figli di Zebedeo con i suoi figli e si prostrò per chiedergli
qualcosa. Egli le disse: «Che cosa vuoi?». Gli rispose: «Di' che questi miei
due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo
regno». Rispose Gesù: «Voi non sapete quello che chiedete… Tra voi non sarà
così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole
essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell'uomo, che non
è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto
per molti (Mt 20, 20-2. 27-39).
Questi
versetti di Matteo spiegano il contenuto delle affermazioni di Paolo commentate
poco sopra. Il vaso di creta della nostra umanità si manifesta con il desiderio
di prevalere sugli altri, con l’ambizione umana che non tiene conto del cammino
dei fratelli e delle sorelle. C’è un desiderio di grandezza modellato dal
nostro istinto di sopravvivenza, che ci spinge inconsapevolmente a voler
emergere a scapito di chi ci sta attorno. La richiesta della madre dei figli di
Zebedeo esprime questa realtà umana e, in questa prospettiva, rientra in una
logica umana, di sopravvivenza. Per questo provoca l’indignazione degli altri discepoli,
perché anche loro coltivano nel proprio cuore le stesse ambizioni di supremazia
sugli altri. Tra voi non sarà così;
ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere
il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Gesù mostra ai discepoli la straordinaria
novità del Vangelo, che va dalla parte opposta dell’umanità spinta dall’istinto
di sopravvivenza. C’è un principio di vita nuova che Gesù pone dentro la
storia: è il principio dell’amore, che si manifesta nel desiderio che l’altro
viva. Nella logica del Regno di Dio instaurato da Cristo è primo chi si pone a
servizio degli altri, è grande che si umilia. L’esempio di questa nuova umanità
è lo stesso Gesù: Come il Figlio dell'uomo, che non è venuto per farsi
servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti. Il
frutto, allora, del dono di amore che riceviamo da Dio nei sacramenti, è che
rende capace la nostra umanità di passare da una situazione di egoismo per una
di altruismo; dalla chiusura in noi stessi, all’apertura verso gli altri. Quando
questo avviene significa che il Regno di Dio è in mezzo a noi, in noi.
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