lunedì 30 gennaio 2023

VANGELO DI GIOVANNI CAPITOLO 10

 


 

[Annotazioni di Paolo Cugini]

 

Nel capitolo 10, Gesù continua la tremenda invettiva contro i leader spirituali e i capi del popolo ed è conosciuto come il capitolo del buon pastore. È l’immagine che ha avuto più successo nel cristianesimo, ma questo è derivato all’impoverimento che i cristiani ne hanno fatto o dalla loro incomprensione? Ci facciamo questa domanda perché quando Gesù si presenta come il buon pastore – per noi il massimo della dolcezza – coloro che lo ascoltano dicono: questo è pazzo e alla fine del capitolo, per la seconda volta, tenteranno di ammazzarlo. Siamo noi che abbiamo capito tutto e loro erano particolarmente ottusi? Erano loro che avevano capito bene la portata dell’espressione di Gesù, un pericolo micidiale per l’istituzione religiosa, e noi abbiamo addolcito e smussato l’immagine, senza comprenderne la portata? Per comprendere il capitolo del buon pastore, occorre inserirlo nel contesto culturale in cui questa immagine si è formata, e dobbiamo fare un passo indietro nella storia di Israele.

1 Amen, amen vi dico con assoluta certezza io vi dico: chi non entra attraverso la porta, nel recinto delle pecore, ma sale da un’altra parte, quello è un ladro e un brigante. La denuncia fatta ai capi del popolo, alle autorità religiose è tremenda, di una incredibile violenza verbale.

Chiunque non entra attraverso la porta nel recinto (aulé, in greco, aula perché una volta le aule scolastiche erano all’aperto), è un termine che Giovanni usa solo due volte e lo mette in relazione con un altro episodio, secondo le tecniche letterarie del tempo. Aulé non è mai stato usato nell’Antico Testamento, per indicare il recinto delle pecore, ma le oltre 177 volte che è usato, è l’atrio di fronte al santuario, dove c’era la presenza di Dio. Quando ritornerà di nuovo in Giovanni, indicherà l’atrio della casa del sommo sacerdote.

2 Ma chi entra attraverso la porta è il pastore delle pecore. C’è una persona legittima che non ha bisogno di inganni e sotterfugi per impossessarsi del popolo, entra attraverso la porta, ed è il pastore delle pecore. Il profeta Ezechiele aveva detto: quando verrà il momento, io, il Signore sarò il vero pastore ed eliminerò tutti gli altri pastori. Toglierò le pecore dalle loro fauci (era usato per i lupi). I pastori sono peggio dei lupi. Gesù si presenta come il pastore atteso.

3 A questi il portinaio apre e le pecore la sua voce ascoltano: perché nella voce di Gesù risuona la voce del creatore, che chiama ogni persona ad una pienezza di vita. Una garanzia che il messaggio di Gesù sia di origine divina è che ogni qualvolta si annuncia la buona notizia, in ogni latitudine, la gente reagisce dicendo: io queste cose le sentivo già, le avevo già dentro di me. Adesso le sento formulate.

le sue pecore le chiama per nome, Gesù ha un rapporto individuale. L’evangelista si richiama all’uso palestinese dei pastori che, al momento della nascita degli agnellini, 4 davano ad ognuno un nome che li caratterizzava.

e le conduce fuori. Il verbo condurre adoperato dall’evangelista è un verbo tecnico, che nell’Antico Testamento indica la liberazione dalla schiavitù egiziana, compiuta dal Signore, per portare il popolo nella terra promessa. Condurre fuori indica l’esodo. Quando le persone, anche se sottomesse, narcotizzate, traumatizzate, addormentate dalla religione, sentono l’originalità del messaggio di Gesù, la fiammella riprende vigore e rinascono, lo seguono e le conduce fuori. Il rapporto con Gesù non si fa attraverso una legge, ma attraverso una relazione personale; Gesù le chiama per nome, la voce è la parola che non si trasforma in una legge che l’individuo deve osservare, ma in un dinamismo vitale, che è il suo Spirito, che conosce la singolarità di ogni persona.

4 E quando le proprie le ha cacciate (non condotte fuori) fuori tutte, questo verbo ci ricorda 9,34 quando i capi di fronte al buon senso del cieco nato (o del popolo) che aveva riacquistato la vista, non sapendo più come rispondere, reagiscono con la violenza e lo cacciarono fuori. Colpo di scena, non sono state le autorità a cacciare fuori il cieco nato, Gesù lo ha cacciato fuori, perché gli ha aperto gli occhi. Quando una persona apre gli occhi vede il volto di Dio e soprattutto la dignità dell’uomo.

5 Un estraneo non lo seguiranno i verbi sono al futuro perché (non è una relazione di quanto è accaduto) sono un invito per le comunità di tutti i tempi. I vangeli non sono tanto 5 una polemica con il mondo giudaico, ma insegnamenti per le comunità cristiane di tutti i tempi, perché non incorrano nuovamente in quegli errori. Un estraneo non lo seguiranno, ma fuggiranno da lui, è un invito: bisogna fuggire da quanti pretendono dominare, dire che si è in peccato o non, guidare la vita degli altri e si credono autorizzati di imporre quello che si deve fare o non fare in ogni singolo aspetto della vita. Quando una proposta viene fatta attraverso degli obblighi e imposizioni non viene da Dio, chiunque la faccia: e le autorità devono obbligare perché non riescono a convincere.

7 Disse allora di nuovo Gesù: Amen, amen io vi dico: Io sono, è il nome divino e Gesù dichiara, prima volta in questo brano di quattro, la sua condizione divina, la porta delle pecore (ci saremmo aspettati del recinto). L’epoca dei recinti è finita, coloro che accolgono Gesù non sono inseriti in un altro recinto, ma fanno parte di un gregge che segue il pastore e come diceva il salmo, li porta alla piena libertà. È il passaggio dalla religione alla fede. Religione ciò che l’uomo fa per Dio, la fede è ciò che Dio fa per l’uomo. Nella religione si toglie la libertà degli uomini in cambio della loro sicurezza. Il recinto è il luogo in cui le pecore sono al sicuro, ma non sono libere.

8 Tutti coloro che sono venuti prima di me, non è solo un prima cronologico, ma al di fuori di me, con altri intenti, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. I capi sono stati obbediti, ma non ascoltati; il popolo è stato sottomesso dal dominio esercitato in nome di Dio, ma non è stato convinto. È la forza del messaggio di Gesù: anche un popolo dominato dalla religione, sottomesso dalla schiavitù in nome di Dio, appena Gesù fa risuonare la sua parola, il popolo rinasce e lo segue. Tutti i presunti pastori, dirigenti religiosi, sono ladri e briganti.

9 Io sono la porta: se qualcuno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il profeta Osea aveva detto: non voglio sacrifici, ma voglio amore. È finita l’epoca dei sacrifici, ma i capi religiosi ne hanno bisogno perché sacrificando a Dio, sacrificano il popolo e non capiscono la novità portata dal Signore: non c’è più l’epoca dei sacrifici. Sono venuti per rubare, sacrificare in nome di Dio e distruggere.

10 il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano vita e in abbondanza. Il Signore non ci dà una vita normale,ma una vita in abbondanza, di una pienezza tale che al momento della morte la supererà e continuerà a vivere. Ecco il versetto centrale che dà il titolo all’intero episodio,

11 Io sono, rivendica la condizione divina per la terza volta, il bel pastore il articolo determinativo, quello atteso. Non è il buon pastore (la bontà di Gesù); se Gesù si fosse presentato come il buon pastore perché, immediatamente, coloro che lo ascoltano dicono: è un indemoniato, è un pazzo? E alla fine dell’episodio cercheranno di ammazzarlo? L’evangelista (Gesù) non dice: sono il buon pastore. Per indicare la bontà di Gesù, Giovanni non usa il termine greco agatos (buono), ma kalos, bello nel senso di migliore o perfetto. Io sono il pastore, il bello, l’eccellente, quello che è perfetto.

Il pastore quello buono offre la sua vita per le pecore. Il pastore non si limita a proteggere, come dice Ezechiele, ad avere cura del gregge, ma arriva al punto di dare la vita per le sue pecore. Gesù elimina, dal pastore, ogni possibile traccia di dominio, lui è il vero pastore: il dono generoso della sua vita, non nasce da un pericolo per i suoi, ma lo precede. Quando si comprendono e si accolgono certe espressioni del vangelo, la vita cambia.

12 Il mercenario, non è un pastore che si comporta male e non è stato incaricato dal pastore, è colui che agisce per soldi, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le rapisce e le disperde; Gesù che ha già messo in guardia il gregge dai ladri e dai briganti contrappone a sé, figura del pastore 8 modello (che dà la vita), quella del mercenario. Il lupo è una minaccia per entrambi, per il pastore e per il mercenario. Il pastore sacrifica la propria vita per la salvezza del gregge; il mercenario, colui che governa le pecore soltanto per interesse e gli interessa di più la propria vita, abbandona le pecore al loro destino e il lupo le rapisce e le disperde. Gesù, il pastore, è venuto a riunire chi è disperso; i mercenari non fanno altro che disperdere quello che è riunito.

13 è un mercenario e non gli importa delle pecore. È un monito alla comunità cristiana: che nessuno si arroghi un servizio per il proprio interesse e prestigio, questo è dannoso. Il termine non gli importa, lo ritroviamo al capitolo 12, Giovani indicherà Giuda: non gli importava dei poveri, perché era ladro. Accomunando i due casi, non importa significa che l’interesse viene al di sopra di tutto; per mantenere il proprio prestigio sono capaci di tutto. È un mercenario e non gli importa delle pecore, svolge un’attività esclusivamente per il proprio interesse.

14 Io sono, è la quarta volta che conferma la sua condizione divina, il pastore quello buono, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, l’evangelista scrive in greco, ma la cultura è ebraica. Nel mondo ebraico si era sessuofobi e non si nominava tutto ciò che aveva a che fare con il sesso, e si usavano giri di parole. È il problema per chi legge la Bibbia, che non è tenuto a conoscere i modi di dire del mondo ebraico, ma se il traduttore non lo aiuta con una buona nota, va in crisi.

15 Come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e offro la vita per le mie pecore. È la novità portata da Gesù. Nella religione, l’uomo era orientato verso Dio che era il traguardo della sua esistenza; con Gesù si cambia e l’uomo non deve vivere più per Dio, in funzione di Dio. Con Gesù è Dio che prende l’iniziativa e inonda, attraverso Gesù e il suo Spirito, gli uomini del suo amore e diventano una sola cosa.

16 E ho altre pecore che non sono di questo ovile: Non c’è più spazio per nessun recinto, Gesù viene a togliere le pecore dall’ovile, ma non le riporta in un altro ovile, viene a proporre la libertà, ma è tanta la tentazione di racchiudere il gregge in un qualunque posto. e diventeranno un gregge, forse Girolamo confuso da ho altre pecore che non sono di questo ovile, non tradusse gregge, ma ovile. Dal IV secolo in poi la chiesa non adoperò più il testo originale greco dei vangeli, ma la traduzione latina della Vulgata e su quel testo per ben 1500 anni basò la propria teologia, su una traduzione sbagliata, su una espressione che è l’esatto contrario di quello che Gesù voleva affermare: saranno un gregge (Gesù libera dagli ovili per formare un gregge di persone libere) divenne saranno un ovile. La parola di Gesù, che è veritiera, è che ci deve essere un ovile: la chiesa.

17 Per questo il Padre mi ama, perché io dono tutto me stesso, per poi riprenderla di nuovo. L’evangelista ci prepara per l’incontro scioccante del prossimo capitolo, la resurrezione di Lazzaro, che non è la rianimazione di un cadavere. Qui per vita adopera il termine psyché; Giovanni usa tre termini per vita: bios, inizio e fine della carne, zoe, vita divina, vita di una qualità tale che è indistruttibile, nel centro c’è 11 psyché, anima, respiro, io individuale. Psychè, l’io individuale, riguarda la persona che può fare una scelta nella propria vita: restare a livello di bios, biologico con un inizio-sviluppo- declino–disfacimento; dare adesione ad una vita di una qualità tale che è indistruttibile. Ho fatto questa sottolineatura perché dice: Per questo il Padre mi ama, perché io dono psyché, l’io individuale, per poi riprenderlo di nuovo. La condizione delle persone che passano attraverso la morte, non è di un’anima, di un vapore, di un qualcosa che non si riconosce, è la persona, la psyché, l’io che mi distingue da un altro oltre ad avere la vita eterna, io quello che sono con tutta la mia storia, sono io che continuo a vivere

19 Di nuovo ci fu divisione, è la terza volta, è definitiva. Quando Gesù parla, ha già provocato divisioni tra la folla (è il Cristo, non è il Cristo) e tra i farisei (nell’episodio del cieco nato), ora è la terza e ultima volta, provoca divisione, scisma, fra i Giudei per queste parole. È una divisione fra i capi (di cinque minuti) poi appena Gesù bestemmia, sono compatti per ammazzarlo. Adesso di fronte alle sue parole c’è un momento di crisi. Quelli che giudicano in base alla legge, non hanno alcun dubbio, diranno è un demonio, quelli che pur osservando la legge giudicano in base alle azioni, rimangono in crisi.

20 Molti di loro, la maggioranza, dicevano: Ha un demonio, è impazzito; non è indemoniato, posseduto da un demonio. Se gli esorcisti studiassero la demonologia palestinese rimarrebbero disoccupati perché i demoni, dell’epoca di Gesù erano tutto ciò che non era spiegabile, come l’insonnia, l’insolazione, l’ubriachezza, la moderna depressione. Questi erano demoni specializzati in un settore. C’era un demonio che dava la pazzia; il termine, infatti è impazzito, e la parola greca è la stessa da cui viene mania. Gesù, per quelli che giudicano in base alla legge e ai codici, è un maniaco, un matto da legare.

22 Ci fu allora la dedicazione in Gerusalemme. Era inverno. Sarà l’ultima volta che Gesù si troverà nel Tempio di Gerusalemme ed è l’ultima delle feste che si incontrano in questo vangelo con Gesù come protagonista e le autorità. Ogni volta che Gesù è stato al Tempio, ogni volta che c’è una festa, c’è un conflitto tra Gesù, il Figlio di Dio e quelli che si ritengono i rappresentanti di Dio. La festa della dedicazione, meglio della consacrazione o hanukkah, durava otto giorni a ricordo della consacrazione del Tempio di Gerusalemme nel 165 a. C. per opera di Giuda Maccabeo.

24 Allora i Giudei lo circondarono, il verbo circondare ha una connotazione ostile e anticipa il salmo 22 che poi tutti gli evangelisti adopereranno per la passione: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato. Nello stesso salmo la vittima dell’ingiustizia dice: un branco di cani mi circonda (in greco è lo stesso termine), mi assedia una banda di malvagi. Quelli che circondano Gesù sono i Giudei che per l’evangelista sono una banda di malvagi, si sapeva, ma è insultante sono i cani, animali impuri.

26 ma voi non credete, l’attacco ai capi è senza sconto, perché non siete delle mie pecore. Non sono il suo gregge, non sono il popolo di cui il Signore si prende cura. Al contrario, non essendo pecore, sono lupi e briganti e assassini; sono i nemici del popolo. Gesù senza il minimo rispetto reverenziale verso le massime autorità religiose, dice che non solo non sono il popolo di Dio, ma sono i nemici di quel popolo e già li aveva denunciati come figli del diavolo e come lui omicidi.

27 Le pecore, le mie, sono del Signore, i capi se ne sono impadroniti, la mia voce ascoltano ed io le conosco e mi seguono. In greco c’è una stretta assonanza tra ascoltare e seguire, ascoltare Gesù non è un aspetto statico, perché comporta il seguirlo. Il seguirlo permette di ascoltarlo ancora di più, come l’ascoltarlo permette il seguire.

28 Io dono loro la vita eterna ritorna il filo conduttore del vangelo di Giovanni e nel capitolo 11 avrà la piena realizzazione. La vita eterna, zoe, è una vita indistruttibile, che non farà l’esperienza della morte; non va conquistata, non va meritata, è un dono dato da Dio.

30 Io e il Padre siamo uno. È una bestemmia, rivendica per sé la condizione divina, per di più è pronunziata nel Tempio. Non afferma che lui e il Padre sono uniti, ma che ha la stessa condizione divina del Padre. Il termine uno, è il nome di Dio e nel profeta Ezechiele: il Signore sarà re sopra tutta la terra. In quel giorno il Signore sarà uno, Uno sarà il suo nome. Gesù non dice di essere unito al Padre, potevano dirlo anche le altre persone, Io e il Padre siamo uno, rivendica la pienezza della condizione divina. Identificandosi con il Padre, denuncia i capi del popolo che gli si oppongono e opporsi a lui significa opporsi a Dio. Gesù dice che è Dio, che è Uno, perché in lui si manifesta la stessa azione creatrice del Padre, con la quale Dio comunica la vita al popolo. Gesù ha compiuto le stesse opere del Padre.

32 Replicò Gesù: Molte opere buone vi ho mostrato dal Padre; per quale di queste opere mi lapidate? non imposta la questione sulla dottrina, ma sui fatti. Le opere che ha compiuto sono state tutte comunicazione di vita. Le opere che ha compiuto in questo vangelo sono: la vita al figlio del funzionario regale; la vita all’invalido; la condivisione dei pani e dei pesci in cui invita la sua comunità a farsi pane per gli altri; la restituzione della vista al cieco nato. Sono opere che hanno un unico denominatore comune, la felicità; Dio vuole la felicità degli uomini, non l’infelicità.

33 Gli risposero i Giudei sono compatti Non ti lapidiamo per un’opera buona, Gesù aveva contrapposto alla dottrina le opere, loro contrappongono di nuovo la dottrina che hanno inventato, non sanno come ribattere, ma per la bestemmia: perché tu, un uomo, ti fai Dio. È la lapide funeraria sull’istituzione religiosa e sui suoi rappresentanti. Il progetto di Dio sull’umanità è che l’uomo diventi suo figlio. Nel prologo diceva: a quanti lo hanno accolto ha dato la capacità di diventare figli di Dio; l’uomo è chiamato ad avere la condizione divina. I rappresentanti di Dio (che erano a diretto contatto con lui, come il sommo sacerdote che, entrando nel Tempio una volta all’anno, pronunciava il nome misterioso di Dio e diceva al popolo la volontà di Dio) ritengono la volontà di Dio una bestemmia. Dicendo che Gesù bestemmia, ritengono che da quel momento ogni persona è autorizzata ad ammazzarlo ed è un obbligo religioso.

non è scritto nella vostra Legge: prende le distanze ogni volta che deve riferirsi alla Legge di Dio, vostra. La Legge presentata agli uomini come volontà di Dio è per Gesù un’impostura, perché Dio è amore che non può essere formulato attraverso leggi, ma solo attraverso opere che comunicano vita e amore. Nessuna legge potrà formulare l’amore di Dio che è vita e la Legge non può formulare vita.

35 Se ha detto dei, coloro ai quali Dio diresse la sua parola (e non si può abolire la Scrittura), tanto più sarà Dio colui che è la stessa parola divina,

36 a colui che il Padre consacra e inviò al mondo voi dite che bestemmia, perché ho detto che sono Figlio di Dio? Non è facile cogliere il ragionamento tipico delle dispute rabbiniche sui versetti della Legge. Questo è il ragionamento: se Dio ha detto che sono dei, coloro ai quali ha rivolto la sua parola, quanto più sarà Dio colui che è la stessa parola del Signore.

37 Se non faccio le opere di mio Padre non credetemi; il problema da sempre se in Gesù si manifesta la condizione divina, non è risolto da Gesù con una dottrina o una formula teologica, ma attraverso le opere. Questo non solo prova la divinità di Gesù, ma ci fa comprendere che Dio è amore che ha a cuore la felicità degli uomini e tutte le opere di Dio sono rivolte alla felicità dell’uomo. È il contrario della religione che sguazza nell’infelicità e nella sofferenza delle persone, Dio è più associato al dolore che alla felicità o al piacere, che in un ambito spirituale assume una connotazione peccaminosa.

38 Ma se le faccio, anche se non credete in me, credete alle opere, affinché conosciate e sappiate che in me è il Padre, e io nel Padre. Gesù si identifica nel Padre, nelle stesse opere che intendono dare vita; per questo soltanto colui che ha a cuore il bene degli uomini può riconoscere in Gesù, l’azione divina. Questo non è possibile alle autorità religiose che sono ottuse, che non riconoscono in Gesù l’azione divina e Gesù dice: non importa se non riconoscete me, ma credete alle opere che comunicano vita. Per riconoscere in Gesù la presenza di Dio bisogna che il bene dell’uomo sia un valore importante nell’esistenza dell’individuo. Alle autorità religiose non interessa il bene dell’uomo, sono interessate al proprio bene, all’espansione del proprio potere.

39 E cercavano di nuovo di catturarlo, Gesù non si è mosso sul piano dottrinale, ma sul piano pratico credete per le opere e le sue opere sono state tutte per ridare vita al popolo, ma questo significava toglierlo alle autorità religiose.

40 E andò di nuovo al di là del Giordano, nel luogo dove Giovanni all’inizio battezzava e rimase là. Abbiamo visto che non sorprende che Gesù sia stato ammazzato, ma stupisce come sia riuscito a campare così tanto, perché si è dato continuamente alla latitanza, finché ha deciso di affrontare le istituzioni ed è entrato in Gerusalemme. Ancora non è tempo, perché deve formare il suo gruppo. Se ne va al di là del Giordano, nel luogo dove Giovanni aveva iniziato il suo battesimo.

 

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