sabato 31 luglio 2021

IL PANE DELLA VITA

 



DOMENICA XVIII B

(Es 16, 2-4.12-15; Sal 77; Ef 4, 17.20-24; Gv 6,24-35)

Paolo Cugini

 

Continua il discorso di Gesù sul pane e il vino e quindi, una riflessione sul significato dell’Eucarestia. Domenica scorsa i primi versetti del capitolo sei ci ricordavano come la struttura umana sia caratterizzata dal bisogno guidato dall’istinto e come diventi necessario riconoscerlo, per non lasciarsi dominare ed entrare in un cammino di libertà Oggi il testo continua approfondendo il significato della ricerca.

Il brano inizia con la folla che cerca Gesù. Questo dovrebbe essere positivo: in fin dei conti è questo il senso della vita di fede: cercare il Signore. In realtà non è proprio così e Gesù riprende la folla:

In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati.

C’è un cercare Gesù che non è positivo, perché è mosso dal bisogno materiale, dal desiderio, dunque, di soddisfare se stessi. Quando i bisogni mossi dall’istinto prevalgono ancora sulla nostra vita, condizionano anche la ricerca religiosa.

voi mi cercate non perché avete visto dei segni.

Gesù compie un gesto, la moltiplicazione o condivisione dei pani e dei pesci, che contiene un significato che va ricercato, interpretato, compreso. Se non si sono fatti dei passi nella direzione della comprensione profonda del senso della nostra vita, il rischio è di rimanere ad un livello superficiale dell’esistenza, al livello degli istinti e di muoverci perché sollecitati dai bisogni. Gesù pone degli eventi nella storia dell’umanità e anche nella nostra esistenza, che necessitano di un cammino previo, quel cammino di ricerca di senso che sollecita la dimensione interiore, la vita spirituale. È a questo livello di profondità che Gesù ci vuole condurre per poter essere in grado di comprendere il suo messaggio. Ancora una volta: rischio di trascorrere tutta la vita senza capire nulla della proposta di Gesù, per il semplice fatto che non ci siamo mai dati il tempo di uscire dalla sfera istintuale per entrare in quella della vita interiore. Rischio di una vita religiosa materiale, che risponde semplicemente a dei bisogni istintuali, più che ad una ricerca di Dio. Il rischio è di entrare in quel cammino religioso che non è altro che la massima espressione dell’ateismo, perché invece di porsi in ascolta della parola di Dio per modificare la propria vita e seguirlo, vuole piegare Dio stesso ai propri capricci, ai propri bisogni. Ed è questo che fa la folla protagonista della storia di oggi.

Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo.

Datevi da fare: significa che la ricerca del cibo che dura per sempre, non è qualcosa di spontaneo, di naturale, ma che va ricercato con cura, pianificato ogni giorno. La vita spirituale, la cura di se, della propria vita interiore richiede intelligenza, disponibilità, tempo, il desiderio di cambiare, di conformare la nostra vita a quella di Gesù. Curare la propria vita interiore significa disponibilità al cambiamento, disponibilità a lasciarsi mettere in discussione dal Vangelo per orientare la nostra vita sui passi di Gesù e abbandonare quelli che il nostro egoismo vuole che compiamo.

Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato»

Passare dal piamo materiale della vita a quello interiore e spirituale, per fare in modo che lo spirito orienti e guidi la materia, non è facile e non è cosa da poco. Lo dimostra il colloquio di Gesù con la folla. La domanda della folla è sul piano del bisogno: chiedono che cosa devono fare. Gesù li riporta sul campo della fede: l’unica opera da compiere è la fede, credere in Gesù. La fede è il dono di Dio che trova spazio in colui, in colei che apre la propria vira alla ricerca interiore. In Gesù, vero uomo, è visibile l’armonia tra la dimensione interiore e materiale della vita. Lui mangia, dorme, come tutti, ma questi dati materiali non sono l’essenza della sua esistenza che è, invece, tutta proiettata alla ricerca delle cose di Dio, del Padre-Madre.

Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!

Cammino interiore come percorso che conduce a riconoscere la presenza di Gesù nella storia, una presenza che riempie l’esistenza di senso e la orienta al bene, alla pace, all’amore. 

domenica 25 luglio 2021

COS'E' QUESTO PER TANTA GENTE?

 



DOMENICA XVII/B

(2 Re 4,42-44; Sal 144; Ef 4,1-4; Gv 6,1-15)

Paolo Cugini

 

     È il bisogno che muove verso qualcuno o qualcosa percepito come capace di soddisfarlo. Il bisogno è l’aspetto antropologico della struttura religiosa e, per questo non va eliminato, ma continuamente accompagnato. Nel Vangelo di oggi le folle cercano Gesù perché vedevano i segni che faceva sugli infermi. C’è un bisogno di cura, una situazione di malattia, che provoca il movimento verso colui che sembra in grado di curare. Questo è il primo livello di bisogno che deve provocare una domanda nella vita religiosa, in coloro che entrano in una chiesa nel giorno di domenica. “Perché sono entrato? Di che cosa ho bisogno? In che cosa mi può aiutare Gesù?”. Sono queste domande semplici, ma necessarie, che provocano una riflessione sulla nostra situazione attuale, per non permettere all’abitudine di prendere il sopravvento. È terribile abituarsi a Dio, ai suoi riti. È scandaloso entrare in una chiesa alla domenica per il semplice fatto che si è sempre fatto così. Di che cosa abbiamo bisogno? Di che cosa abbiamo fame? Dove siamo abituati a soddisfare i nostri bisogni? Questa è un’altra domanda centrale. I bisogni ci sono, fanno parte della struttura umana. Occorre imparare a riconoscerli, per poterli dominare, per fare in modo che non siano loro a guidare la nostra vita, a trascinarla dove l’istinto vuole. È questo livello di comprensione che entra in gioco la vita spirituale, la preghiera. È proprio a questo livello che entra in gioco l’insegnamento di Gesù, colui che, prima d’iniziare l’attività pubblica, ha dominato le tentazioni, dimostrando tutta la forza della sua vita interiore. Non basta avere coscienza dei propri bisogni, che è già un bel passo nel cammino. Occorre capire come siamo abituati a soddisfarli e come possiamo imparare a dominarli per essere liberi, per orientarli verso un obiettivo che abbiamo scelto.

“Allora Gesù, alzati gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?» (Gv 6).

Non è solo la folla bisognosa che va verso Gesù, ma allo stesso tempo è lui stesso che va verso di loro, perché vede il loro bisogno e conosce in che modo ne sono schiavi. La folla ha il problema di una fame fisica, che non riesce a saziare a causa della povertà, della mancanza di condizioni. Gesù viene verso di noi per aiutarci a portare i nostri bisogni ad un livello di profondità maggiore, per cogliere di che cosa sono il segno, per scoprire in definitiva, di che cosa abbiamo fame davvero. Per compiere questo cammino che va dalla fame fisica a quella interiore occorre passare attraverso alcune tappe.

“C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente? Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano”.

La prima tappa che Gesù propone ai suoi discepoli e indirettamente alle folle, consiste nel passare dal considerare il proprio bisogno come materiale e da soddisfare in modo individuale, ad uno sguardo più alto, trascendente e comunitario. Non siamo soli con la nostra fame. Non c’è solo il fratello e la sorella che hanno fame, ma c’è anche Qualcuno che può aprirci gli occhi per incontrare le risposte a questa fame. La Parola e l’azione di Gesù apre alla speranza, alla possibilità di trovare una soluzione, a non disperare, a non considerare la situazione come inesorabile, ma apprendere a guardare in alto, a portare il proprio bisogno dal piano orizzontale a quello verticale.

“Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!». Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo”.

C’è la religione della pancia e quella del cuore. Passare da una ricerca della chiesa e di Dio solo per soddisfare un bisogno immediato, ad un cammino di scoperta di se stessi, della propria interiorità: è questo il senso della presenza di Gesù sulla terra. Gesù è venuto per aiutarci a non rimanere schiacciati dal peso della vita materiale, ma di apprendere a guardare più in profondità, per scoprire che c’è dell’altro. Questo cammino è possibile solamente seguendo il Signore che abbandona la folla per cercare la solitudine. È nell’interiorità che scopriamo chi siamo e dove possiamo andare. È nella vita interiore che scopriamo che il bisogno materiale è segno di un bisogno più profondo, che va ascoltato perché dice qualcosa di noi e della vita.

 

 

giovedì 22 luglio 2021

MARIA MADDALENA, L'APOSTOLA DEGLI APOSTOLI

 




"Mi alzerò e farò il giro della città per le strade e per le piazze; voglio cercare l'amore dell'anima mia (Ct 3,2). Qualcuno si è chiesto come mai nella Bibbia si trova un libro come il Cantico dei Cantici che, come sappiamo, racconta l’amore di due ragazzi, libro ricco si espressioni erotiche, molto forti. Interessante che qualche versetto di questo libro venga proposto proprio oggi, nel giorno in cui la Chiesa celebra la memoria di Maria Maddalena, la grande discepola del Signore, colei che lo ha amato con tutta se stessa. Questa è già un’indicazione importante sul cammino di fede, che prima di essere un’esperienza religiosa, è la proposta di un cammino di amore coinvolgente, capace di cambiare tutta la vita. Cercare il Signore come una innamorata fa con l’innamorato, pensare sempre e solo a Lui: questa è la fede. Sentire il desiderio di Lui, della sua Parola; sentire forte il desiderio di vederlo, toccarlo, di stare con Lui: sono questi i sentimenti tipici dell’innamoramento che dovrebbero contraddistinguere il cammino cristiano. Non c’è nulla in coloro che amano, di forzato, di obbligatorio, ma tutto è mosso da un desiderio profondo dell’altro, dell’amato.

“Fratelli, l'amore del Cristo ci possiede… Se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove” (2 Cor 5, 14.17).

Parole d’amore per descrivere la relazione con il Signore: anche Paolo è su questa linea. Del resto non può essere che così. È il Signore che viene al nostro incontro per attirarci con lacci d’amore; non quindi, con dottrine e forzature, che non convertono nessuno. È l’amore che ci trasforma, ci fa essere creature nuove, capaci di cose nuove.

“Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l'hai portato via tu, dimmi dove l'hai posto e io andrò a prenderlo». Gesù le disse: «Maria!». Ella si voltò e gli disse in ebraico: «Rabbunì!» - che significa: «Maestro!” (Gv 20, 19).

Mamma mia! Ma quanto amore c’è in questi versetti?! Come Maria amava Gesù: impressionante! È Maria Maddalena la prima ad incontrare il risorto e a ricevere da Gesù stesso il mandato di annunciare la notizia agli altri discepoli. Per questo motivo papa Francesco nel 2016 l’ha dichiarata Apostola degli Apostoli. La Maddalena godeva di grande prestigio nella comunità primitiva. Era spesso citata dai Padri della Chiesa e veniva consultata, perché ritenuta la persona più fedele al messaggio di Gesù, colei, cioè, che aveva accompagnato Gesù cogliendone in profondità il suo massaggio. Questo aspetto lo si deve soprattutto al fatto che Maria segue Gesù dopo essere stata liberata da sette demoni, che potremmo interpretare come una malattia grave, una situazione particolarmente negativa, che ha permesso di vedere nella cura di Gesù un’autentica liberazione. Maria Maddalena seguendo Gesù non con dei secondi fini politici, come sappiamo avevano alcuni dei suoi discepoli, ma come colei che desidera comprendere e vivere il messaggio sorprendente di amore annunciato e vissuto da Gesù.

 

mercoledì 21 luglio 2021

ISTINTO E VITA INTERIORE







 Paolo Cugini 

 

“Nel deserto tutta la comunità degli Israeliti mormorò contro Mosè e contro Aronne. Gli Israeliti dissero loro: «Fossimo morti per mano del Signore nella terra d'Egitto, quando eravamo seduti presso la pentola della carne, mangiando pane a sazietà! Invece ci avete fatto uscire in questo deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine” (Es 16, 2-3).

È l’istinto che domina la struttura umana e ne detta i comportamenti quotidiani. L’istinto che mette immediatamente in movimento la persona non appena c’è carenza di qualcosa. Ansia, angoscia, disperazione, paura sono emozioni che nascono in contesti in cui l’esistenza sembra minacciata e l’istinto spinge la persona a trovare una soluzione immediata. In queste circostanze entra in gioco la spiritualità, la vita interiore, che lavora nella direzione opposta, aiuta la persona a concentrarsi sugli obiettivi, a guidare l’istinto, a dominarlo, ad umanizzarlo.

Senza vita interiore non c’è umanità, che si traduce nel dominio di s’è, nella capacità di attendere, di azionare l’intelligenza, la progettualità, di incanalare le forze verso obiettivi. Senza la vita interiore l’esistenza si appiattisce sulla superficie e la persona diviene vittima di se stessa, dei suoi stessi impulsi. È la vita interiore che aiuta la persona a guardare lontano, a cercare un orizzonte verso cui vedere spostare la propria esistenza, scrollarla dal piano puramente materiale, che è il livello istintuale. L’istinto ha una sua positività perché allerta la persona sulle necessità immediata, la mette in moto. Dal canto suo la vita interiore riesce ad incanalare l’istinto verso un orizzonte di vita e quindi a dominare la paura e tutte quelle emozioni che tendono a disequilibrare la persona, conducendola sull’orlo del disastro esistenziale.

 I versetti dell’Esodo riportati sopra, che narrano della mormorazione del popolo d’Israele che nel deserto si trova senza cibo è una bellissima metafora della vita umana, della forza dell’istinto di sopravvivenza, della necessità di attingere alla vita interiore per incanalare gli istinti, orientarli nelle scelte maturate nel tempo.

sabato 17 luglio 2021

IL SIGNORE E' IL MIO PASTORE

 



XVI DOMENICA/B

(Ger 23,1-6; Sal 23; Ef 2,13-18; Mc 6, 30-34)

Paolo Cugini

 

Cresciamo all’interno di relazioni di paternità e maternità per divenire noi stessi padri e madri. La paternità è, dunque, uno dei temi fondamentali della vita, con il quale dobbiamo fare i conti. Impariamo a conoscerci quando abbiamo qualcuno che ci ricorda chi siamo, ci aiuta a prendere in mano la nostra vita. Non solo, ma impariamo a vivere quando c’è qualcuno che ci pone dinanzi le leggi della vita, ci aiuta a scoprire che ci sono dei doveri oltre che dei piaceri, ci sono delle responsabilità da assumere, che esigono scelte, decisioni, presenza.

Guai ai pastori che fanno perire e disperdono il gregge del mio pascolo. Oracolo del Signore (Ger 23, 1).

Il profeta Geremia pone il dito su uno dei problemi fondamentali che hanno caratterizzato il cammino del popolo d’Israele. Ci sono state delle epoche in cui il popolo ha vissuto senza pastori, senza guide, perché color che avevano il dovere di pascere il gregge, non pensavano altro che agli affari propri. Quando ciò avviene, a soffrire è il popolo perché senza guida corre un duplice pericolo. Da una parte, infatti, può divenire preda di persone senza scrupoli, che usano, o fanno male al popolo. Nella storia d’Israele questa situazione è avvenuta diverse volte. Pensiamo a quando era schiava in Egitto, oppure in esilio a Babilonia. La mancanza di guide lascia il popolo in preda dei nemici. Dall’altra, senza pastore il popolo rischia di divenire ribelle, intollerante alle leggi, autoreferenziale. È quello che può capitare ad un giovane che cresce senza nessuno che lo aiuti a comprendere il senso della vita, che è fatta di diritti, ma anche di doveri; che ci sono delle cose che ci spettano, ma altre che richiedono una docilità, il rispetto, l’educazione, perché non siamo soli al mondo e i nostri gesti e le nostre scelte hanno delle ripercussioni sulla vita di tutti. Non veniamo al mondo da soli, ma anche non viviamo in un’isola. Per questo, ancora una volta, diventano fondamentali le figure che aiutano un individuo a crescere, a divenire persona adulta capace di stare al mondo in convivialità con gli altri.

Gesù nel Vangelo assume la paternità spirituale di un gruppo di uomini e donne, nei confronti dei quali cerca di trasmettere degli insegnamenti sul senso della vita, sul modo di vivere e assumere la propria dignità umana, soprattutto, sul modo di realizzare l’essere ad immagine di Dio. Il primo passo di questo cammino alla sequela del Signore consiste nello spogliarsi dei falsi insegnamenti, le ideologie le dottrine apprese con l’imposizione, più che con la docilità e l’amore. Ecco perché, la prima volta che vengono invitati a predicare, vale a dire, ad aiutare altre persone ad entrare in una logica di relazione d’amore, valorizzando la persona più che le ideologie, non ci riescono.

In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po' (Mc 6,30s).

Gesù non aveva detto ai discepoli d’insegnare, ma di proclamare la parola (Mc 6,12s): sono due cose molto diverse. Predicare la Parola esige, conforme all’indicazione di Gesù ai discepoli, la condivisione con la vita delle persone, una sobrietà evangelica, la possibilità di aiutare le persone a liberarsi delle false dottrine che impediscono l’accoglienza della Parola. Ed è quello che fa Gesù, che annuncia il Regno di Dio, la venuta attraverso di Lui di un nuovo modo di stare al mondo con gli altri, non dominato dall’egoismo e dall’istinto di sopraffazione sugli altri, ma dall’amore gratuito e dalla condivisione, vivendo con i suoi discepoli e discepole. Il Vangelo non è una dottrina, un insieme di concetti da apprendere a memoria, ma uno stile di vita da interiorizzare e vivere. In questo senso Gesù per i discepoli e le discepole è stato un pastore buono, che non ha insegnato con autorità e durezza una dottrina, ma si è messo in mezzo a loro, vivendo con loro, mostrando con l’esempio ciò che voleva dire. Si è pastori, padri e madri, conformi all’insegnamento di Gesù, quando ci si mette in gioco, quando si condivide il vissuto quotidiano. Per questo, con il salmo che abbiamo ascoltato e con cui abbiamo pregato possiamo dire: Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla. Su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce. Rinfranca l'anima mia (Sal 22).

 

 

venerdì 9 luglio 2021

ANDATE PER LE STRADE

 



DOMENICA XV/B

(Am 7,12-15; Sal 84; Ef 1,3-14; Mt 6, 7-13)


Paolo Cugini

 

Che cosa fa Gesù dinanzi all’insuccesso vissuto nella sinagoga, di cui abbiamo ascoltato la narrazione domenica scorsa? La risposta alla domanda la troviamo nel brano di oggi e diventa importante anche per il nostro cammino di fede. L’insuccesso, infatti, è parte integrante di coloro che intendo impostare la loro vita sui passi di Gesù. Il cammino di fede alla sequela del Vangelo, se da una parte è affascinante per la proposta di vita nuova e di relazioni autentiche che contiene, dall’altra conduce a scontrarsi con il mondo circostante, spesso e volentieri anche con amici e parenti. Per questo ascoltiamo il Vangelo, perché quello he è accaduto a Gesù, quello che è narrato nei vangeli, non sono solamente eventi passati, ma hanno una forza paradigmatica anche per l’oggi della comunità. C’è una diversità radicale tra la proposta di Gesù e quello che il mondo ha costruito a partire dall’istinto di sopravvivenza che domina le scelte e imposta l’esistenza degli uomini e delle donne di ogni tempo. Che cosa fa allora Gesù dinanzi all’insuccesso nella sinagoga e alla resistenza alla sua proposta? Cambia di strategia e, in questo cambio, coinvolge i suoi discepoli.

“Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri”.

Per annunciare il Vangelo non c’è bisogno di un diploma, perché non si tratta di proclamare semplicemente delle parole, ma di testimoniare un modo nuovo di vivere, di stare al mondo. Lo stesso Gesù, infatti, non ha aperto una scuola, ma ha chiamato a sé delle persone, degli uomini e delle donne che vivessero con lui, condividessero il suo modo di vivere, le sue scelte. Le parole che proclamano i discepoli, non sono delle teorie o delle teologie, ma la narrazione di ciò che hanno visto vivendo con Gesù, quello che hanno capito. Questo nuovo stile di vita non si apprende sui libri. Per questo non trova spazio in coloro che hanno la testa piena di dottrine religiose, teologie strampalate, riti e culti rigidi. Gesù dona ai discepoli il potere di liberare le persone da tutto ciò che impedisce al suo Vangelo di entrare e trasformare le persone. Per spiriti impuri s’intende, allora, proprio quel materiale ideologico, quelle dottrine imparaticce che, mentre producono un senso di sicurezza, non permettono al nuovo di farsi strada.

“E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient'altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche”.

 Il Vangelo per poter essere seminato e portare frutti di amore e di giustizia dev’essere accompagnato con delle scelte che lo rendano visibile. La vita semplice, sobria, in altre parole la povertà evangelica, è il segno visibile che deve accompagnare i discepoli e le discepole del Signore. Su questo punto spesso la Chiesa ha dato scandalo per la sua opulenza e ricchezza. Quando dico Chiesa dico anche famiglie cristiane, comunità parrocchiali, santuari, cattedrali. La povertà evangelica oltre ad essere il segno dell’accoglienza della Parola di Gesù che riempie a tal punto la vita e l’anima da rendere superfluo tante cose, diviene il segnale visibile di una vita in cui Dio avvero è il Signore e non altro.

«Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro»

Si annuncia il Vangelo entrando nella vita della gente, lasciandosi coinvolgere dal vissuto quotidiano di coloro a cui si vuole rivolgere il messaggio di Gesù. Del resto, è lo stesso Signore che ha annunciato il Regno dei cieli camminando per le strade d’Israele, entrando nelle case della gente, entrando in contatto con tutti coloro che desideravano incontrarlo. Ciò significa che difficilmente la forza Vangelo di Gesù passa attraverso una cattedra di teologia o da un insegnamento dottrinario. Il Vangelo esige vita, condivisione di vissuti, il coinvolgimento esistenziale ed emotivo: è roba per gente che ama, che si appassiona e che, in definitiva, è disposta a dare la vita per il Signore come lui ha fatto per noi. Del resto, è proprio questo che celebriamo in ogni santa Messa: un corpo spezzato per tutti e un sangue sparso per noi.

 

 

 

 

sabato 3 luglio 2021

LA MISSIONE DI GESU': LIBERARE IL MONDO DALLA RELIGIONE

 


DOMENICA XIV/B

(Ez 2, 2-5; Sal 122; 2 Cor 12,7-10; Mc 6,1-6)

Paolo Cugini

 

La liturgia di oggi ci propone una riflessione su alcuni temi interconnessi, che riguardano la difficoltà che Gesù ha incontrato nel suo ministero e, in generale, la difficoltà che incontrano tutti coloro che desiderano orientare spiritualmente la propria vita, prendendo Dio e la Sua Parola come punto di riferimento. È una difficoltà che non riguarda un popolo o un periodo storico specifico. Si tratta, infatti, di un problema che riscontriamo in ogni epoca e in ogni tempo. Certo che fa specie la resistenza che ha dovuto registrare Gesù nei confronti della sua proposta, soprattutto da coloro che tale proposta avrebbero dovuto accoglierla, vale a dire le persone religiose.

“Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose?(Mc 6,2). Nel Vangelo di Marco, Gesù entra nella sinagoga tre volte. Nella prima è stato interrotto. Nella seconda è andata peggio perché cercano di ammazzarlo perché Gesù ha curato una persona in giorno di sabato, suscitando le ire dei farisei. Per Gesù il bene della persona viene prima dell’osservanza della legge, anzi l’osservanza delle leggi di Dio sono a servizio del bene delle persone. La terza volta corrisponde all’episodio del vangelo di oggi e ci sono tutte le premesse positive di un incontro che dovrebbe andar bene per il fatto che andrà a Nazareth, che è il suo paese di nascita, tra i suoi parenti e amici. Eppure anche qui Gesù trova una forte resistenza, perché il suo insegnamento non è come quello degli scribi che ripetono delle formule ed eseguono dei rituali prestabiliti sempre allo stesso modo. Al contrario, l’insegnamento di Gesù è la proposta di una nuova relazione con Dio, che non è basata sull’osservanza delle sue leggi, ma sull’accoglienza del suo amore, che esige relazioni nuove con i fratelli e le sorelle della comunità. È proprio questa novità che crea stupore tra coloro che sono nella sinagoga, al punto dal mettere in discussione il suo insegnamento. “Da dove gli vengono queste cose?” Domanda che dice tutto lo scetticismo nei confronti delle parole di Gesù. Viene messo in discussione la provenienza divina e la ricerca dell’ambiente di provenienza della sua dottrina indicata come stregoneria. Il riferimento, infatti, alle mani – i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani – indica una provenienza magica o addirittura di stregoneria e, di conseguenza, un’accusa pesante di impostore, truffatore, qualcuno che vuole ottenere l’attenzione della gente ingannandola con dei trucchi. Gli uomini della sinagoga, della religione del tempio rimangono incomodati dal modo gratuito e disinteressato dell’azione del Maestro Gesù, attento ai deboli, che fa spazio ai poveri. Tutto il contrario dei capi religiosi, interessati ai soldi, ad essere onorati dal popolo, che vestivano in modo lussuoso. Lo stile di Gesù, smaschera l’ipocrisia dei capi religiosi che, per difendersi, non hanno altro strumento che la maldicenza e la menzogna.

Non è costui…”. Anche se Gesù è nel suo paese e quindi è conosciuto, i capi religiosi non lo nominano, anzi lo insultano. Definendolo, infatti, il figlio di Maria, i capi religiosi stanno insinuando che Gesù, da un lato non è degno di suo padre e, dall’altro, che è un poco di buono. Mai in Israele un uomo viene definito come figlio della madre, ma sempre del padre, in virtù della cultura patriarcale che considerava l’uomo come il vero e autentico trasmettitore della paternità.

 Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua”. È questo il problema di fondo. Gesù, infatti, non s’identifica con il sacerdozio, che era dominante nella sua epoca. Gesù identifica la sua persona e la sua missione nella linea profetica, nel cammino di coloro che vivevano la religione, il rapporto con Dio non come un mestiere, o come un insieme di precetti da obbedire, ma come una profonda esperienza d’amore con il Mistero, che cercavano di trasmettere ai loro discepoli.

E lì non poteva compiere nessun prodigio”. La conclusione è terribile e molto triste. Dove c’è la religione, Gesù non può manifestarsi. Dove il rapporto con Dio è mediato da riti, dottrine e dogmi che non riescono a cogliere il bene reale delle persone, Gesù e il suo spirito non possono agire. Compito della Chiesa è, allora, quello di liberare gli uomini e le donne dalla religione, per aiutarli ad entrare in un rapporto profondo di fiducia con Dio, in uno stile di vita essenziale, semplice, segno autentico della presenza del Dio di Gesù Cristo nel mondo.

 

venerdì 2 luglio 2021

CHIAMATA?

 



Paolo Cugini

 

“In quel tempo, Gesù, vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì” (Mt 9,9). Bellezza e fascino della scelta personale. Difficoltà di vivere tutta la vita in corrispondenza ad una chiamata percepita che, con il tempo, si offusca, viene messa in discussione, perde di forza. Il problema, allora, diviene quello di rimotivare, di dare nuovi significati, di creare spazio per ascoltare il nuovo cammino che la chiamata esige. L’insoddisfazione esistenziale di colui che da anni cammina nella vocazione percepita, va ascoltata, perché è in quello spazio negativo che la voce del Mistero si manifesta. Insoddisfazione come luogo esistenziale personale e rivelativo, perché l’insoddisfazione nasce dalla propria esperienza, dal proprio vissuto, dal proprio modo di vivere la chiamata. Perché è molto bello e facile all’inizio il discorso della chiamata, della vocazione, perché s’inserisce nella stagione della vita fatta di entusiasmi, di ricerca di senso, di una direzione.

Questo “sentire” che si manifesta in alcune esperienze significative, che diventano tali per l’intensità della ricerca, con il tempo sfumano, si attenuano, si perdono. Anche perché, ed è bene ricordarlo, tutto il significato spirituale e mistico della chiamata e della risposta personale, viene posto e vissuto in un duplice contesto esistenziale. Il primo è quello ecclesiale, cioè della comunità, in cui vi sono persone, non abituate a dedicare troppo tempo all’anima e quindi esigono dal così detto chiamato una fedele e mera fedeltà ai riti. Chi ha imparato ad identificare la religione con la celebrazione dei riti, esige dal ministro esclusivamente questo. Dei contenuti e della verità della proposta contenuta negli stessi riti, la persona religiosa comune più di tanto non se ne importa.

 E poi c’è il contesto esistenziale in cui ogni persona vive e, quindi, anche il così detto chiamato. Contesto che rema dalla parte opposta e, con il tempo, esercita una pressione molto forte che sgretolano le sicurezze spirituali della giovinezza e, soprattutto, permette di aprire gli occhi sulla verità della situazione ecclesiale in cui è chiamato a vivere. La domanda, allora, che emerge al punto da divenire ad un certo punto come un grido disperato è questa: per cosa? Ho buttato la vita, la possibilità di amare, di avere una famiglia per celebrare dei riti, per mettere la coscienza a posto di persone religiose che della fede, della proposta del Vangelo non interessa più di tanto? Ha senso una cosa così? Ritrovare le motivazioni e gli argomenti per riformulare la proposta non è impresa facile.