domenica 13 giugno 2021

DOMENICA XI/B

 




Ez17,22-24; Sal 91; 2 Cor 5,6-10; Mc26,34

Paolo Cugini

 

Gesù utilizza spesso un’espressione per indicare il contenuto della sua proposta: il regno dei cieli, oppure il regno di Dio? Di che cosa si tratta? Se il regno del mondo è dominato da logiche egoistiche, che conducono verso relazioni di dominio e di possesso, che creano tensioni disuguaglianze, ben differente è la logica del regno di Dio. Per il fatto, infatti di essere “di Dio”, è caratterizzato dal dinamismo dell’amore, che genera relazioni caratterizzate dalla donazione gratuita di sé, dal fare spazio all’altro affinché incontri libertà per sviluppare le proprie potenzialità. Per descrivere questo stile nuovo di stare al mondo con gli altri, Gesù utilizza delle metafore chiamate parabole, che necessitano, quindi, d’interpretazione per poterle comprendere. Oggi Gesù ne racconta due.

“Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa” (Mc 4, 26-27).

Il seme è Gesù stesso, la sua parola, la sua proposta di vita nuova, di relazioni nuove. Ebbene, la novità di Gesù non dipende dalla nostra progettazione, nel senso che la possibilità di portare frutto nelle persone che la ricevano, dipende esclusivamente dal seme. L’importante, allora, è seminare, perché non spetta a noi sapere se porterà frutto e in che modo. Il brano in questione è collocato verso la fine del capitolo quattro del Vangelo di Marco e, questa collocazione, ci può aiutare nell’interpretazione. Dopo i primi successi, la proposta di Gesù, così com’è narrata dall’evangelista Marco, incontra molte resistenze. Già nelle prime battute del capitolo tre, i farisei, dopo aver assistito ad un miracolo di Gesù in giorno di sabato, decidono di ucciderlo. E’ nel contesto generale di fallimento della proposta che Gesù presenta questa parola, in cui tutto l’accento è sulla bontà della semente, che senza dubbio porterà frutti di amore, pace e giustizia, perché è una semente fatta apposta per il terreno umano, per svilupparlo nella giusta direzione.

È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell'orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra” (Mc 4, 31-32).

Il seme del Vangelo non ha bisogno di grandezze umane per manifestarsi o per portare frutto. Non utilizza la logica social dell’apparenza per colpire i sensi, anche perché no gli interessa: desidera radicarsi e trovare spazio nell’anima. Per questo, non colpisce per la sua visibilità immediata, ma per lo spessore qualitativo della vita che produce. Se è vero che dal punto di vista sensibile è quasi invisibile, al punto che è difficile percepirne la presenza, il frutto che produce non solo è visibile, ma diventa spazio di protezione per chi non lo trova nel regno del mondo. Gli “uccelli del cielo”, infatti, sono considerati cosa di poco conto nella cultura semitica. Ebbene, nel regno dei cieli sono proprio loro, quelli che non contano nulla, a trovare spazio e protezione. Interessante il fatto che, mentre l’albero di cedro, narrato nell’immagine di Ezechiele 17 è vistoso ed è piantato sul colle di Sion, il seme di senape è seminato nell’orto di casa, simbolizzando, in questo modo, che la trasformazione che produce il Vangelo non avviene in eventi straordinari, ma coinvolge la quotidianità della vita, le relazioni del vissuto famigliare.

Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa (Mc 4,33-34).

Significativo è il passaggio finale del Vangelo, perché mostra un dato che spesso ci sfugge. Gesù parla delle parabole del regno in pubblico, ma solo ai discepoli le spiega in privato: perché? La comprensione dei misteri del regno dei cieli è riservata ai discepoli e alle discepole del signore, vale a dire a coloro che hanno deciso di seguirlo, che hanno fatto delle scelte, ponendo la propria vita nel cammino tracciato dal Signore. Discepolo è colui che dedica tempo a Gesù, all’ascolto della sua Parola, alla comprensione del suo Vangelo e alla costruzione di quella realtà nuova che ha il sapore del cielo.

Nessun commento:

Posta un commento