giovedì 22 settembre 2022

UN GIORNO IL POVERO MORI E ANCHE IL RICCO MORI

 




XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C

Lc 16,19-31

 

Paolo Cugini

 

Chi ha accompagnato le liturgie di queste domeniche si sarà reso conto dell’insistenza di Gesù sul tema della ricchezza e del possesso dei beni. Proprio domenica scorsa Gesù aveva chiuso il Vangelo con un perentorio: o Dio o la ricchezza. C’è, dunque, una contrapposizione radicale che non permette ambiguità. Alcune risposte a questa esigenza evangelica le abbiamo già trovate, ma possiamo continuare a domandarci: perché la ricchezza costituisce un ostacolo così insormontabile per partecipare del Regno dei cieli?

 

C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.

Questi pochi versetti sono uno spaccato non solo della società del tempo di Gesù, ma anche della nostra. Una società divisa in due, tra i pochi che hanno molto e vivono nel lusso e i molti che non solo non hanno nulla, ma conducono una vita indegna, senza alcuna possibilità di realizzazione umana. C’è un mondo che mangia a crepapelle e tutto un altro che non ha come sfamarsi. C’è una disuguaglianza sociale che è stridente, che non riflette la volontà di Dio, ma è frutto dell’egoismo umano. C’è un secondo aspetto importante in questa descrizione ed è l’insensibilità dl ricco. La parabola che Gesù racconta vuole mettere in evidenza uno degli effetti nefasti della ricchezza umana: rende le persone insensibili nei confronti dei propri simili che soffrono, che sono in difficoltà. La ricchezza chiude il cuore dell’uomo e della donna che possiede beni, conduce ad un atteggiamento d’insofferenza nei confronti di chi si avvicina per chiedere aiuto. La ricchezza rende la persona che la possiede, disumana: è questo, uno dei dati che vuole condurci la parabola.

 Già a questo primo livello la narrazione presenta una novità, che potremmo definire teologica. Mentre del ricco non viene nominato il nome, del povero, invece, si. Come mai? Che cosa significa questa differenza? Gesù mostra che agli occhi del Padre le persone disumane e insensibili non hanno nome, vale a dire, non hanno un’identità precisa, non sono nulla. Il nome definisce una persona, ne rivela lo stile presenta, ma anche la direzione. Ebbene, la persona ricca, per il fatto che accetta questo cammino e si lasciai impoverire nella sua umanità, perde allo stesso tempo, la sua identità che si realizza nell’umanità, nell’attenzione ai propri simili, soprattutto nel momento del bisogno. Chi ha un po' di dimestichezza con i poveri, sa molto bene come si aiutino tra di loro, soprattutto nei momenti di necessità e di bisogno. Ebbene, il ricco, non avendo questo atteggiamento misericordioso nei confronti dei suoi simili più deboli, manifesta la distruzione che la ricchezza ha prodotto nella sua vita: è diventato disumano, nulla, il suo nome non risulta essere più presente nel libro della vita.

Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui.

C’è una relazione strettissima tra la vita di questo mondo e quella del mondo futuro. L’eternità della vita inizia su questa terra e non è un problema di merito, ma di accoglienza del dono. Il ricco che può comprarsi tutto, la vita eterna non può comprarsela. Il suo benessere individuale che ottiene con i beni accumulati e che esclude il bene dei suoi simili, non è reale, non produce un più di vita, una vita in abbondanza da condividere con tutti, ma è vita morta, chiusa in se stessa, che non ha futuro. La parabola dice che alla morte il ricco viene sepolto: punto e a capo. La vita del ricco, produce una vita che non potrà avere un futuro, perché è una negazione di quella dignità umana, che è intrinseca nell’immagine che Dio ha posto in ogni persona. Ebbene, l’uomo e la donna sono ad immagine di Dio, quando amano, condividono ciò che hanno, esattamente come ha fatto il Padre con noi, che ci ha creati per amore.

Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi.

Quell’abisso tra ricchi e poveri che si è instaurata sulla terra, rimane anche nella vita oltre la morte, però ribaltata. Vita e morte sono principi che si sviluppano durante la nostra esistenza e che portano i loro frutti anche dopo la morte, esattamente conforme alle nostre scelte. Gesù è un principio di vita eterna che il Padre ha immesso dentro la storia, così potente che è capace di trasformare qualsiasi situazione di morte in vita. Per questo ascoltiamo la sua parola che è come una semente di eternità come dice Pietro: siete stati rigenerati non da seme corruttibile, ma incorruttibile, cioè mediante la parola vivente e permanente di Dio (1 Pt, 1,23). La Parola che assimiliamo, lo Spirito Santo che riceviamo è capace di trasformare il nostro egoismo radicale, in donazione gratuita ai fratelli e alle sorelle.

Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti.

La possibilità che noi abbiamo di vivere una vita autentica, che rispecchi il progetto del Padre quando ci ha creati, conformi quindi a quella dignità che ci deriva dall’immagine di Dio che trasuda nella nostra coscienza, è data dall’assimilazione della parola di vita nuova. Può sembrare poca cosa, ma in quelle deboli parole, è racchiuso il mistero del mondo e, quindi, anche il nostro.

 

 

 

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