mercoledì 24 febbraio 2021

E SI TRASFIGURO' DAVANTI A LORO

 



II DOMENICA DI QUARESIMA B

Gn 22, 1-2. 9. 10-13. 15-18; Rm 8, 31-34; Mc 9, 1-9

Paolo Cugini

 

È interessante osservare la pedagogia della proposta liturgica della quaresima. Poco dopo l’inizio del cammino che, per chi lo vive, è impegnativo, perché si tratta di essere disponibili a modificare la propria visione delle cose, il proprio punto di vista su Dio e il mondo, viene proposto un tema che anticipa ciò che sarà la conclusione del cammino quaresimale, vale a dire la Pasqua del Signore, la sua morte e risurrezione. Il Vangelo della trasfigurazione del Signore, infatti, anticipa il tema della risurrezione, aiutando i fedeli a prendere coraggio, perché ciò in cui speriamo, non è semplicemente un’utopia, ma è già realizzato, è già un dato di fatto che la fede ci stimola a credere. Proviamo, allora, ad accompagnare la narrazione del Vangelo per coglierne delle indicazioni per il nostro cammino di fede.

Fu trasfigurato davanti a loro” (Mc 9, 2). Questo evento riportato da tutti i sinottici, ci pone dinanzi ad un fatto che richiede una revisione del nostro modo di approcciarci a Gesù. La sua trasfigurazione sul monte, infatti, vuole dire che non possiamo più permetterci di andare verso Gesù come si va verso un qualsiasi uomo: qui c’è qualcosa di diverso, che non si può spiegare solamente con dei dati umani, con dati che ci vengono dalla materia, con dei ragionamenti logici. “Nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche”: è un modo ingenuo, ma autentico per comunicare la straordinarietà dell’evento. La persona di Gesù sfugge ad un’analisi semplicemente umana: ci vuole dell’altro per venirne a capo, occorrono altri parametri, che non sono alla semplice portata dell’uomo e della donna. Per capire chi è Gesù occorre andare altrove, compiere un cammino di ricerca ma, soprattutto, lasciarsi condurre nel mistero di Dio.

Apparvero loro Elia e Mosè e conversavano con Gesù”. Il primo passo per una migliore comprensione della persona di Gesù dovrebbe essere la conoscenza della storia da cui proviene, la storia del popolo ebraico, le alleanze con JHWH, la voce dei profeti, come quella di Elia. Se, infatti, è vero, che la trasfigurazione dice di una persona che sfugge alle mere logiche umane, è comunque fuori discussione che Gesù sia membro di un popolo, figlio di una donna, parte di una storia di uomini e di donne, che è importante conoscere. Gesù come compimento delle promesse indica proprio la necessità di un cammino a ritroso da compiere, un cammino alla ricerca di un passato che si fa spazio nel presente di Gesù, nelle sue scelte e nei suoi gesti.

Uscì una voce: questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo”. Il tempo di quaresima dovrebbe essere l’occasione propizia per uscire dalla religione ancestrale, che è mescolata a residui pagani, quella religione che pone al centro il soggetto e i suoi bisogno e Dio, in questa prospettiva, dovrebbe essere un mero distributore di favori. Cammino di quaresima per reimpostare il nostro rapporto con il divino, la nostra relazione con Gesù: è Lui che dobbiamo ascoltare e non la nostra pancia. Andiamo, quindi, verso di Lui in silenzio, facendogli spazio, per sentirlo presente, per ascoltarlo. “Ascoltatelo”: questa parola del Padre sul Figlio è una grande indicazione per rinnovare la nostra preghiera: il punto di partenza non sono le nostre parole, ma la sua Parola: si parte da qui.

Chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti”. Il problema dei discepoli che non capiscono che cosa vuole dire loro Gesù, è il nostro problema, che rimane tale sino a quando non avviene una conversione, un’apertura del cuore a trecentosessanta gradi, una rinascita dall’alto. Il cammino di quaresima è, dunque, il tempo propizio per fare spazio alla novità di Gesù, che è come il vino nuovo che esige otri nuovi, è la semente che esige un terreno fertile, è la lampada che illumina la notte.

martedì 23 febbraio 2021

LA PAROLA CHE VIENE DAL SILENZIO

 



 

Paolo Cugini

 

 

Così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto” (Is 55, 11). La fede è credere che ci sia una parola che esce dalla tua bocca: se si crede ciò, allora si crede anche che produrrà un effetto su chi l’ascolta. Credere che quella parola impastata di terra, di culture diverse, di significati lontani sia proprio uscita dalla tua bocca: ci vuole molta fede. Il paradosso è che si scopre che è parola che esce dalla tua bocca quando la si vive, quando la si pone in pratica e la si esegue. È proprio in questi casi, in questi frangenti che si capisce che è una parola fatta di un materiale diverso dal solito, che ha una qualità unica, uno spessore di verità che non s’incontro nelle parole altre. Quella che esce dalla tua bocca è una parola che non va mai a vuoto in chi l’accoglie con amore, ma che produce l’effetto desiderato, vale a dire, fa ciò che dice, realizza ciò che esprime, esegue ciò che significa. Occorre davvero provare per credere, fidarsi per essere esauditi.

Pregando non sprecate parole” (Mt 6,7). Preghiera nel silenzio, facendo il vuoto, mettersi nella condizione dell’assoluto silenzio, in attesa di una parola altra, di una sensazione, un’intuizione. Perché la parola, se parola ci deve essere nella preghiera, la deve dire Lui e solo Lui. E allora, affinché questo avvenga, affinché l’epifania della parola Altra si manifesti nell’anima, occorre un silenzio abissale, un silenzio profondo. Come fare, però a creare questo stato interiore che permette un tale silenzio da fare spazio alla manifestazione della parola Altra? Come ci si accorge che la parola che sta venendo verso di me viene dall’altrove e non è un semplice prodotto dei miei pensieri? Tutto sta nel silenzio che si crea nell’anima, che per formarsi richiede tempo, dedizione, isolamento interiore ed esteriore e, soprattutto, un grande, immenso, infinito desiderio di ascoltarla. E allora, carissima amica, carissimo amico, non puoi non accorgertene, non puoi sbagliarti, è impossibile non riconoscerla quella voce soave, quel soffio di vita, quella parola che ti sconvolge l’anima in un modo da ribaltarla, come nessuna parola è capace di fare; ti ribalta per rimetterti in piedi, ti ribalta per sanarti completamente, per rimetterti a nuovo. E’ questo l’effetto della parola Altra che viene verso di te nel silenzio dell’anima, dalla profondità del cuore.

giovedì 18 febbraio 2021

I CANTI DEL SERVO

 



Incontro preti Zona Terre del Reno Renazzo – Diocesi di Bologna

 

Relatore: Marco Settembrini

Sintesi: Paolo Cugini

 

Guardando la passione di Gesù pensiamo alla condivisione della sofferenza. Gesù è nella storia di ogni giorno, entra dove ci sono incontri e dove di fatto c’è l’imprevisto, il dolore, l’ingiustizia.

I Canti del servo parlano di Dio che porta la salvezza al popolo. Sono caratterizzati da una fondamentale condivisione. Questa riflessione viene fatta in un periodo in cui non è ancora maturata l’idea di una salvezza dopo la morte. Per ora c’è una salvezza di un popolo.

Mosè muore sul Sinai e il popolo entra nella terra promessa. La morte di Mosè ha una posizione all’interno del popolo: lui muore e il popolo entra. Nelle scritture si parla della morte di Mosè come atto di obbedienza.

Al centro del libro di Isaia si parla di Ezechia che si ammala e poi guarisce. Nel libro di Isaia si associa la sorte del re con la sorte della città. La vita del re è la vita della città; la malattia del re è il pericolo della città.

Quando Gesù è crocefisso i discepoli si disperdono. Quando Gesù è risorto ed appare la comunità si edifica.

Primo canto del servo: c’è un uomo mite e vittorioso. La parola servo nella retorica di corte è il re, in ebraico si usa anche per indicare un generale. Il re Ciro è presentato come il servo di JHWH per liberare la città. Il re riceve lo Spirito nel momento dell’unzione. “Non griderà non si lamenterà…”. Sarà un re vittorioso e rispetterà tutti. Si parla di questo servo così come le fonti antiche parlano di Ciro. Dietro l’azione di quest’uomo si vede il creatore. “Ti formo come alleanza per i popoli”: come il creatore ha messo Adamo per avere cura di tuta la terra, così ora pone il re per prendersi cura di tutti.

Is 49: “sin dal seno di mia madre mi ha chiamato”. Viene annunciato un re pienamente giusto. Si abbandona l’idea che la figura che salva sia un re, il messia lentamente sarà innanzi tutto un profeta. Siamo già al di fuori dalla casa di Davide. Questo testo assomiglia alle iscrizioni regali babilonesi perché il re diceva di essere il più sapiente e il più forte. È la sapienza che assicura il successo. Gli scribi che compongono questo poema presentano una figura regale che sia all’altezza degli altri re. Israele nasce da un Patriarca scelto sin dal seno di sua madre. Ogni Israelita sa di poter contare sul Signore. In questo servo emerge l’identità profonda dell’israelita.

Is 50: È un israelita che finisce sotto processo, subisce le percosse previste, ma si sente sostenuti dal Signore. Il processo accade succede perché ha preso le parti di chi è stanco. Gli stanchi sembrano essere coloro che tornano dall’Esilio, è la stanchezza associata al viaggio. Ha preso le parti del diseredato. I ricchi gliela fanno pagare. Lui dice: il Signore mi assiste.

Is 53: la morte di qualcuno come espiazione per altri. Questa idea in Israele si elabora quando non c’è più il tempio. Si pensa che la sofferenza serva per espiare dal peccato. Espiare: situazione capace di cancellare gli effetti del peccato. Ci sono delle azioni che hanno delle conseguenze e il problema è cancellare le conseguenze. È cresciuto come una radice in terra arida.  I ricchi sono in parallelo con gli empi. V. 11: è l’immagine del sacrificio di Isacco. Il travaglio: sofferenza, donne che partorisce.

Questo servo patisce e la sua sofferenza genera una discendenza nuova. L’israelita è qualcuno che si fa carico degli altri. Il Servo è qualcuno che si fa carico degli altri e riconosce nella propria vita le promesse dei padri, la missione di avvicinare molti.

ARCOLBALENO SEGNO DELL’ALLEANZA DI DIO CON GLI UOMINI E LE DONNE

 




PRIMA DOMENICA DI QUARESIMA-B 2021


 

 

Paolo Cugini

 

Nella prima domenica di quaresima dell’anno B il Vangelo ci viene incontro con l’invito alla conversione.

Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo” (Mc 1,15).

Conversione significa fare spazio e, per fare spazio nella nostra vita dobbiamo togliere qualcosa per fare in modo che entri una realtà più importante e significativa: il Vangelo di Gesù, che è la gioia di Dio per noi. Il Vangelo, infatti, rappresenta una nuova possibilità di vita, un modo nuovo di stare al mondo, possibilità di creare relazione autentiche segnate dall’attenzione gratuita all’altro, dalla collaborazione per un mondo più giusto e senza discriminazioni.

In questa prospettiva, ci viene in aiuto la prima lettura in cui viene proclamata la Nuova Alleanza che Dio stipula con Noè dopo il diluvio:

Dio disse: "Questo è il segno dell'alleanza, che io pongo tra me e voi e ogni essere vivente che è con voi, per tutte le generazioni future. Pongo il mio arco sulle nubi, perché sia il segno dell'alleanza tra me e la terra” (Genesi 9,12-13).

Per ristabilire l’alleanza distrutta dall’uomo e dalla donna, Dio sceglie un simbolo che indica una direzione, un modo di stare al mondo, un segno della sua presenza nella storia. Ebbene, questo segno non è nella linea del pensiero unico che la filosofia greca alcuni secoli dopo inizierà ad elaborare, ma è nell’ottica della pluralità. In un certo modo, attraverso quel simbolo, è come se Dio avesse voluto dire all’umanità che, per incontrarlo doveva percorrere il cammino della molteplicità, il sentiero della diversità. Un mondo plurale rispecchia il sogno di Dio, il suo pensiero, ciò che lui ha voluto esprimere con il segno dell’alleanza: l’arcobaleno. Molteplicità di colori, perché non può essere identificata con un colore la stessa realtà che Dio ha creato, che è a tanti colori. Arcobaleno dice naturalità nell’abitare la pluralità, nel pensare la diversità, nell’accogliere la molteplicità; significa compresenza di elementi diversi senza la necessità che tutto sia ridotto ad uno. Arcobaleno vuole dire libertà di espressione, libertà di coscienza, libertà di esprimere un modo di essere diverso dall’altro senza paura di essere giudicato. Se la nuova alleanza è l’arcobaleno allora il cammino che l’umanità è invitata a compiere consiste nell’apprendere a convivere con le diversità perché la diversità è la cifra della realtà.



Lo stile “arcobaleno” del rispetto delle differenze lo troviamo ben visibile in Gesù, che non si ferma mai all’apparenza, ma guarda al cuore delle persone, percependone l’immagine di Dio, più che aspetti esteriori e superficiali. E così nell’adultera, mentre gli uomini vedono una donna degna di morte, Gesù ne coglie tutta la sua dignità di donna con una storia particolare. In Pietro che, nonostante gli entusiasmi lo tradirà per ben tre volte nel delicato momento della sua passione e morte, Gesù vede qualcuno a cui affidare addirittura la leadership dei suoi discepoli. Nel lebbroso Gesù vede un uomo sofferente bisognoso di essere ascoltato e accolto.

Lo Spirito Santo che riceviamo continuamente quando lo invochiamo è lo Spirito del Signore Gesù, che riproduce nella nostra umanità l’attenzione ad ogni singola persona, ci dovrebbe aiutare a non fermarci all’apparenza, a non volere che tutti la pensano come noi, a rispettare i cammini diversi, le storie diverse, le identità culturali, religiose diverse. La comunità del Signore Gesù non è fatta di persone che la pensano tutti allo stesso modo, ma di persone con sensibilità e identità diverse che camminano nella stessa direzione. La comunità è bella non perché è fatta di persone uguali, ma perché, guidati dal Vangelo del Signore e rafforzati dal suo Spirito, impariamo a camminare insieme valorizzando ogni persona, accogliendo chiunque desideri entrare nel Cammino aperto da Gesù.

Per camminare in questo modo abbiamo bisogno sull’esempio dello stile di Gesù, di prenderci del tempo e, nel silenzio lasciare penetrare il Vangelo di Gesù dentro di noi, per lasciarci guardare da Lui, per imparare ad accettarci così come siamo, per smettere di confrontarci con gli altri, ma avere come unico parametro di riferimento il volto del Signore, la sua esistenza, il suo stile di vita. È accettando di lasciarci riconciliare con il Signore che dona pace alla nostra anima, che riusciamo ad entrare in relazione con gli altri proponendo cammini di riconciliazione. È perché ci sentiamo amati dal Signore e non giudicati che entriamo nel mondo amando le persone che incontriamo, rispettandole per quello che sono, senza pretendere di cambiarle.



Infine, il bianco è dato dai colori dell’arcobaleno. La luce che illumina il mondo non è la mistura dei colori, ma è composto dall’identità di ogni colore che rimane se stesso. La comunità del Signore Gesù illumina il mondo quando non produce lo sforzo di pensare allo stesso modo e fare le stesse cose, ma quando ognuno con la propria identità specifica camminiamo insieme nella stessa direzione.

 

 

 

mercoledì 10 febbraio 2021

LIBERI DALLE CATENE DELL'ANIMA

 



SESTA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO B

 


Paolo Cugini

 

Il sacerdote esaminerà la piaga sulla pelle del corpo” (Lv 13,3). Fa riflettere il fatto che un ammalato debba presentarsi dal sacerdote e non dal medico. È il sintomo di una società dove ormai la religione ha preso il sopravvento. La conseguenza è la visione di un Dio senza scrupoli e senza cuore, che invece di unire il popolo, lo separa, favorendo una casta – i sacerdoti – a scapito di altre. Soprattutto, però, questa prospettiva religiosa è fautrice di un settore della società destinato a rimanere ai margini, esclusi non solo dalla società, ma soprattutto da Dio. La domanda che sorge immediata è la seguente: abbiamo proprio bisogno di un Dio così?

“Gesù ne ebbe compassione” (Mc 1, 41). La missione di Gesù sembra essere quella di mostrare il vero volto di Dio, molto diverso dal Dio presentato dai sacerdoti e dalla religione venutasi a formare attorno al tempio di Gerusalemme. Gesù, incontrando il lebbroso che gli va incontro, simbolo dell’esclusione e della marginalizzazione prodotta dalla religione del tempio e dei sacerdoti, invece di allontanarlo, è mosso da compassione. Incontriamo Gesù devastati dalla religione senza Vangelo, che ci riempie la testa di dottrine di uomini, dottrine impastate di cultura patriarcale e di mentalità borghese, incapaci di vedere le persone per quelle che sono, vale a dire, dei figli e delle figlie di Dio e, per questo, portati a classificare, schedare tutta l’umanità in buoni e cattivi, degni e non degni. Gesù incontra sulla strada della vita tutti coloro che hanno subito il giudizio della religione, delle persone religiose che, per causa di queste, sono state allontanate dalla comunità, messe ai margini e prova compassione. In Gesù c’è umanità, mentre negli uomini del tempio c’è disumanità, che si manifesta nel controllo della vita della società e nella formulazione di regole rigide, che rendono difficile l’esistenza delle persone più deboli e fragili. C’è una religione senza compassione.

Tese la mano e lo toccò”. La compassione che sgorga dal cuore sente l’esigenza di solidarizzare con chi vive una situazione di emarginazione. Gesù toccando il lebbroso che per la religione del tempio era impuro, diviene lui stesso impuro. È impossibile rimanere parziali dinnanzi alle situazioni di esclusioni del mondo. Gesù mostra il cammino: Come si fa a liberare gli uomini dall’impurità imposta dalla religione? Mettendosi dalla loro parte divenendo impuri, identificandosi con i presunti impuri, per smascherare la menzogna della religione sacrale. Toccando il lebbroso Gesù distrugge la mentalità sacrale, ne dimostra il suo vuoto, la non necessità. È Gesù il sacro che è venuto vicino all’umanità per salvarla dalle catene della religione e da ogni forma di discriminazione. Dio non emargina, non esclude, non lascia le persone lontano da lui perché il suo amore è rivolto a tutti e a tutte.

“Gesù rimaneva fuori, in luoghi deserti, e venivano a Lui da ogni parte”. Gesù si comporta come un lebbroso: non va in città, ma rimane all’esterno, in luoghi deserti come le persone impure. Il cammino d’identificazione con l’umanità marginalizzata è completo solo quando si portano sulla propria pelle i segni dell’esclusione. E proprio da questa situazione la gente va a Lui per liberarsi dai danni che la religione del tempio ha fatto. C’è un cammino di liberazione che Gesù è venuto a mostrare, che allo stesso tempo è un cammino di umanizzazione. In questo cammino, fondamentale è incontrare il Vangelo di Gesù, accogliere il suo Spirito per ricevere il suo amore (Rom 5,5), che ci spoglia dalle incrostazioni dei detriti pagani della religione e, in questo modo, ci permette di vivere non trattenuti dalle catene delle dottrine religiose, ma liberi per amare davvero chi incontriamo nel cammino.

 

 

lunedì 8 febbraio 2021

GESU' E' IL SOFFIO DI VITA

 




In principio Dio creò il cielo e la terra” (Gn 1,1). Che cosa dice questo versetto alle persone oggi? Che all’origine del cosmo c’è una scelta libera di una volontà divina. È un’intuizione successiva, che è avvenuta nel tempo nella cultura ebraica. I greci, infatti, la pensavano diversamente. Interessante è che ogni popolo ha elaborato una narrazione sull’origine del mondo particolare, originale. Ci sono somiglianze nelle narrazioni là dove ci sono state contaminazioni reciproche tra popoli vicini. C’è il desiderio di dire qualcosa sull’origine della vita, delle cose, per dare un senso alla vita quotidiana. Sorge, allora, l’ipotesi di un atto voluto da un’entità divina che ha creato liberamente tutta la realtà materiale. Questa volontà creatrice ha dato una direzione, uno scopo, un senso alle cose. Questo, credo che sia il cuore del messaggio biblico sulla creazione. Sul come tutto ciò sia avvenuto gli autori biblici hanno utilizzato il materiale che avevano a disposizione, che è un materiale di tipo mitico. C’è l’esigenza di definire un inizio, di dargli un contenuto. Un inizio significa, anche, prospettare un fine, una direzione ed è quello che farà la Bibbia con i suoi autori per lo più sconosciuti nel proseguo della storia. Dare un senso alla vita: nasce da qui, da questa esigenza, la pagina della narrazione della creazione. Per un cristiano questo brano, come del resto gli altri, è ispirato da Dio. Si tratta, allora, di filtrare, ciò che è ispirato e ciò che è puro materiale umano utilizzato dall’autore ispirato per redigere la storia.

Mc 6,53-56: “Lo pregavano di potergli toccare almeno la frangia del mantello”. In Gesù c’è vita, anzi è la sorgente di vita, della vita autentica, quella che da senso alle cose. È imbarazzante vedere come le persone, invece, lo cerchino, come fonte di vita materiale, per risolvere i problemi immediati, disinteressandosi di ciò che davvero Lui può donare. Gesù ricostruisce dall’interno l’umanità, la rimodella conforme l’immagine del Padre. La guarigione dei corpi e delle ossa è solo un’indicazione che dovrebbe cogliere la bontà del principio vitale presente nella storia. Guarigione del corpo, dunque, come passo per un cammino ben più profondo di liberazione dalle catene della religione e della società. Gesù è quel principio di vita posto all’origine del mondo che ha creato tutte le cose donando loro un soffio di vita. E’ Gesù il soffio di vita che rigenera tutto.

giovedì 4 febbraio 2021

LA SALVEZZA VIENE DAL SIGNORE

 



QUINTA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO B


 

Paolo Cugini

La Parola di Dio non offre solo indicazioni utili per la vita, ma presenta anche delle chiavi di lettura per capire la condizione umana. È questo che leggiamo oggi nella prima lettura presa da un testo del libro di Giobbe: “ricordati che un soffio è la mia vita” (Gb 7,7). Sono parole che riprendono un tema che ricorre spesso nella Bibbia, dalla letteratura profetica a quella sapienziale. Lo stesso Isaia, infatti, afferma che: “Come un tessitore hai arrotolato la mia vita… Dal giorno alla notte mi riduci all’estremo” (Is 38,12). Anche la letteratura deuteronomista, elaborata all’epoca dell’esilio in Babilonia, elabora una riflessione in sintonia con quello riportato sinora: “Alla mattina dirai: se fosse sera! E alla sera dirai: se fosse mattina! A causa dello spavento che agiterà il cuore e delle cose che i tuoi occhi vedranno” (Dt 28,67). Forse, però, la riflessione più profonda in questa direzione la troviamo nel libro di Qoelet, animato da una visione pessimista sull’esistenza che, a tratti, sfiora il nichilismo più radicale nei passaggi ripetuti in cui afferma che: “tutto è vanità” (Qo 2, 23), che non c’è un senso nella vita. “Tutti i giorni dell’uomo non sono che dolori e fastidi penosi; neppure di notte il suo cuore riposa” (Qo 2,23). Tutto ciò, per dire che la condizione esistenziale della vita quotidiana deve fare i conti con tutta una serie di problematiche, che limitano l’azione dell’uomo e della donna, ne tarpano i sogni, le proiezioni future.

Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati” (Mc 1,32). È Gesù colui che può curare le ferite dell’umanità! Dora innanzi c’è qualcosa nella storia, un principio di vita piena che riempie ogni richiesta di senso, che è capace di sanare ogni ferita dell’anima, che è in grado di orientare chiunque in questo mondo abbia perso la direzione. Gesù è venuto a realizzare le attese annunciate dai profeti, che in certo modo, rispondevano al grido disperato della letteratura sapienziale: “O voi tutti assettati, venite all’acqua, voi che non avete denaro, venite, mangiate: venite, comprate senza pagare, senza pagare vino e latte… Porgete l’orecchio e venite a me, ascoltate e vivrete” (Is 55,1.2). È Gesù l’acqua che disseta, il pane che sfama, la Parola che orienta e dà senso alla vita.

In queste parole c’è, a mio avviso una grande indicazione spirituale che la liturgia lascia intravedere. È la ferita il punto di partenza della scoperta di Dio. Del resto, ce lo ricorda anche il salmo 31 : “Ti ho fatto conoscere il mio peccato, non ho coperto la mia colpa” (Sal 31). È ciò che non accettiamo di noi stessi, ciò che ci fa soffrire e che, in ogni modo cerchiamo di nascondere a noi stessi e agli altri e che provoca anni di fuga alla ricerca di un sollievo altrove, un sollievo provocato dalla dimenticanza, dal voler dimenticare a tutti i costi quello che invece, ci plasma, ci forma. Ebbene, la Parola di oggi ci dice che Gesù è venuto a curare proprio quella ferita che con tanta cura nascondiamo a noi stessi, quella che non ci lascia dormire di notte, che ci fa stare male, che ci provoca continui interrogativi. È fermandoci un giorno ad ascoltarci, a guardare ciò che in tanti modi cerchiamo di nascondere a noi stessi e agli altri, uno sguardo sincero, aperto ad un intervento salvifico che viene dall’alto, che possiamo sperimentare la presenza di Colui che è venuto a salvarci con il suo amore.

Come farsi guarire dal Signore? Lasciandosi toccare da Lui. “Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano” (Mc 1,31). Permettere a Gesù che ci unga con il balsamo del suo amore, con il suono della sua voce. È guardando con sincerità la nostra ferita che possiamo sperimentare il tocco del Signore, che viene verso di noi con la sua Parola, con la comunità in cui Lui si fa vivo e presente. È aprendo la ferita dinanzi al Signore che possiamo sperimentare il dono della sua umanità che incontriamo nei sacramenti, segni visibili del Suo amore invisibile. Ed è compiendo questo cammino di liberazione e di salvezza, che potremo anche noi dire con il salmista: “Rallegratevi nel Signore ed esultate, o giusti! Voi tutti retti di cuore, gridate di gioia!” (Sal 31).