Paolo Cugini
Lo spirito del Signore Dio è su di me perché il Signore
mi ha consacrato con l'unzione; mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai
miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi,
la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l'anno di misericordia del
Signore, un giorno di vendetta per il nostro Dio, per consolare tutti gli
afflitti, per allietare gli afflitti di Sion, per dare loro una corona invece
della cenere, olio di letizia invece dell'abito da lutto, canto di lode invece
di un cuore mesto
(Is 61, 1-3).
Quando penso al Vangelo e alla proposta specifica di Gesù, mi vengono alla mente le parole del profeta Isaia proclamate nella prima lettura di oggi. Il Vangelo per me è questa ventata di libertà, questo cammino di liberazione per tutti coloro che vivono situazioni di schiavitù e di oppressione. Il Vangelo è una proposta per i poveri del mondo, per gli esclusi, gli emarginati, gli indeboliti, per tutti coloro che dalle logiche del mondo vengono ogni giorno massacrati, umiliati, messi ai margini. Il Vangelo è la certezza che c’è qualcuno da qualche parte, che pensa a tuta questa umanità afflitta, che poi è la stragrande maggioranza, ma che viene messa ai margini da una minoranza di persone che pensano solo a loro stessi. Ecco perché il Vangelo è come un balsamo, un aroma profumato, una ventata di aria pura, un soffio di speranza. Il Vangelo ridà dignità a coloro che ogni giorno vengono calpestati nei loro diritti, che vengono umiliati con la prepotenza dei violenti senza scrupoli. Non a caso Gesù, nel Vangelo di Luca, legge proprio questo brano di Isaia e lo fa suo, identificandosi con questa proposta. In questo tempo di avvento, che stiamo vivendo in preparazione del Natale, è importante recuperare l’origine della proposta di Gesù, assaporarne la bellezza e, allo stesso tempo, la forza e la determinazione. Gesù è l’amore del Padre che è venuto sulla terra, prendendo dimora in mezzo a noi e dicendoci chiaramente senza mezzi termini e lisciate diplomatiche da che parte sta, vale a dire, dalla parte degli ultimi, degli impoveriti, di tutti coloro che sono umiliati. Gesù è venuto per dire a coloro che vivono il peso insopportabile dell’umiliazione quotidiana che Lui sta dalla loro parte, è con loro, li rialza e li fa sedere alla sua mensa. Questo è il senso autentico dell’eucarestia che, prima di essere un rito, indica uno stile di vita, un modo nuovo di stare al mondo. La Chiesa, allora, dovrebbe incarnare questo respiro grande, questa presa di posizione chiara. Dovrebbe essere evidente al mondo che la Chiesa è sulla terra per continuare il cammino di liberazione degli schiavi inaugurato da Gesù. Chi entra in una comunità cristiana alla domenica mentre celebra l’eucarestia, dovrebbe percepire lo stile da tenda da campo, per dirla alla Papa Francesco, che si china a curare le ferite dei cuori spezzati e a ridare dignità agli afflitti, più che curare gli orpelli o i turiboli.
E questa è la
testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme
sacerdoti e leviti a interrogarlo: «Chi sei tu?». Egli confessò e non
negò, e confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Che cosa
dunque? Sei Elia?». Rispose: «Non lo sono». «Sei tu il profeta?». Rispose:
«No». Gli dissero dunque: «Chi sei? Perché possiamo dare una
risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose:
«Io sono voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, come
disse il profeta Isaia» (Is 1, 19-23).
Con
che sicurezza e prontezza Giovanni Battista risponde ai sacerdoti e ai leviti
che lo interrogavano sulla sua identità! È un aspetto che merita di essere
considerato. Giovanni Batista, che viveva nel deserto, con quello stile di vita
sobrio e essenziale che faceva ricordare il profeta Elia, sa molto bene chi è,
ha chiara la propria identità e, per questo, è un punto di riferimento così chiaro e cristallino, che dalla città di Gerusalemme la gente esce per dirigersi
a lui. Giovanni Battista è, in primo luogo, colui che sa chi è, che conosce il
proprio cammino, che non può essere confuso con altri. Da un punto di vista
spirituale, potremmo dire che, il primo effetto significativo del tempo di
avvento, dovrebbe consistere nella possibilità di recuperare la chiarezza con
noi stessi, la nostra identità, il nostro cammino. Giovanni Battista c’insegna
che il silenzio e una vita sobria e essenziale sono strumenti importanti per questo
percorso di recupero della propria identità che, prima di essere un concetto
rigido, è una conquista di una vita docile alla Parola del Signore e, soprattutto,
espressione di quell’amore a sé stessi, così importante per essere poi capaci ad
amare gli altri. Tempo di avvento come tempo propizio per darsi tempo, per
prendersi dei tempi e dei momenti per curare la propria anima, sull’esempio di
Giovanni Battista e, poi, del Signore Gesù.
State sempre
lieti, pregate incessantemente, in ogni cosa rendete grazie… Il Dio
della pace vi santifichi interamente (1 Ts 5, 16.23).
Se
Dio è tutto per noi, se il Vangelo ci riempi la vita con la sua proposta di
speranza, perché essere nell’angustia? Le parole di Paolo sono il più bell’augurio
per tutte le comunità cristiane che, ogni giorno, assimilano il Vangelo e cercano
di viverlo creando relazioni non fondate sullo spirito di sopraffazione sull’altro,
ma sulla gratuità e il dono di sé. Siate sempre lieti: è l’augurio che oggi
Paolo ci fa nella seconda lettura. Togliamo, allora, ogni tristezza dal nostro
volto; riempiamoci dell’amore che lo Spirito del Signore ci dona gratuitamente
per donarlo alle persone che abbiamo vicino e che incontriamo nel nostro
cammino. Siate lieti!
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