venerdì 2 luglio 2021

CHIAMATA?

 



Paolo Cugini

 

“In quel tempo, Gesù, vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì” (Mt 9,9). Bellezza e fascino della scelta personale. Difficoltà di vivere tutta la vita in corrispondenza ad una chiamata percepita che, con il tempo, si offusca, viene messa in discussione, perde di forza. Il problema, allora, diviene quello di rimotivare, di dare nuovi significati, di creare spazio per ascoltare il nuovo cammino che la chiamata esige. L’insoddisfazione esistenziale di colui che da anni cammina nella vocazione percepita, va ascoltata, perché è in quello spazio negativo che la voce del Mistero si manifesta. Insoddisfazione come luogo esistenziale personale e rivelativo, perché l’insoddisfazione nasce dalla propria esperienza, dal proprio vissuto, dal proprio modo di vivere la chiamata. Perché è molto bello e facile all’inizio il discorso della chiamata, della vocazione, perché s’inserisce nella stagione della vita fatta di entusiasmi, di ricerca di senso, di una direzione.

Questo “sentire” che si manifesta in alcune esperienze significative, che diventano tali per l’intensità della ricerca, con il tempo sfumano, si attenuano, si perdono. Anche perché, ed è bene ricordarlo, tutto il significato spirituale e mistico della chiamata e della risposta personale, viene posto e vissuto in un duplice contesto esistenziale. Il primo è quello ecclesiale, cioè della comunità, in cui vi sono persone, non abituate a dedicare troppo tempo all’anima e quindi esigono dal così detto chiamato una fedele e mera fedeltà ai riti. Chi ha imparato ad identificare la religione con la celebrazione dei riti, esige dal ministro esclusivamente questo. Dei contenuti e della verità della proposta contenuta negli stessi riti, la persona religiosa comune più di tanto non se ne importa.

 E poi c’è il contesto esistenziale in cui ogni persona vive e, quindi, anche il così detto chiamato. Contesto che rema dalla parte opposta e, con il tempo, esercita una pressione molto forte che sgretolano le sicurezze spirituali della giovinezza e, soprattutto, permette di aprire gli occhi sulla verità della situazione ecclesiale in cui è chiamato a vivere. La domanda, allora, che emerge al punto da divenire ad un certo punto come un grido disperato è questa: per cosa? Ho buttato la vita, la possibilità di amare, di avere una famiglia per celebrare dei riti, per mettere la coscienza a posto di persone religiose che della fede, della proposta del Vangelo non interessa più di tanto? Ha senso una cosa così? Ritrovare le motivazioni e gli argomenti per riformulare la proposta non è impresa facile.

 


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