[Annotazioni di Paolo
Cugini]
Iniziamo
il capitolo 16, il capitolo più difficile di tutto il vangelo di Giovanni, dove
al versetto 18 i discepoli dicono di Gesù: non capiamo cosa vuol dire.
1
Questo vi ho detto perché non siate scandalizzati. Che
cosa Gesù ha detto che rischia di scandalizzare? Scandalizzare significa
inciampare, cadere. Cosa ha detto Gesù ai suoi discepoli, nel capitolo 15, che
può portare in loro sconcerto? Per la prima volta ha parlato dell’odio del
mondo. Finora aveva parlato dell’odio del mondo nei suoi confronti. In
Giovanni, nel mondo, non si intende il creato, ma il sistema sul quale si basa
la società che vede in Gesù un pericolo alla sua sussistenza. Gesù è venuto ad
inaugurare il regno di Dio, che si propone non una realtà ultraterrena, non un
aldilà, ma una società diversa. Questa società, secondo Gesù, è basata sui tre
verbi maledetti dell’avere del salire e del comandare, lui si propone di creare
una società diversa, il regno di Dio dove al posto dell’avere ci sia il
condividere; al posto della brama di salire sopra gli altri ci sia lo scendere,
il mettersi accanto agli ultimi e anziché il comandare ci sia il servire.
2
Espulsi dalle sinagoghe vi faranno; anzi verrà l’ora in cui chiunque vi
ucciderà, crederà di rendere culto a Dio. Espulsi dalle
sinagoghe vi faranno, l’evangelista per le attività di Gesù adopera, in maniera
per noi un po’ pedante, sempre il verbo fare (e i traduttori cercano di
cambiare i verbi), perché il verbo fare è quello adoperato nel libro del Genesi
per indicare l’azione creatrice di Dio. Dio fece il sole e la luna, Dio fece il
mare… e l’evangelista vede in Gesù il proseguimento dell’azione creatrice del
Padre. Tutto quello che Gesù fa, tutto quello che dice è in funzione di questo.
Il Padre è il creatore che ha creato l’uomo, ama le sue creature e le difende a
oltranza e tutto quello che Gesù fa è in funzione della comunicazione nella
vita. Quello che l’istituzione religiosa fa (ecco perché il verbo fare) è in
funzione della morte, di togliere la vita. La prima cosa che Gesù dice è che
saranno espulsi dalle sinagoghe che non significa essere cacciati da un luogo
di culto (e non sarebbe neanche un danno), ma è la morte civile.
3
E faranno ciò perché non hanno conosciuto (non hanno mai conosciuto) il Padre
né me. All’inizio del prologo Giovanni aveva escluso che
qualcuno avesse conosciuto Dio: 5 Dio nessuno l’ha mai visto, solo il Figlio ne
è stata la rivelazione. Rifiutando il Figlio, non arrivano a conoscere chi è
Dio. Mentre Dio è il nome specifico per tutte le religioni, Padre è il nome
caratteristico della comunità cristiana; mentre in nome di Dio si può togliere
la vita, in nome del Padre si può soltanto donare la propria. Quello che Gesù sta
denunciando è terribile. Sta parlando delle autorità, dei capi religiosi e
dice: non hanno conosciuto mai il Padre. Le autorità religiose che impongono al
popolo la volontà di Dio, non lo conoscono e allora quale Dio impongono? Gesù
sta affermando che quanti usano la violenza in nome di Dio, lo fanno perché non
lo conoscono o meglio, non l’hanno mai conosciuto, anche se si presentano come
strenui difensori. Saulo, che poi diventa Paolo, perseguita tanto i cristiani e
quando si trova di fronte il Signore gli chiede: chi sei o Signore? Non lo
conosceva. Gesù gli risponde: io sono Gesù che tu perseguiti. Gli zelanti
difensori della legge, i custodi della tradizione in realtà, non conoscono Dio.
Per Gesù l’istituzione religiosa che pretende di rappresentare Dio, di fatto
non lo conosce. Se non lo conosce, il Dio che adora, il Dio che presenta o che
impone, non è altro che la proiezione delle ambizioni, ingordigie della classe
sacerdotale al potere, il cui vero Dio è soltanto il potere. Per questo
l’istituzione religiosa è insensibile ai bisogni e alle sofferenze delle
persone ed è solo capace di causare ulteriori sofferenze agli uomini. Quello
che Gesù sta dicendo è materiale esplosivo da maneggiare con cura perché ha
delle tremende conseguenze. Gesù sta insinuando che quanti obbediscono alle
direttive dell’autorità religiosa diventano assassini come queste e complici di
ogni loro malfatto.
4
Ma vi ho detto questo perché quando giungerà la loro ora, ricordiate che io ve
l’ho detto. Non ve l’ho detto dal principio, perché
ero con voi. Gesù non ha detto questo da subito perché stava con i suoi
discepoli e calamitava tutto l’odio dell’autorità su di sé. In questo vangelo
non c’è mai stata nessuna avversione nei confronti dei discepoli. Già dal
capitolo quinto l’odio dell’autorità religiosa era rivolto verso Gesù. L’odio
nei suoi confronti si è scatenato quando ha guarito l’infermo della piscina di
Betsaida comandando: io ti dico alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina. Gesù
poteva semplicemente dire: alzati e cammina. No, l’incontro con Gesù rialza la
persona, restituisce la dignità; il camminare non dipende da Gesù, ma
dall’individuo, sottraendosi dal dominio della legge.
5
Ora però vado da colui che mi ha mandato e nessuno di voi mi chiede: Dove vai? In
questo vangelo ritorna il verbo andare che indica il cammino dell’uomo verso il
Padre. Nella finale sorprendente del vangelo di Giovanni dove si narra la
resurrezione di Lazzaro, l’ultimo comando di Gesù è: scioglietelo e lasciatelo
andare. Dove doveva andare Lazzaro? Doveva andare verso il Padre.
L’orientamento dell’uomo è verso il Padre che è pienezza di vita e di amore. La
direzione di ogni uomo non è tornare al Padre, perché il Padre prende dimora in
noi e con noi, ma andare al Padre, in questa direzione in cui all’amore
ricevuto dal Padre corrisponde un amore comunicato agli altri, che permetterà
una nuova più grande risposta d’amore da parte di Dio in un crescendo senza
fine. L’orizzonte che ci aspetta non è di una fine, ma di un inizio di un
crescendo che non vedrà restrizioni, che non vedrà fine. Nessuno chiede a Gesù
dove va perché per i discepoli è difficile capire che la morte di Gesù è un
andare verso il Padre. Eppure Gesù lo aveva annunziato chiaramente: e del luogo
dove io vado, voi conoscete la via. C’era stata la replica di Tommaso: Signore,
non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via? Gesù continua 6 Ma
perché vi ho detto questo, la tristezza ha colmato il vostro cuore. Per i
discepoli la morte è la fine di tutto; non è un cammino, una tappa
dell’esistenza dell’uomo verso una pienezza di vita, è la fine di tutto e per
questo si riempiono di tristezza. Alla pienezza di tristezza dei discepoli,
Gesù risponderà tra poco con una pienezza di gioia.
7
Per cui io vi dico la verità: quando c’è il termine
verità dobbiamo aguzzare le orecchie perché Gesù sta dicendo qualcosa di
importante non solo per i discepoli di allora, ma per i credenti di tutti i
tempi, conviene a voi che io me ne vada perché, se non me ne vado, non verrà a
voi il Soccorritore; ma quando me ne sarò andato ve lo manderò. Per la terza
volta il verbo convenire viene adoperato dall’evangelista e gli evangelisti
sono abili con l’uso delle cifre e secondo gli stili letterari e grammaticali
dell’epoca il numero tre significa completo. Le altre due volte del verbo
convenire sono per bocca del sommo sacerdote Caifa, indicato come il capo di
questo mondo, il rappresentante di una potenza ostile verso Gesù, che in 11,50
dice: conviene che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione
intera e poi in 18,14: Caifa poi era quello che aveva consigliato ai Giudei:
Conviene che un uomo solo muoia per il popolo. Già altre volte abbiamo visto
che Gesù non muore perché questa era la volontà del Padre, muore perché era la
convenienza del sommo sacerdote, ci conviene.
8
E quando quello sarà venuto, egli smaschererà il mondo riguardo,
il verbo adoperato dall’evangelista significa convincere, accusare e
smascherare è il vocabolo più adatto, e poi ci sono tre termini, smaschererà il
mondo al peccato alla giustizia e al giudizio. L’azione dello Spirito
soccorritore è quella di un avvocato difensore che riesce a dimostrare che gli
accusatori di Gesù, sono in realtà i colpevoli. L’evangelista fa un’importante
definizione teologica:
9
Quanto al peccato poi perché non credono in me;
all’inizio del vangelo di Giovanni è apparso il peccato del mondo, peccato
preesistente a Gesù, che Gesù non lo viene ad espiare, ma ad estirpare.
Purtroppo l’espressione con cui Giovanni Battista indica Gesù ecco l’agnello di
Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo, nella trasposizione liturgica
è stata trasformata diventando ecco colui che toglie i peccati del mondo,
facendo intendere con i peccati i nostri peccati. Gesù è morto, si è
sacrificato, ha espiato, per i nostri peccati. L’evangelista mette in bocca a
Giovanni Battista questa identificazione di Gesù: ecco l’agnello di Dio, ecco
colui che toglie il peccato del mondo. Questo peccato c’era prima di Gesù, che
non lo viene a espiare, ma a togliere. Come? L’evangelista dice: colui che
toglie il peccato del mondo, toglie il peccato, e lo mette subito dopo in
relazione con colui che battezza in Spirito santo, c’è di nuovo l’azione dello
Spirito. Gesù non espia il peccato del mondo, lo elimina comunicando agli uomini
la stessa potenza di amore di Dio.
10
Quanto alla giustizia, perché vado dal Padre e non mi vedrete più,
qui appare il termine giustizia che fa tanta confusione! Sapete che i farisei
non sono finiti e gli scribi non si sono eclissati, si clonano e per scoprirlo
all’interno di una comunità o di un gruppo cristiano, basta provare a parlare
dell’amore di Dio, che Dio perdona tutti, che ama tutti, che non gli interessa
come uno si comporta, ma ama tutti. Vedrete che ad un certo momento una persona
diventa livida, poi esplode perché non gliela farà più e dirà: Sì, ma Dio è
anche giustizia e non sfuggirà alla giustizia divina! È una espressione che
molti usano quando qualcuno scappa alla giustizia umana e si immagina un
calderone di fuoco dove precipitare queste persone. Forse per qualcuno non
sarebbe male, ma non c’è! Questo termine che traduciamo con giustizia applicata
a Dio, non significa altro che fedeltà. Nel mondo ebraico il giusto è la
persona fedele. Quando Giuseppe nel vangelo di Matteo viene dichiarato giusto,
non ha il nostro senso morale di giusto, ma di persona fedele. Quando
nell’Antico e nel Nuovo Testamento si parla di giustizia, non si intende quella
del tribunale, si intende la fedeltà di Dio. Quando si dice che Dio è giusto,
vuol dire che Dio è fedele. Quale è la fedeltà di Dio? Dio ha fatto un patto
con il suo popolo, il popolo lo potrà tradire, abbandonare, rifiutare, ma Dio
rimarrà sempre fedele; è l’amore fedele di Dio che si è manifestato in Gesù,
espressione visibile dell’amore fedele del Padre. Fino all’ultimo ha cercato di
conquistare Giuda con questo amore. Giuda lo ha tradito, rinnegato, ma Gesù
fino all’ultimo gli propone il suo amore. Gesù dice: quanto alla giustizia,
perché vado dal Padre e non mi vedrete più perché c’è un conflitto con le
autorità che sono fedeli alla legge, mentre Gesù è fedele al Padre. In nome
della legge Gesù è un bestemmiatore che va eliminato, in nome del Padre, Gesù è
il vero fedele perché denuncia che la legge è stata falsificata dagli scribi.
La giustizia è la fedeltà dell’uomo a Dio e il mondo, il sistema ingiusto di
cui l’istituzione religiosa è l’emblema, ha accusato Gesù di essere un
bestemmiatore, di essere un usurpatore che ha agito contro la volontà di Dio.
11
quanto al giudizio perché il capo di questo mondo è già condannato.
É la terza volta, ed è nello stile dell’evangelista, che appare il capo di
questo mondo. É una potenza ostile a Dio ed in questo vangelo è proprio
l’istituzione religiosa che pretendeva rappresentarlo e quando verrà lo Spirito
sarà smascherata. Quell’istituzione che pretendeva essere la rappresentanza
fedele e zelante di Dio, dimostrerà di esserne la rivale. Con l’eliminazione di
Gesù, in realtà l’istituzione religiosa ha emesso la sentenza su se stessa,
rivelandosi nemica e rivale di Dio. Quando arriveremo al momento del processo
di Gesù, le autorità giocano tre carte: la prima carta per accusare Gesù era
quella di essere un rivoluzionario. Pilato quando lo vede dice: Questo è un
rivoluzionario? Ma figurati! Poi vendono la carta religiosa: Figlio di Dio, ma
non interessa. Hanno in serbo l’asso nella manica, le autorità conoscono
Pilato, sanno che è un uomo frustrato, il suo unico titolo è cavaliere, ma è
nella desolata regione della Palestina e la sua unica speranza è il titolo,
avuto attraverso uno dei suoi amici, di amico del Cesare, che permetteva di
entrare nella cerchia degli amici dell’imperatore e ritornare ai Fasti della
Roma Imperiale.
12
Molto ho ancora da dirvi, ma per il momento non è ancora alla vostra portata.
È un versetto molto bello, c’è ancora molto da dire, ma ancora non siamo capaci
di capire. Gesù vuol dire che può comprendere a pieno il suo messaggio solo
chi, come lui, ha orientato la propria vita per il bene dell’altro ed è
disposto al dono della propria vita. I discepoli non lo sono ancora. Dopo la
morte e resurrezione di Gesù, vedendo come è morto e vedendo che la morte non
l’ha sconfitto, arriveranno pian piano a quel livello. Gesù dice: Molto ho
ancora da dirvi, ma per il momento non è ancora alla vostra portata, e questo
sarà la funzione continua dello Spirito nella comunità. C’è ancora molto da
scoprire di Gesù, c’è ancora molto da conoscere. Man mano che l’uomo acquisterà
nella storia, dignità, e verranno sempre più sottolineati la libertà e il
rispetto dell’uomo, si comprenderà ancora meglio la dignità di un Dio che si è
fatto uomo, che si è fatto pienamente uomo. Non basta leggere la bibbia per
capirla; si può leggere la bibbia e usarla per nuocere, per far male, per far
soffrire le persone. Quando si legge la bibbia, essa si capisce soltanto se il
bene dell’uomo è messo come valore supremo della propria esistenza.
13
Quando però verrà lui, lo Spirito di verità, è la terza volta
che lo Spirito di Dio viene chiamato Spirito di verità, vi avvierà nella verità
tutta, infatti non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e ci
annunzierà le cose che verranno. La comunità deve compiere, attraverso Gesù, un
cammino nella verità. Lo abbiamo già visto, ma lo riprendiamo perché è un
concetto molto importante. Gesù non dice: io ho la verità e non ci chiede di
avere la verità; Gesù dice: io sono la verità e ci chiede di essere nella
verità. Gesù dirà che la carità si fa, non si ha. Qual è la differenza tra chi
ha la verità e chi è nella verità? Quando uno pensa di avere la verità, in base
alla verità che ha, si sente in diritto di giudicare e condannare tutti quelli
che non la pensano come lui. Chi ha la verità divide il mondo tra ortodossi ed
eretici e vede dappertutto nemici da battere o persone da bruciare al rogo.
Gesù non ci chiede di avere la verità, perché chi ha la verità si divide dagli
altri; ci chiede di essere nella verità. Essere nella verità, in questo vangelo,
significa inserirsi in un dinamismo d’amore che è lo stesso di Gesù: comunicare
con le opere la vita che il Padre gli ha manifestato. Mentre chi ha la verità
si separa dagli altri, chi è nella verità e si fa coinvolgere nel dinamismo di
portare vita a tutte le persone, non solo non si separa da nessuno (non importa
se tu la pensi diversamente e se credi in un’altra cosa), ma nulla gli impedirà
di volere bene alle persone. Quando però verrà lui, lo Spirito di verità, vi
avvierà nella verità tutta, il cammino della comunità è orientare la propria
esistenza per il bene dell’uomo. Gesù aveva definito se stesso come la via, io
sono la via, la verità e la vita e lo Spirito santo di Dio è quello che avvia
verso questa verità. Per questo la verità non è una dottrina acquisita, non si
ha la verità, ma si è nella verità e non ci sono persone più terribili di
quelle che hanno la verità. Per difenderla sarebbero capaci di uccidere, vivono
in un livore, in un rancore verso tutti quelli che non la pensano come loro e la
loro vita è un inferno perché si vedono accerchiate da nemici eretici, vedono
il fumo di satana da tutte le parti. Gesù invita a fare la verità, cioè ad
inserirsi nel dinamismo del suo amore che opera per il bene degli uomini. Lo
ripeteremo fino alla noia. Non c’è nulla di più importante che comunicare bene
agli uomini. Gesù dice: vi dirà tutto ciò che ha udito e vi annunzierà le cose
che verranno, il verbo annunziare verrà ripetuto tre volte per indicarne
l’importanza. La funzione dello Spirito di verità, all’interno della comunità,
è annunziare le cose che verranno, non sono profezie del futuro, ma è rendere
capace la comunità cristiana di avere sempre nuove risposte ai nuovi bisogni
che emergono nella società (questo è importantissimo, delicatissimo e attualissimo).
Gli
Esseni, un movimento monastico sulle rive del Mar Morto, erano i figli della
luce e dovevano combattere contro i figli delle tenebre. Gesù no! E dice che la
luce non combatte le tenebre, la luce brilla e per sconfiggere le tenebre non deve
combatterle, basta che aumenti il suo splendore. Più la luce aumenta e più le
tenebre si dileguano. Gesù non annunzia una nuova rivelazione o un nuovo
messaggio da parte dello Spirito, ma l’attualizzazione del vangelo, del
messaggio di sempre, in modi e forme nuove per la vita della comunità. Ed è
quello che la chiesa, più o meno con fatica, sta facendo: formulare la verità
di sempre in forme sempre nuove, perché cambia il linguaggio, il modo di
capire. La dottrina non è un monumento imbalsamato e valido per sempre, deve
essere sempre formulata e ce lo dice il Concilio, in forme nuove e
comprensibili, che la gente possa comprendere. Quando la dottrina viene imposta
in maniera imperativa e categorica e con un linguaggio che non è della gente,
questa non ascolta. È un monito di Gesù. 14 Egli mi glorificherà perché
prenderà del mio e ve lo annunzierà. Compito dello Spirito è la proposta
continua e incessante, nella comunità, del messaggio di Gesù. Non è un nuovo
messaggio, ma lo Spirito ne fa comprendere ogni volta degli aspetti che erano
rimasti come sommersi, non perché mancava la capacità intellettuale di
comprendere, ma perché, ed è una caratteristica che fin dall’inizio dei nostri
incontri abbiamo detto, è la vita che illumina il testo, non il testo che illumina
la vita. Man mano che noi cresciamo nell’amore, comprendiamo sempre meglio il
vangelo.
15
Tutto quello che il Padre possiede è mio, sta parlando dello Spirito.
Nel momento del battesimo lo Spirito è disceso su Gesù, cioè la forza, la vita
e l’amore di Dio. Tutto quello che il Padre aveva l’ha dato a Gesù, in lui si
manifesta chi è Dio. Al termine del prologo si dice: Dio nessuno lo ha mai
visto, solo il Figlio ce lo ha rivelato; in Gesù c’è tutta la pienezza del
Padre. Molte volte abbiamo visto che dovevamo rettificare certe immagini e
credenze di Dio. Se tutto quello che crediamo di Dio non corrisponde a quello
che vediamo in Gesù, nel suo insegnamento e nelle sue opere, va eliminato
perché inesatto, falso o incompleto. Tutto quello che il Padre possiede è mio,
per questo ho detto che prenderà del mio e ve lo annunzierà. Quello che il
Padre e Gesù possiedono in comune è lo Spirito, la pienezza d’amore, e Gesù fa
alla sua comunità la comunicazione di pienezza d’amore. La terza ripetizione
del verbo annunziare è un invito all’ascolto, senza il quale il messaggio
rimane inefficace: non basta che il messaggio sia annunziato, ci vogliono
orecchie che lo possano ascoltare.
16
Un poco, e non mi vedrete più; un poco ancora, e mi vedrete.
Adesso ricorreremo al greco, altrimenti non capiremo. La parola adoperata per
poco è mikron, pochissimo, e non mi vedrete il verbo vedere, qui, è theoreo che
indica la vista fisica. Tra poco sarà ammazzato e non lo vedranno più. Però un
poco ancora, mikron, mi vedrete, percepirete, e adopera il verbo greco horao
che indica la vista della fede. Ci sono due maniere di vedere e anche noi le
usiamo nella lingua italiana. Quando parliamo con una persona per convincerla,
se non capisce, diciamo: ma non vedi che… non ha un problema oculistico, ma di
incomprensione. La distinzione è importante, altrimenti non si capisce.
17
Dissero allora alcuni dei suoi discepoli tra loro: “Cos’è questo che dice: Un poco,
e non mi vedrete; un poco ancora e mi percepirete,
e: in tutto il brano c’è la distinzione tra i due distinti verbi del vedere,
perché vado al Padre?” É la prima volta che finalmente i discepoli prendono la
parola (ed è per dimostrare la loro incomprensione) da quando 14,22 il
discepolo Giuda, non l’Iscariota, aveva detto: Signore come è accaduto che devi
manifestarti a noi e non al mondo? C’era una bella riflessione del teologo José
Castillo che si chiedeva: come mai gli evangelisti (la chiesa primitiva) si
prendono la briga di criticare i discepoli (qui fanno la figura di ottusi) e
oggi non si possono più criticare, sotto il peccato di lesa maestà? Cos’è
cambiato nella chiesa? Criticano il povero Pietro e gli fanno fare una figura -
oggi guai criticare i successori di Pietro - e qui fanno fare ai discepoli una
figura meschina. I discepoli hanno taciuto dal capitolo 14, sono stati zitti
per tutto il capitolo 15 e quando finalmente prendono la parola è per dire che
non capiscono niente!
18
Dicevano perciò: “Cos’è mai questo “un poco”? Non sappiamo cosa dice”. Non
capivano. Le parole di Gesù causano sconcerto nella comunità,
per loro la morte è la fine di tutto, e riferita a Gesù, sarebbe stato il suo
fallimento come Messia. Qualche domenica fa c’è stato il brano dei discepoli di
Emmaus, del vangelo di Luca: Noi speravamo che fosse lui, invece è morto.
Perciò loro dicono: non sappiamo cosa dice. Nei più antichi manoscritti del
vangelo, il codice Vaticano, la frase non c’è e molti hanno il sospetto che non
sappiamo, sia stato aggiunto dagli scrivani che hanno commentato il non facile
testo. Credo che sia del testo di Giovanni, ma siccome in uno dei testi più
antichi del 15 vangelo non c’è, molti pensano che l’espressione non sappiamo
cosa dice sia di qualche copista che non capiva il discorso che è difficile. Al
non sapere dei discepoli, Gesù contrappone il suo sapere.
19
Gesù capì che volevano interrogarlo e disse loro: “Riguardo questo cercate di
indagare tra voi perché ho detto: Un poco, e non mi vedrete; un poco ancora e
mi percepirete? In tutto il brano c’è sempre la
distinzione tra i due verbi distinti del vedere. È fondamentale per
l’evangelista che ce lo trasmette e per noi che lo comprendiamo. Sono modi
differenti di vedere le persone. Un conto è la vista fisica limitata, un conto
l’esperienza interiore che è illimitata. Gesù va incontro alle perplessità dei
discepoli che non comprendono quello che lui ha detto. Essi sono più
preoccupati della prima parte, che riguarda la morte di Gesù, la sua scomparsa
e non capiscono l’allusione e le parole di Gesù al ritorno. Questo non lo
comprendono.
20
Amen, amen, è un’espressione ebraica che l’evangelista riporta e
traduciamo in verità, in verità e viene adoperata quando Gesù annunzia qualcosa
di vero, di definitivo, di stabile per la sua comunità. A quell’epoca i vangeli
(le parole) erano scritti tutti attaccati perché la pergamena era preziosa e
bisognava occupare tutto lo spazio possibile. Se guardiamo i testi in cui ci
sono stati tramandati i vangeli, c’era una parola dietro l’altra e gli
evangelisti avevano degli accorgimenti letterari, mentre io posso usare la
sottolineatura, il carattere neretto o il corsivo. Quando usano amen, amen, è
come se scrivessero la frase di Gesù in neretto o in sottolineato, qualcosa che
deve attrarre l’attenzione. In verità, in verità vi dico voi piangerete e
lamenterete, piangere e gemere erano le classiche manifestazioni impiegate per
il cordoglio funebre durante la veglia funerea, piangere e gemere è tipico del
lutto, ma il mondo si rallegrerà. Che soddisfazione per Caifa e per tutto il
Sinedrio quando Gesù è crepato! Finalmente questo ce lo siamo tolto di mezzo!
Quando Gesù è crepato, hanno fatto senz’altro festa: finalmente lo abbiamo
eliminato e con la morte più infamante: il mondo si rallegrerà. Voi sarete
tristi, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia. La loro allegria,
l’evangelista non lo dice, si cambierà in disperazione.
21
La donna, quando partorisce è triste – prima, voi sarete tristi – perché è
giunta la sua ora; ma, quando ha generato il bambino non si ricorda più della
sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo.
Nelle doglie del parto la donna è preoccupata e triste, ma una volta che è
nato, che è venuto al mondo un uomo gioisce. Non credo che ci sia una punta di
maschilismo della cultura dell’epoca, perché la nascita di una donna in quella
cultura!,.. ma non credo che Gesù abbia avuto di questi problemi, Gesù ci sta
dicendo che la sofferenza che il discepolo patisce non è fine a se stessa, è un
cammino verso un frutto pieno di vita. La morte di Gesù non sarà una fine, ma
un nuovo inizio. Quando arriveremo alla morte di Gesù, l’evangelista non
descriverà un funerale, ma una festa di nozze; non una morte, ma una nascita. Sul
Golgota non muore Gesù, nasce la chiesa. Gesù chiede della madre, del
discepolo: Ecco tua madre, ecco tuo figlio. Non una scena di morte, ma una
scena di vita. Qui la morte di Gesù è rappresentata dai dolori del parto, la
sua resurrezione dalla nascita dell’uomo. Gesù prende l’immagine dal profeta
Isaia, dove l’immagine della donna che partorisce indica la nascita di un nuovo
popolo di Dio; nel capitolo 66 e 26, il parto è come la nascita di un nuovo
popolo. La morte e resurrezione di Gesù saranno la nascita del nuovo popolo di
Dio. Gesù dice che il momento della tristezza è breve, il momento della gioia
sarà continuo, crescente e traboccante. Infatti, adesso parlerà della gioia.
22
Così anche voi, ora, siete nella tristezza; ma vi vedrò di nuovo,
anche per sé, Gesù, non adopera il verbo theoreo, che indica la vista fisica,
ma horao che indica la vista della fede; è in una nuova dimensione, non ha
occhi fisici, ha un’altra maniera per vedere le persone, ma vi vedrò di nuovo e
il vostro cuore si rallegrerà e la vostra gioia
23
nessuno ve la potrà togliere. La gioia è la
caratteristica costante, riconoscibile del discepolo di Gesù. C’è da chiedersi:
come mai in passato i discepoli del Signore, i santi, i credenti avevano una
faccia triste? Certe immagini di santi hanno l’allegria di una lapide
funeraria! Come è possibile, se Gesù dice che la caratteristica del credente è
una gioia, che vedremo, crescente e traboccante? Ma la chiesa, quanto si è
distaccata nella sua spiritualità, per aver imposto la tristezza, la serietà!
Alla
tristezza, che è di un mikron, c’è una gioia definitiva e permanente. In quel
giorno, il giorno della resurrezione, non mi domanderete più nulla. In verità,
in verità vi dico: se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la
darà. C’è la differenza tra il verbo chiedere e domandare. Il verbo chiedere
significa una richiesta da un inferiore a un superiore; il verbo domandare è
una richiesta tra persone di pari livello e l’evangelista distingue i due modi
di richiedere. In quel giorno, il giorno della resurrezione, non mi domanderete
più nulla. Non c’è bisogno di chiedere a Gesù; se avesse detto chiedere voleva
dire che era superiore invece vuole con i suoi un rapporto paritario.
24
Finora non avete domandato nulla nel mio nome – domandare è tra
pari. Ma chiedete e otterrete, perché, la vostra gioia sia traboccante il
motivo che spinge a chiedere e ottenere, e che sta a cuore a Gesù, è la massima
aspirazione degli uomini, la felicità, e coincide con la volontà di Dio. C’è un
inizio di gioia che è crescente, si colma, poi è traboccante. Il comando
dell’amore vicendevole nel capitolo precedente era stato dato per una pienezza
di gioia: questo io vi comando: amatevi gli uni gli altri. Ora chiede che la
gioia dei discepoli raggiunga la pienezza, sia completa e poi traboccante. La
gioia non si può trasmettere con proclami, con dottrine, ma solo con il
contagio. Soltanto se io sono pienamente felice, ti contagerò in qualche
maniera con la mia felicità. Per questo la gioia non deve essere soltanto
piena, non è solo per me, è traboccante perché va donata all’altro.
25
Questo vi ho detto in similitudini; esempi, parabole, ma
viene l’ora in cui non vi parlerò più in similitudini, ma apertamente vi
annuncerò del Padre. Non è possibile parlare delle cose divine se non
ricorrendo a paragoni, immagini, esempi che rendano, con parole umane, quello
che va al di là dell’esperienza dell’uomo, ed è indescrivibile. Ma nell’ora,
l’ora della sua morte in croce, quando comunicherà lo Spirito, farà vedere fino
a che punto Dio ama l’umanità; questo renderà i suoi capaci di intendere il
linguaggio dell’amore, l’unico linguaggio universale compreso da tutti. Le
dottrine non possono essere comprese da tutti. La difficoltà della nostra
chiesa cattolica è che ha imposto la dottrina di Roma, in Asia, in Africa, dove
gli schemi culturali erano completamente differenti.
26
In quel giorno, il giorno della resurrezione, nel mio
nome chiederete e io non vi dico che domanderò per voi: per sé usa il verbo
domandare che significa pari al Padre. Per la terza e ultima volta in questo
vangelo, appare in quel giorno, che si riferisce al giorno della sua
resurrezione, quando comunicherà il suo Spirito. La comunicazione dell’unico
Spirito renderà i suoi discepoli una sola cosa, come Gesù. Se abbiamo un solo
Spirito, non possiamo essere divisi. La dottrina divide, ma lo Spirito che è
amore, non può dividere, non può fare altro che unire. La penseremo in maniera
differente, ed è bene che sia così, avremo modi di vedere, di interpretare
differenti, ma l’amore è unico e sarà lui ad unirci. Gesù ci assicura: non vi
dico che domanderò al Padre per voi.
27 Il Padre infatti, vi vuole bene,
qui c’è un’altra sorpresa e dobbiamo ricorrere al greco perché non ci
aspettavamo questo uso, e l’evangelista per, vi vuole bene, usa il verbo greco
phileo che significa un amore di amicizia e non lo aveva mai detto con il
Padre. In precedenza per amare, aveva usato il verbo agapao, da cui agape. Gesù
sta portando per gradi, prima aveva detto: siete miei amici; adesso qualcosa di
sconvolgente, di incomprensibile: amici di Dio. Il rapporto del credente con
Dio non è, come nelle religioni, di sottomissione, di paura, di timore o
comunque di ossequio, di rispetto: è un rapporto di amicizia con Dio, quello
che Gesù ci sta dicendo è qualcosa da andare fuori di testa. Il Padre infatti
vi vuole bene, perché voi mi avete voluto bene e avete creduto che sono venuto
da Dio. Gesù non si presenta come un mediatore che inoltra le nostre richieste
al Padre. Il Padre stesso vuole bene agli uomini e mostra loro un amore di
amicizia come quello di Gesù con i suoi discepoli, che nel capitolo 15 dice:
voi siete miei amici se fate ciò che io vi comando.
31 Rispose allora Gesù: Adesso credete? Non basta riconoscere che Gesù viene da Dio, occorre accettare dove la provenienza lo conduce. Hanno capito da dove Gesù viene, ma non sanno dove va. Questa è la difficoltà. Non basta sapere da dove Gesù viene (da Dio), bisogna seguirlo dove la provenienza da Dio lo porta (al dono totale di sé). Questo rende l’uomo suo discepolo. Non è un sapere, è un orientamento della propria esistenza. Questo che è chiamato il vangelo spirituale, è il vangelo più pratico, più concreto di tutti. L’annuncio è tremendo: 32 Ecco, verrà l’ora, ed è venuta, in cui vi disperderete ciascuno alle proprie cose e mi lascerete solo; ma io non sono solo, perché il Padre è con me. Al momento dell’arresto, quando rifiuterà la difesa di Pietro (al momento dell’arresto Pietro taglia l’orecchio al servo del sommo sacerdote), nessuno sarà capace di restare con Gesù, che non vuole essere difeso e si consegna. L’espressione di Gesù: vi disperderete, è una citazione del profeta Zaccaria 13,7, dove si legge: Percuoti il pastore e sia disperso il gregge. I discepoli si disperderanno, ognuno per conto proprio, cercando la propria salvezza, abbandonando Gesù al suo destino. Ma nel momento dell’abbandono, quando apparentemente viene abbandonato da tutti e da Dio, morendo della morte riservata ai maledetti da Dio, Gesù non sarà solo. Gesù viene crocefisso perché nella bibbia era la morte riservata ai maledetti da Dio. Non è stato decapitato, secondo l’uso romano; non è stato lapidato secondo l’uso ebraico; è stato torturato con la croce perché la gente avesse chiaro che non poteva provenire da Dio. La bibbia dice: maledetto colui che appende al legno e Gesù è appeso ad un legno e non si può dire che la bibbia sbagli. Per questo hanno scelto quella morte. Gesù non sarà solo, il Padre sarà con lui, perché Dio non sta con chi condanna, sta dalla parte dei condannati. La sentenza straordinaria, inaspettata, finale, è la garanzia non di un ottimismo, ma di una profonda convinzione, nonostante quello che può capitare nella nostra vita e in quella della chiesa. 33 Vi ho detto queste cose perché in me abbiate pace. La pace indica una sorgente continua di felicità. Gesù contrappone due situazioni differenti: nel mondo c’è la tribolazione, in lui la pace, che ha le sue radici nel suo amore. Nel mondo avete tribolazioni, ma coraggio; e questo lo esclama pochi istanti prima di essere arrestato e ammazzato, abbiate coraggio, forse uno si sarebbe aspettato: abbiate fiducia. La fiducia significa fidarsi di Gesù; il coraggio significa rimboccarsi le maniche e continuare. Non è semplicemente fidarsi di lui, ma ci vuole coraggio: andate avanti. I discepoli hanno davanti un mondo ostile, non soltanto quello pagano, ma la stessa istituzione. Rifacciamoci all’inizio del capitolo: sarete espulsi dalle sinagoghe che voleva dire la morte civile, vi ammazzeranno, ma voi siete i vincitori.. ci vuole un po’ di coraggio!. Allora dice: abbiate coraggio. io ho vinto il mondo! Ci saremmo aspettati un verbo al futuro, abbiate coraggio, io vincerò il mondo. Gesù parla di un’azione al passato, io ho vinto il mondo perché considera la vittoria già conseguita. Ogni volta che il mondo, la società ingiusta sembra vincere, in realtà non fa altro che confermare il suo fallimento.
Nessun commento:
Posta un commento