ASCENSIONE
DEL SIGNORE
At
1,1-11; Sal 46; Ef 1,17-23; Mt 28,16-20
Paolo
Cugini
Come
fare in modo che questo testo parli a noi e possa dirci qualcosa sul nostro
cammino? Come spogliarlo dei rivestimenti mitici tipici del linguaggio del
tempo di Gesù? In questa prospettiva hanno ragione (in parte) i teologi che
affermano la necessità di superare il modello teista utilizzato per secoli e
passare ad un paradigma così detto post-teista, capace d’integrare nelle sue
narrazioni i dati della scienza e, quindi, di renderle più comprensibili per le
donne e gli uomini di oggi. Proviamo, allora questo percorso.
“Detto
questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro
occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due
uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero” (At
1,). Come si fa a leggere queste cose alla domenica, brani che hanno il sapore
della mitologia, della narrazione che risente pesantemente dell’apparato
culturale del tempo di Gesù, con concezione astronomiche e antropologiche ormai
superate e, poi, al lunedì presentarsi al lavoro come se niente fosse? Avere il
coraggio di smantellare le costruzioni mitologiche senza pensare che
decostruire significhi negare una verità. Anzi, proprio perché cerchiamo quella
verità manifestata dalla persona di Gesù, che procediamo nell’operazione di
decostruzione delle categorie culturali del tempo per salvare, per così dire,
il messaggio autentico. Uscire da ogni finzione che ci porta a parlare e a
conversare di contenuti di una cultura che non ci appartiene più, per fare in
modo che i nostri discorsi parlino di quei significati esistenziali che
s’inseriscono nel nostro vissuto quotidiano, è il senso di un cammino che
riesce ad integrare i contenuti religiosi nel linguaggio comune. Il testo
ascoltato risente di una visione duale della realtà – cielo e terra, carne e
spirito – che non c’entra nulla con la percezione di un mondo interconnesso,
come ci stanno consegnando le varie discipline scientifiche, un mondo in cui
tutto è in relazione. In questo nuovo con testo cosmologico dove andrebbe a
finire il Gesù dell’ascensione?
Prendiamo,
allora, dall’ascensione del Signore quei contenuti che possono dirci qualcosa per
il nostro vissuto.
Il
primo è di tipo educativo. Ogni relazione educativa che intenda essere
generativa deve prevedere un momento in cui ci sia un’uscita di scena. Il
figlio potrà diventare padre e madre se i genitori, ad un certo punto della
vita, sanno uscire dalla loro scena. I discepoli e le discepole hanno potuto
divenire maestri perché il Maestro è uscito di scena. Abbiamo la possibilità di
crescere e sperimentare le nostre potenzialità, scoprire finalmente chi siamo,
solo se le persone di riferimento che abbiamo intorno sanno sparire dalla
scena. Chiaramente, ciò sarà possibile se durante la fase della crescita
l’educatore – padre, madre, ecc. – ha saputo stimolare gli aspetti generativi
della persona. Questo aspetto è ben visibile nella relazione che Gesù ha
istituito con i suoi discepoli. A metà del suo cammino verso Gerusalemme li ha
inviati a due a due ad annunciare il Regno (Lc 10). Uno avrebbe potuto
obiettare che non erano ancora pronti, che la loro preparazione era difettosa.
Gesù, senza dubbio, sapeva di tutto questo. Nonostante ciò, li ha inviati, gli
ha permesso di fare esperienza, di mettersi in gioco, di sperimentare anche
solo per qualche istante, il fascino dell’essere da soli dinanzi al mondo. Nel
contesto dell’ultima cena narrata nella redazione di Giovanni, Gesù ad un certo
punto afferma: “ho ancora molto cose da dirvi, ma per ora non siete capaci
di portarne il peso” (Gv 16,12). Nonostante questa presa di coscienza, di
una preparazione ancora molto approssimativa dei suoi discepoli, Gesù se ne va.
Che cosa ci dice questo dato? Credo che la cosa più importante che emerge dalla
relazione di Gesù con i suoi discepoli è l’aver stimolato in loro la dimensione
generativa, la consapevolezza che il discepolo, la discepola devono divenire
loro stessi maestri.
“Ed
ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt
28,20). C’è anche u aspetto spirituale che ci viene comunicato dalla festa
dell’Ascensione. Gesù rimane sempre con noi. Ci possiamo chiedere: in che modo
sarà sempre con noi se non c’è più? C’è un modo nuovo che manifesta la presenza
di Gesù non più nella carne, ma nello Spirito. Ce lo ha ricordato anche Papa
Francesco, quando nella Laudato Sii arriva ad affermare: “lo spirito di Dio
ha riempito l'universo con le potenzialità che permettono che dal grembo spesso
delle cose possa sempre germogliare qualcosa di nuovo” (LS, 80). la
presenza di Dio nel creato non è qualcosa di distinto da Dio “bensì comunicando
la sua propria realtà divina ne fa il costitutivo del compimento della creatura”.
Dio comunica se stesso al creato, cosicché lo spirito di Dio è immanente e
intimo nelle creature. Gesù continua ad essere presente dentro la storia per
permettere ad ogni persona di collaborare al progetto creazionale di Dio. Il
processo di creazione, infatti, non si è mai arrestato, ma continua con noi e
lo Spirito del Signore che agisce anche in noi permette tutto questo. Il
mistero dell’Ascensione, dunque, non afferma la scomparsa del Signore, ma di una
presenza nuova.
Durante
la sua vita pubblica Gesù ci ha offerto alcune situazioni in cui si manifesta
la sua presenza. Percepire la presenza del Mistero di Dio è fondamentale per
coloro che desiderano vivere della Parola di Dio. E allora, dov’è Gesù? In
primo luogo, lo troviamo nei poveri. Lo ha detto nel Lui: “avevo fame, mi
avete dato da mangiare; avevo sete e mi avete dato da bere; ero straniero e mi
avete accolto” (Mt 25,32s). La nostra relazione con i poveri, prima che
essere un dato sociologico è teologico, spirituale. Nei poveri incontriamo il
Signore, la sua presenza misteriosa che ci riempi con il suo amore. Mentre
doniamo gratuitamente, riceviamo più di ciò che abbiamo donato. Poi incontriamo
Gesù nella comunità: “dove due o tre sono uniti nel mio nome io sono in
mezzo a loro” (Mt 18,20). Comunità che non s’identificano con le forme
istituzionali, ma anche e soprattutto con l’incontro di persone che hanno
conosciuto il Signore, amano la sua Parola e si trovano in famiglia. Riscoprire
modalità nuove di essere comunità che sentono la presenza del Signore è una
delle grandi sfide dell’epoca post-cristiana che stiamo accompagnando. “Vi
do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato
voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno
che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri" (Gv
13, 34-35). Piccole comunità di persone che si vogliono bene, che si prendono
cura gli uni degli altri rendono visibile la presenza del Signore nella storia.
Ascensione significa che il Maestro non è più in mezzo ai suoi discepoli e discepole in una forma materiale, ma in una forma nuova che ha tanti aspetti. Troviamolo e viviamolo.
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