XXI DOMENICA/B
(Gs
24, 1-18; Sal 33; Ef 5, 21-32; Gv 6, 60-69)
Paolo
Cugini
L’incomprensione di quello che Gesù dice ai suoi
discepoli e discepole, è il tema del brano di oggi. Un’incomprensione che viene
da lontano, dalla difficoltà di fare il salto di qualità che Gesù propone, di
guardare, cioè, la realtà a partire dalla dimensione spirituale e interiore e
abbandonare una visione materialista e istintiva della storia. È un cammino affascinante,
ma allo stesso tempo difficile perché richiede un cambiamento di mentalità, di
paradigma, di stile di vita possibile solamente a coloro che rispondono personalmente
all’appello del Signore.
Questa
parola è dura! Chi può ascoltarla?
Perché
è dura la Parola di Gesù? Ci sono diverse risposte che si possono dare. La
prima, la più semplice, fa riferimento alle parole precedenti al vangelo di oggi,
quando sosteneva che: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita
eterna”. C’è dunque una resistenza con il contenuto letterale delle parole
utilizzate da Gesù che, come sappiano, vanno interpretate. La carne e il sangue
di Gesù sono la sua parola, il suo stile di vita, che vanno “mangiate”, nel senso
di assimilare, per fare in modo che condizionino le scelte quotidiane. In
secondo luogo è un discorso duro perché è radicale e non ammette alternative. Gesù
pone con le spalle al muro i suoi discepoli e discepole: c’è un unico cammino
che permette di entrare nella vita eterna adesso, ed è il cammino proposto dal
Signore. Ciò significa che occorre scegliere e, scegliendo il Signore si tratta
di abbandonare gli altri cammini. C’è poi un terzo livello per cui il discorso
di Gesù appare duro ed è il suo ribaltamento della prospettiva religiosa
classica. in quest’ultima, infatti, si propone di sacrificare la vita presente
in vista di un premio futuro. Per Gesù, invece, la vita eterna inizia adesso,
nel momento che una persona aderisce alla sua parola, la assimila, la “mangia”,
ha la vita eterna, nel senso che i segni di eternità, che sono l’amore, la
gratuità della vita, la capacità di perdonare di essere persone misericordiose,
inizia ora. Questo discorso fa chiaramente paura e risulta duro per tutte le
persone religiose abituate ad immagazzinare meriti per il dopo, sistema
religioso che permette alle persone di rimanere quello che sono, di farsi gli
affari propri e di giocarsi la religiosità, la possibilità di una vita eterna
dopo la morte. A Gesù non interessano le nostre apparenze religiose, che ci
fanno belli dinanzi al mondo, ma ipocriti davanti a Dio.
È
lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho
detto sono spirito e sono vita.
La carne è la vita guidata dalla parte istintiva,
materiale dell’esistenza e non è in grado di orientarla verso l’amore
autentico, che è disinteressato e gratuito. La carne guida l’esistenza verso il
possesso dell’altro e delle cose, perché centra l’esistenza umana sui propri
interessi. Carne vuole dire egoismo, alimentato dall’istinto di sopravvivenza,
che riduce tutto all’io, persino i rapporti interpersonali. Per questo per
seguire Gesù, comprendere la sua parola, che ci conduce verso uno stile di vita
sobrio e attento agli altri, dimentichi di noi stessi, occorre fare delle
scelte tali che orientino l’esistenza verso lo spirito, la vita interiore, affinché
sia lei a guidare la nostra carne e non il contrario.
Da quel momento molti dei
suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui.
Disse allora Gesù ai Dodici: Volete andarvene anche voi?
Interessante la pedagogia di Gesù: dinanzi al
disappunto e all’abbandono di molti suoi discepoli, non indietreggia, non
abbassa la guardia, soprattutto, non diluisce il suo messaggio rendendolo più
dolce e simpatico. Sa benissimo che il suo discorso è radicale e che molti suoi
discepoli non lo stanno comprendendo. La posta in gioco è, comunque, alta. C’è
uno stile nuovo di vita autentica che Gesù ha inaugurato, che manifesta l’immagine
di Dio con cui siamo stati creati e che il nostro egoismo offusca. Per questo,
Gesù non diminuisce la forza del suo annuncio, perché non cerca il numero di
seguaci, ma coloro che il Padre sta chiamando e che Lui ne sta verificando la
risposta.
Gli rispose Simon Pietro:
«Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e
conosciuto che tu sei il Santo di Dio
La simpatica risposta di Pietro ha un aspetto
positivo e uno negativo. Positivo è lo slancio con cui Pietro riconosce il dato
di fatto che un gruppo di uomini e donne abbiano scelto di seguirlo e, per
farlo, hanno messo a soqquadro le loro vite e sono ancora disposti a seguirlo perché
riconoscono la bontà della sua proposta. Negativo è l’espressione scelta da
Pietro per identificare l’identità di Gesù: il santo di Dio, Si tratta,
infatti, di un titolo messianico che fa riferimento al messianismo davidico,
che vede nel futuro messia un re potente che sconfiggerà il nemico, in questo
caso i romani, messia che veniva a dominare i pagani, a imporre la legge mosaica.
È esattamente l’espressione che ha utilizzato l’uomo posseduto dal demonio
sempre a cafarnao e sempre in una sinagoga, come si legge in Marco 4, 31-37. Niente
di tutto questo vuole essere Gesù, come abbiamo visto. La risposta di Pietro apre
domande inquietanti sul futuro del cammino che Gesù realizzerà con i suoi
discepoli e discepole sino a Gerusalemme.
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