[Annotazioni di Paolo
Cugini]
Nel capitolo 10, Gesù
continua la tremenda invettiva contro i leader spirituali e i capi del popolo
ed è conosciuto come il capitolo del buon pastore. È l’immagine che ha avuto
più successo nel cristianesimo, ma questo è derivato all’impoverimento che i
cristiani ne hanno fatto o dalla loro incomprensione? Ci facciamo questa
domanda perché quando Gesù si presenta come il buon pastore – per noi il
massimo della dolcezza – coloro che lo ascoltano dicono: questo è pazzo e alla
fine del capitolo, per la seconda volta, tenteranno di ammazzarlo. Siamo noi
che abbiamo capito tutto e loro erano particolarmente ottusi? Erano loro che
avevano capito bene la portata dell’espressione di Gesù, un pericolo micidiale
per l’istituzione religiosa, e noi abbiamo addolcito e smussato l’immagine,
senza comprenderne la portata? Per comprendere il capitolo del buon pastore,
occorre inserirlo nel contesto culturale in cui questa immagine si è formata, e
dobbiamo fare un passo indietro nella storia di Israele.
1 Amen, amen vi dico con
assoluta certezza io vi dico: chi non entra attraverso la porta, nel recinto
delle pecore, ma sale da un’altra parte, quello è un ladro e un brigante.
La denuncia fatta ai capi del popolo, alle autorità religiose è tremenda, di
una incredibile violenza verbale.
Chiunque non entra
attraverso la porta nel recinto (aulé, in greco, aula perché una volta le aule
scolastiche erano all’aperto), è un termine che Giovanni usa solo due volte e
lo mette in relazione con un altro episodio, secondo le tecniche letterarie del
tempo. Aulé non è mai stato usato nell’Antico Testamento, per indicare il
recinto delle pecore, ma le oltre 177 volte che è usato, è l’atrio di fronte al
santuario, dove c’era la presenza di Dio. Quando ritornerà di nuovo in
Giovanni, indicherà l’atrio della casa del sommo sacerdote.
2 Ma chi entra attraverso
la porta è il pastore delle pecore. C’è una persona
legittima che non ha bisogno di inganni e sotterfugi per impossessarsi del
popolo, entra attraverso la porta, ed è il pastore delle pecore. Il profeta
Ezechiele aveva detto: quando verrà il momento, io, il Signore sarò il vero
pastore ed eliminerò tutti gli altri pastori. Toglierò le pecore dalle loro
fauci (era usato per i lupi). I pastori sono peggio dei lupi. Gesù si presenta
come il pastore atteso.
3 A questi il portinaio
apre e le pecore la sua voce ascoltano: perché nella voce di
Gesù risuona la voce del creatore, che chiama ogni persona ad una pienezza di
vita. Una garanzia che il messaggio di Gesù sia di origine divina è che ogni
qualvolta si annuncia la buona notizia, in ogni latitudine, la gente reagisce
dicendo: io queste cose le sentivo già, le avevo già dentro di me. Adesso le
sento formulate.
le sue pecore le chiama
per nome, Gesù ha un rapporto individuale. L’evangelista si richiama all’uso
palestinese dei pastori che, al momento della nascita degli agnellini, 4 davano
ad ognuno un nome che li caratterizzava.
e le conduce fuori. Il
verbo condurre adoperato dall’evangelista è un verbo tecnico, che nell’Antico
Testamento indica la liberazione dalla schiavitù egiziana, compiuta dal
Signore, per portare il popolo nella terra promessa. Condurre fuori indica
l’esodo. Quando le persone, anche se sottomesse, narcotizzate, traumatizzate,
addormentate dalla religione, sentono l’originalità del messaggio di Gesù, la
fiammella riprende vigore e rinascono, lo seguono e le conduce fuori. Il
rapporto con Gesù non si fa attraverso una legge, ma attraverso una relazione
personale; Gesù le chiama per nome, la voce è la parola che non si trasforma in
una legge che l’individuo deve osservare, ma in un dinamismo vitale, che è il
suo Spirito, che conosce la singolarità di ogni persona.
4 E quando le proprie le
ha cacciate (non condotte fuori) fuori tutte, questo
verbo ci ricorda 9,34 quando i capi di fronte al buon senso del cieco nato (o
del popolo) che aveva riacquistato la vista, non sapendo più come rispondere,
reagiscono con la violenza e lo cacciarono fuori. Colpo di scena, non sono
state le autorità a cacciare fuori il cieco nato, Gesù lo ha cacciato fuori,
perché gli ha aperto gli occhi. Quando una persona apre gli occhi vede il volto
di Dio e soprattutto la dignità dell’uomo.
5 Un estraneo non lo
seguiranno i verbi sono al futuro perché (non è una relazione di
quanto è accaduto) sono un invito per le comunità di tutti i tempi. I vangeli
non sono tanto 5 una polemica con il mondo giudaico, ma insegnamenti per le
comunità cristiane di tutti i tempi, perché non incorrano nuovamente in quegli
errori. Un estraneo non lo seguiranno, ma fuggiranno da lui, è un invito:
bisogna fuggire da quanti pretendono dominare, dire che si è in peccato o non, guidare
la vita degli altri e si credono autorizzati di imporre quello che si deve fare
o non fare in ogni singolo aspetto della vita. Quando una proposta viene fatta
attraverso degli obblighi e imposizioni non viene da Dio, chiunque la faccia: e
le autorità devono obbligare perché non riescono a convincere.
7 Disse allora di nuovo
Gesù: Amen, amen io vi dico: Io sono, è il nome divino e Gesù
dichiara, prima volta in questo brano di quattro, la sua condizione divina, la
porta delle pecore (ci saremmo aspettati del recinto). L’epoca dei recinti è
finita, coloro che accolgono Gesù non sono inseriti in un altro recinto, ma
fanno parte di un gregge che segue il pastore e come diceva il salmo, li porta
alla piena libertà. È il passaggio dalla religione alla fede. Religione ciò che
l’uomo fa per Dio, la fede è ciò che Dio fa per l’uomo. Nella religione si
toglie la libertà degli uomini in cambio della loro sicurezza. Il recinto è il
luogo in cui le pecore sono al sicuro, ma non sono libere.
8 Tutti coloro che sono
venuti prima di me, non è solo un prima cronologico, ma al
di fuori di me, con altri intenti, sono ladri e briganti; ma le pecore non li
hanno ascoltati. I capi sono stati obbediti, ma non ascoltati; il popolo è
stato sottomesso dal dominio esercitato in nome di Dio, ma non è stato
convinto. È la forza del messaggio di Gesù: anche un popolo dominato dalla
religione, sottomesso dalla schiavitù in nome di Dio, appena Gesù fa risuonare
la sua parola, il popolo rinasce e lo segue. Tutti i presunti pastori,
dirigenti religiosi, sono ladri e briganti.
9 Io sono la porta: se
qualcuno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà
pascolo. Il profeta Osea aveva detto: non voglio sacrifici, ma
voglio amore. È finita l’epoca dei sacrifici, ma i capi religiosi ne hanno
bisogno perché sacrificando a Dio, sacrificano il popolo e non capiscono la
novità portata dal Signore: non c’è più l’epoca dei sacrifici. Sono venuti per
rubare, sacrificare in nome di Dio e distruggere.
10 il ladro non viene se
non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano vita e in
abbondanza. Il Signore non ci dà una vita normale,ma
una vita in abbondanza, di una pienezza tale che al momento della morte la
supererà e continuerà a vivere. Ecco il versetto centrale che dà il titolo
all’intero episodio,
11 Io sono,
rivendica la condizione divina per la terza volta, il bel pastore il articolo
determinativo, quello atteso. Non è il buon pastore (la bontà di Gesù); se Gesù
si fosse presentato come il buon pastore perché, immediatamente, coloro che lo
ascoltano dicono: è un indemoniato, è un pazzo? E alla fine dell’episodio
cercheranno di ammazzarlo? L’evangelista (Gesù) non dice: sono il buon pastore.
Per indicare la bontà di Gesù, Giovanni non usa il termine greco agatos
(buono), ma kalos, bello nel senso di migliore o perfetto. Io sono il pastore,
il bello, l’eccellente, quello che è perfetto.
Il pastore quello buono
offre la sua vita per le pecore. Il pastore non si limita a proteggere, come
dice Ezechiele, ad avere cura del gregge, ma arriva al punto di dare la vita
per le sue pecore. Gesù elimina, dal pastore, ogni possibile traccia di
dominio, lui è il vero pastore: il dono generoso della sua vita, non nasce da
un pericolo per i suoi, ma lo precede. Quando si comprendono e si accolgono
certe espressioni del vangelo, la vita cambia.
12 Il mercenario,
non è un pastore che si comporta male e non è stato incaricato dal pastore, è
colui che agisce per soldi, che non è pastore e al quale le pecore non
appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le
rapisce e le disperde; Gesù che ha già messo in guardia il gregge dai ladri e
dai briganti contrappone a sé, figura del pastore 8 modello (che dà la vita),
quella del mercenario. Il lupo è una minaccia per entrambi, per il pastore e
per il mercenario. Il pastore sacrifica la propria vita per la salvezza del
gregge; il mercenario, colui che governa le pecore soltanto per interesse e gli
interessa di più la propria vita, abbandona le pecore al loro destino e il lupo
le rapisce e le disperde. Gesù, il pastore, è venuto a riunire chi è disperso;
i mercenari non fanno altro che disperdere quello che è riunito.
13 è un mercenario e non
gli importa delle pecore. È un monito alla comunità cristiana:
che nessuno si arroghi un servizio per il proprio interesse e prestigio, questo
è dannoso. Il termine non gli importa, lo ritroviamo al capitolo 12, Giovani
indicherà Giuda: non gli importava dei poveri, perché era ladro. Accomunando i
due casi, non importa significa che l’interesse viene al di sopra di tutto; per
mantenere il proprio prestigio sono capaci di tutto. È un mercenario e non gli
importa delle pecore, svolge un’attività esclusivamente per il proprio
interesse.
14 Io sono,
è la quarta volta che conferma la sua condizione divina, il pastore quello
buono, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, l’evangelista scrive
in greco, ma la cultura è ebraica. Nel mondo ebraico si era sessuofobi e non si
nominava tutto ciò che aveva a che fare con il sesso, e si usavano giri di
parole. È il problema per chi legge la Bibbia, che non è tenuto a conoscere i
modi di dire del mondo ebraico, ma se il traduttore non lo aiuta con una buona
nota, va in crisi.
15 Come il Padre conosce
me e io conosco il Padre, e offro la vita per le mie pecore.
È la novità portata da Gesù. Nella religione, l’uomo era orientato verso Dio
che era il traguardo della sua esistenza; con Gesù si cambia e l’uomo non deve
vivere più per Dio, in funzione di Dio. Con Gesù è Dio che prende l’iniziativa
e inonda, attraverso Gesù e il suo Spirito, gli uomini del suo amore e
diventano una sola cosa.
16 E ho altre pecore che
non sono di questo ovile: Non c’è più spazio per nessun
recinto, Gesù viene a togliere le pecore dall’ovile, ma non le riporta in un
altro ovile, viene a proporre la libertà, ma è tanta la tentazione di
racchiudere il gregge in un qualunque posto. e diventeranno un gregge, forse
Girolamo confuso da ho altre pecore che non sono di questo ovile, non tradusse
gregge, ma ovile. Dal IV secolo in poi la chiesa non adoperò più il testo
originale greco dei vangeli, ma la traduzione latina della Vulgata e su quel
testo per ben 1500 anni basò la propria teologia, su una traduzione sbagliata,
su una espressione che è l’esatto contrario di quello che Gesù voleva
affermare: saranno un gregge (Gesù libera dagli ovili per formare un gregge di
persone libere) divenne saranno un ovile. La parola di Gesù, che è veritiera, è
che ci deve essere un ovile: la chiesa.
17 Per questo il Padre mi
ama, perché io dono tutto me stesso, per poi riprenderla di nuovo.
L’evangelista ci prepara per l’incontro scioccante del prossimo capitolo, la
resurrezione di Lazzaro, che non è la rianimazione di un cadavere. Qui per vita
adopera il termine psyché; Giovanni usa tre termini per vita: bios, inizio e
fine della carne, zoe, vita divina, vita di una qualità tale che è
indistruttibile, nel centro c’è 11 psyché, anima, respiro, io individuale.
Psychè, l’io individuale, riguarda la persona che può fare una scelta nella
propria vita: restare a livello di bios, biologico con un inizio-sviluppo-
declino–disfacimento; dare adesione ad una vita di una qualità tale che è
indistruttibile. Ho fatto questa sottolineatura perché dice: Per questo il
Padre mi ama, perché io dono psyché, l’io individuale, per poi riprenderlo di
nuovo. La condizione delle persone che passano attraverso la morte, non è di
un’anima, di un vapore, di un qualcosa che non si riconosce, è la persona, la
psyché, l’io che mi distingue da un altro oltre ad avere la vita eterna, io
quello che sono con tutta la mia storia, sono io che continuo a vivere
19 Di nuovo ci fu
divisione, è la terza volta, è definitiva. Quando Gesù parla, ha
già provocato divisioni tra la folla (è il Cristo, non è il Cristo) e tra i
farisei (nell’episodio del cieco nato), ora è la terza e ultima volta, provoca
divisione, scisma, fra i Giudei per queste parole. È una divisione fra i capi
(di cinque minuti) poi appena Gesù bestemmia, sono compatti per ammazzarlo.
Adesso di fronte alle sue parole c’è un momento di crisi. Quelli che giudicano
in base alla legge, non hanno alcun dubbio, diranno è un demonio, quelli che
pur osservando la legge giudicano in base alle azioni, rimangono in crisi.
20 Molti di loro, la
maggioranza, dicevano: Ha un demonio, è impazzito;
non è indemoniato, posseduto da un demonio. Se gli esorcisti studiassero la
demonologia palestinese rimarrebbero disoccupati perché i demoni, dell’epoca di
Gesù erano tutto ciò che non era spiegabile, come l’insonnia, l’insolazione,
l’ubriachezza, la moderna depressione. Questi erano demoni specializzati in un
settore. C’era un demonio che dava la pazzia; il termine, infatti è impazzito,
e la parola greca è la stessa da cui viene mania. Gesù, per quelli che
giudicano in base alla legge e ai codici, è un maniaco, un matto da legare.
22 Ci fu allora la
dedicazione in Gerusalemme. Era inverno. Sarà l’ultima volta che
Gesù si troverà nel Tempio di Gerusalemme ed è l’ultima delle feste che si
incontrano in questo vangelo con Gesù come protagonista e le autorità. Ogni
volta che Gesù è stato al Tempio, ogni volta che c’è una festa, c’è un
conflitto tra Gesù, il Figlio di Dio e quelli che si ritengono i rappresentanti
di Dio. La festa della dedicazione, meglio della consacrazione o hanukkah,
durava otto giorni a ricordo della consacrazione del Tempio di Gerusalemme nel
165 a. C. per opera di Giuda Maccabeo.
24 Allora i Giudei lo
circondarono, il verbo circondare ha una connotazione
ostile e anticipa il salmo 22 che poi tutti gli evangelisti adopereranno per la
passione: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato. Nello stesso salmo la
vittima dell’ingiustizia dice: un branco di cani mi circonda (in greco è lo
stesso termine), mi assedia una banda di malvagi. Quelli che circondano Gesù
sono i Giudei che per l’evangelista sono una banda di malvagi, si sapeva, ma è
insultante sono i cani, animali impuri.
26 ma voi non credete,
l’attacco ai capi è senza sconto, perché non siete delle mie pecore.
Non sono il suo gregge, non sono il popolo di cui il Signore si prende cura. Al
contrario, non essendo pecore, sono lupi e briganti e assassini; sono i nemici
del popolo. Gesù senza il minimo rispetto reverenziale verso le massime
autorità religiose, dice che non solo non sono il popolo di Dio, ma sono i
nemici di quel popolo e già li aveva denunciati come figli del diavolo e come
lui omicidi.
27 Le pecore, le mie,
sono del Signore, i capi se ne sono impadroniti, la mia voce ascoltano ed io le
conosco e mi seguono. In greco c’è una stretta assonanza tra
ascoltare e seguire, ascoltare Gesù non è un aspetto statico, perché comporta
il seguirlo. Il seguirlo permette di ascoltarlo ancora di più, come
l’ascoltarlo permette il seguire.
28 Io dono loro la vita
eterna ritorna il filo conduttore del vangelo di
Giovanni e nel capitolo 11 avrà la piena realizzazione. La vita eterna, zoe, è
una vita indistruttibile, che non farà l’esperienza della morte; non va
conquistata, non va meritata, è un dono dato da Dio.
30 Io e il Padre siamo
uno.
È una bestemmia, rivendica per sé la condizione divina, per di più è
pronunziata nel Tempio. Non afferma che lui e il Padre sono uniti, ma che ha la
stessa condizione divina del Padre. Il termine uno, è il nome di Dio e nel
profeta Ezechiele: il Signore sarà re sopra tutta la terra. In quel giorno il
Signore sarà uno, Uno sarà il suo nome. Gesù non dice di essere unito al Padre,
potevano dirlo anche le altre persone, Io e il Padre siamo uno, rivendica la
pienezza della condizione divina. Identificandosi con il Padre, denuncia i capi
del popolo che gli si oppongono e opporsi a lui significa opporsi a Dio. Gesù
dice che è Dio, che è Uno, perché in lui si manifesta la stessa azione
creatrice del Padre, con la quale Dio comunica la vita al popolo. Gesù ha
compiuto le stesse opere del Padre.
32 Replicò Gesù: Molte
opere buone vi ho mostrato dal Padre; per quale di queste opere mi lapidate? non
imposta la questione sulla dottrina, ma sui fatti. Le opere che ha compiuto
sono state tutte comunicazione di vita. Le opere che ha compiuto in questo
vangelo sono: la vita al figlio del funzionario regale; la vita all’invalido;
la condivisione dei pani e dei pesci in cui invita la sua comunità a farsi pane
per gli altri; la restituzione della vista al cieco nato. Sono opere che hanno
un unico denominatore comune, la felicità; Dio vuole la felicità degli uomini,
non l’infelicità.
33 Gli risposero i Giudei
sono compatti Non ti lapidiamo per un’opera buona,
Gesù aveva contrapposto alla dottrina le opere, loro contrappongono di nuovo la
dottrina che hanno inventato, non sanno come ribattere, ma per la bestemmia:
perché tu, un uomo, ti fai Dio. È la lapide funeraria sull’istituzione
religiosa e sui suoi rappresentanti. Il progetto di Dio sull’umanità è che
l’uomo diventi suo figlio. Nel prologo diceva: a quanti lo hanno accolto ha
dato la capacità di diventare figli di Dio; l’uomo è chiamato ad avere la
condizione divina. I rappresentanti di Dio (che erano a diretto contatto con
lui, come il sommo sacerdote che, entrando nel Tempio una volta all’anno,
pronunciava il nome misterioso di Dio e diceva al popolo la volontà di Dio)
ritengono la volontà di Dio una bestemmia. Dicendo che Gesù bestemmia,
ritengono che da quel momento ogni persona è autorizzata ad ammazzarlo ed è un
obbligo religioso.
non è scritto nella
vostra Legge: prende le distanze ogni volta che deve riferirsi alla Legge di
Dio, vostra. La Legge presentata agli uomini come volontà di Dio è per Gesù
un’impostura, perché Dio è amore che non può essere formulato attraverso leggi,
ma solo attraverso opere che comunicano vita e amore. Nessuna legge potrà
formulare l’amore di Dio che è vita e la Legge non può formulare vita.
35 Se ha detto dei,
coloro ai quali Dio diresse la sua parola (e non si può
abolire la Scrittura), tanto più sarà Dio colui che è la stessa parola divina,
36 a colui che il Padre
consacra e inviò al mondo voi dite che bestemmia, perché ho detto che sono
Figlio di Dio? Non è facile cogliere il ragionamento
tipico delle dispute rabbiniche sui versetti della Legge. Questo è il
ragionamento: se Dio ha detto che sono dei, coloro ai quali ha rivolto la sua parola,
quanto più sarà Dio colui che è la stessa parola del Signore.
37 Se non faccio le opere
di mio Padre non credetemi; il problema da sempre se in Gesù si
manifesta la condizione divina, non è risolto da Gesù con una dottrina o una
formula teologica, ma attraverso le opere. Questo non solo prova la divinità di
Gesù, ma ci fa comprendere che Dio è amore che ha a cuore la felicità degli
uomini e tutte le opere di Dio sono rivolte alla felicità dell’uomo. È il
contrario della religione che sguazza nell’infelicità e nella sofferenza delle
persone, Dio è più associato al dolore che alla felicità o al piacere, che in
un ambito spirituale assume una connotazione peccaminosa.
38 Ma se le faccio, anche
se non credete in me, credete alle opere, affinché conosciate e sappiate che in
me è il Padre, e io nel Padre. Gesù si identifica nel
Padre, nelle stesse opere che intendono dare vita; per questo soltanto colui
che ha a cuore il bene degli uomini può riconoscere in Gesù, l’azione divina.
Questo non è possibile alle autorità religiose che sono ottuse, che non
riconoscono in Gesù l’azione divina e Gesù dice: non importa se non riconoscete
me, ma credete alle opere che comunicano vita. Per riconoscere in Gesù la
presenza di Dio bisogna che il bene dell’uomo sia un valore importante
nell’esistenza dell’individuo. Alle autorità religiose non interessa il bene
dell’uomo, sono interessate al proprio bene, all’espansione del proprio potere.
39 E cercavano di nuovo
di catturarlo, Gesù non si è mosso sul piano dottrinale, ma sul piano pratico
credete per le opere e le sue opere sono state tutte per ridare vita al popolo,
ma questo significava toglierlo alle autorità religiose.
40 E andò di nuovo al di
là del Giordano, nel luogo dove Giovanni all’inizio battezzava e rimase là.
Abbiamo visto che non sorprende che Gesù sia stato ammazzato, ma stupisce come
sia riuscito a campare così tanto, perché si è dato continuamente alla
latitanza, finché ha deciso di affrontare le istituzioni ed è entrato in
Gerusalemme. Ancora non è tempo, perché deve formare il suo gruppo. Se ne va al
di là del Giordano, nel luogo dove Giovanni aveva iniziato il suo battesimo.
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