Paolo Cugini
“In
quel tempo, Gesù, vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte,
e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì”
(Mt 9,9). Bellezza e fascino della scelta personale. Difficoltà di vivere tutta
la vita in corrispondenza ad una chiamata percepita che, con il tempo, si
offusca, viene messa in discussione, perde di forza. Il problema, allora,
diviene quello di rimotivare, di dare nuovi significati, di creare spazio per
ascoltare il nuovo cammino che la chiamata esige. L’insoddisfazione
esistenziale di colui che da anni cammina nella vocazione percepita, va
ascoltata, perché è in quello spazio negativo che la voce del Mistero si
manifesta. Insoddisfazione come luogo esistenziale personale e rivelativo,
perché l’insoddisfazione nasce dalla propria esperienza, dal proprio vissuto,
dal proprio modo di vivere la chiamata. Perché è molto bello e facile
all’inizio il discorso della chiamata, della vocazione, perché s’inserisce
nella stagione della vita fatta di entusiasmi, di ricerca di senso, di una
direzione.
Questo “sentire” che si manifesta in alcune
esperienze significative, che diventano tali per l’intensità della ricerca, con
il tempo sfumano, si attenuano, si perdono. Anche perché, ed è bene ricordarlo,
tutto il significato spirituale e mistico della chiamata e della risposta
personale, viene posto e vissuto in un duplice contesto esistenziale. Il primo
è quello ecclesiale, cioè della comunità, in cui vi sono persone, non abituate
a dedicare troppo tempo all’anima e quindi esigono dal così detto chiamato una
fedele e mera fedeltà ai riti. Chi ha imparato ad identificare la religione con
la celebrazione dei riti, esige dal ministro esclusivamente questo. Dei
contenuti e della verità della proposta contenuta negli stessi riti, la persona
religiosa comune più di tanto non se ne importa.
E poi c’è il contesto esistenziale in cui ogni
persona vive e, quindi, anche il così detto chiamato. Contesto che rema dalla
parte opposta e, con il tempo, esercita una pressione molto forte che
sgretolano le sicurezze spirituali della giovinezza e, soprattutto, permette di
aprire gli occhi sulla verità della situazione ecclesiale in cui è chiamato a
vivere. La domanda, allora, che emerge al punto da divenire ad un certo punto
come un grido disperato è questa: per cosa? Ho buttato la vita, la possibilità
di amare, di avere una famiglia per celebrare dei riti, per mettere la
coscienza a posto di persone religiose che della fede, della proposta del
Vangelo non interessa più di tanto? Ha senso una cosa così? Ritrovare le
motivazioni e gli argomenti per riformulare la proposta non è impresa facile.
Nessun commento:
Posta un commento