martedì 29 novembre 2022

TERZA DOMENICA DEL TEMPO DI AVVENTO A

 




 

Paolo Cugini

Nelle letture della terza domenica di Avvento si sente come un fremito, una specie di impazienza. C’è un’attesa di qualcuno che, ad un certo punto, sembra quasi che non arrivi e l’attesa provoca angustia, perdita di speranza. Lo stesso Giovanni Battista che, nel brano ascoltato, si trova in carcere partecipa di questo clima generale di tensione, interrogando sull’identità di Gesù. «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?» (Mt 11,3). È una domanda quella di Giovanni ricca di significato, che esprime e raccoglie allo stesso tempo i dubbi di coloro che sono alla sequela del Signore. Quante volte, infatti, ci chiediamo durante il cammino, soprattutto quando questi si trova nel mezzo del deserto, in cui non si può più tornare indietro e andare avanti sembra percorrere un cammino senza fine. Il dubbio di Giovanni Battista è il nostro, ed è un dubbio importante perché esprime l’intensità e la serietà del cammino nel quale le persone mettono tutto quello che hanno per seguire il Signore.

Per aiutarci nella nostra angustia ci vengono in aiuto le parole del profeta Isaia: Dite agli smarriti di cuore: «Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio (Is 35). In un contesto di grande tensione e sofferenza il profeta sostiene il popolo con la Parola di Dio, che è una parola che spinge il popolo ad alzare la testa, a non lasciarsi ingannare dai pensieri umani, e imparare a porre la propria fede in ciò che Dio pensa, nell’opera che Lui sta preparando. In questa prospettiva l’attesa è una dimensione fondamentale nel cammino della fede, perché la rafforza, la prova. È una fase molto delicata perché la speranza può deteriorarsi e trasformarsi in mancanza di fiducia nel progetto del Signore. Quando questo accade, la persona diventa triste, acida, depressiva. Per questo, sempre il profeta Isaia ci invita a: Irrobustite le mani fiacche, rendete salde le ginocchia vacillanti. Isaia è sicuro che il popolo, al di là della situazione presente che sembra prospettare solo cose negative, riuscirà a vedere la gloria del Signore. La percezione di quello che il Signore sta preparando nella storia si trasforma in una gioia incontenibile, espressa dal profeta con queste parole:

Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto. Ci sarà un sentiero e una strada e la chiameranno via santa. Su di essa ritorneranno i riscattati dal Signore e verranno in Sion con giubilo; felicità perenne splenderà sul loro capo; gioia e felicità li seguiranno e fuggiranno tristezza e pianto.

C’è un mondo sconvolto dall’azione di Dio nella storia, un’azione che passa attraverso l’agire dell’uomo e della donna. Ciò che prima sembra impossibile, ora si realizza. Gli esiliati si sentivano chiusi per sempre nelle mura di una città straniera. Ebbene, ora si riesce ad intravedere una strada in mezzo al deserto, che permette di raggiungere la città di Gerusalemme. Basta solo mettersi in cammino.

Imparare a porre fiducia nella parola del Signore è il grande insegnamento di questa terza domenica di Avvento in cui, sebbene la luce di Cristo non è ancora visibile, però è già vicina: basta solo avere un po' di pazienza. Ce lo ricorda anche l’apostolo Giacomo nella seconda lettura, che c’invita ad osservare ciò che avviene in natura: Guardate l'agricoltore: egli aspetta con costanza il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le prime e le ultime piogge. Siate costanti anche voi, rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina (Gc 5,7). C’è un frutto che sta per nascere e la sua venuta è sicura, perché è nella logica delle cose. Si tratta solo di attendere, di pazientare un po', di rinfrancare i nostri cuori con la speranza dell’attesa. In fin dei conti è proprio questo uno dei significati più profondi della preghiera, quando si alimenta della Parola di Dio: fare ogni giorno spazio al piano di Dio, alimentandoci delle sue immagini contenute nelle profezie dei profeti, per lasciar perdere le paure che ci provengono da uno sguardo chiuso sulla prospettiva presente. Se è vero che il Dio di Gesù Cristo si manifesta nel tempo, questi però non è mai chiuso in sé stesso, ma sempre aperto verso il futuro. L’Avvento ci aiuta a pensare in un modo nuovo nella nostra vita, a porre sempre ogni evento nella prospettiva di Dio, che è una prospettiva di vita e di amore.

 

CIRCOLI BIBLICI DI AVVENTO 2022 - Terzo

 



QUARTA DOMENICA DI AVVNETO/A

 

Prima Lettura: Is 7, 10-14

In quei giorni, il Signore parlò ad Acaz: «Chiedi per te un segno dal Signore, tuo Dio, dal profondo degli inferi oppure dall'alto». Ma Acaz rispose: «Non lo chiederò, non voglio tentare il Signore». Allora Isaia disse: «Ascoltate, casa di Davide! Non vi basta stancare gli uomini, perché ora vogliate stancare anche il mio Dio? Pertanto, il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele».

Commento alla prima lettura

Il re Acaz è il prototipo dell’uomo senza fede, della persona che si lascia prendere dal panico, si lascia dominare dagli eventi della storia e non si fida della Parola di Dio. Per capire questi versetti occorre fare riferimento al contesto storico. Il popolo d’Israele sta per essere attaccato e Gerusalemme è sotto assedio da parte dell’esercito arameo, che pome le proprie tende ai piedi della città. Dinanzi a questa situazione tutti si agitano e vengono presi dalla paura. Per calmare gli animi, Dio invia il profeta Isaia per annunciare al re d’Israele Acaz di stare calmo, perché Dio stesso sta per intervenire per proteggere la città. Per certificarsi di questo Isaia invita Acaz a chiedere un segno, ma il re non vuole chiede alcun segno, perché sconvolto dal timore dell’esercito nemico. Allora il profeta risponde che sarà il Signore stesso a dare un segno: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele. I padri della Chiesa dei primi cinque secoli del cristianesimo hanno sempre letto queste parole come una profezia messianica che annuncia la nascita di un futuro re, l’Emmanuele, che letteralmente significa Dio con noi, che sarebbe nato da una vergine. Il riferimento a Maria è immediato anche se, in realtà, come dicono gli esegeti, la traduzione giusta sarebbe giovinetta e non vergine. Domanda: come reagiamo dinanzi alle situazioni drammatiche della vita: ci facciamo prendere dal panico come Acaz o ci affidiamo al Signore come indica il profeta Isaia?

 

Sal.23

Del Signore è la terra e quanto contiene:
il mondo, con i suoi abitanti.
È lui che l'ha fondato sui mari
e sui fiumi l'ha stabilito.

Chi potrà salire il monte del Signore?
Chi potrà stare nel suo luogo santo?
Chi ha mani innocenti e cuore puro,
chi non si rivolge agli idoli.

Egli otterrà benedizione dal Signore,
giustizia da Dio sua salvezza.
Ecco la generazione che lo cerca,
che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe.

Seconda Lettura: Rm 1, 1-7

Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per chiamata, scelto per annunciare il vangelo di Dio - che egli aveva promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sacre Scritture e che riguarda il Figlio suo, nato dal seme di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità, in virtù della risurrezione dei morti, Gesù Cristo nostro Signore; per mezzo di lui abbiamo ricevuto la grazia di essere apostoli, per suscitare l'obbedienza della fede in tutte le genti, a gloria del suo nome, e tra queste siete anche voi, chiamati da Gesù Cristo –, a tutti quelli che sono a Roma, amati da Dio e santi per chiamata, grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo!

Commento alla seconda lettura

In questi versetti della lettera ai Romani, Paolo esprime ciò che la prima comunità cristiana aveva colto del mistero di Gesù e, in modo particolare della sua nascita. La comunità cristiana delle origini aveva imparato a vedere in Gesù il messia annunciato dai profeti e, come stiamo vedendo nel tempo di avvento, dalle profezie messianiche di Isaia. Non solo, ma aveva anche capito che Gesù proveniva dalla dinastia del re Davide – nato dal seme di Davide – conforme quanto viene detto da alcuni testi dell’Antico Testamento e, in modo particolare, dal primo di questi testi che lega il futuro messia alla discendenza davidica: 2 Sam 7, 8-17 (sarebbe importante leggere il testo nel circolo biblico). Non solo, ma la prima comunità aveva già compreso che la nascita di Gesù era avvenuta in modo diverso dalle altre nascite, perché aveva compreso che c’era stato un intervento divino: costituito Figlio di Dio con potenza. Nonostante ciò, come sappiamo, Paolo in nessuna delle sue lettere cita Maria, la madre di Gesù. In ogni modo, c’è qui un chiaro passaggio che rivela la presa di coscienza della nascita prodigiosa e misteriosa di Gesù. Paolo muore nel 64 d. C. e ciò significa che dopo trent’anni dalla morte di Gesù la prima comunità aveva già acquisito queste conoscenze sul mistero della nascita di Gesù, una nascita annunciata sin dall’epoca del re Davide che aveva regnato in Israele nell’anno 1000 prima di Cristo. Ciò significa che, per approfondire la conoscenza del Signore, i testi dell’antico testamento sono fondamentali. Qui viene la domanda: che tipo di conoscenza abbiamo della Scrittura? Abbiamo mai sfogliato le pagine dell’Antico Testamento? Perché l’interesse è così scarso nei confronti della Parola di Dio? Cosa possiamo fare per miglioarla?

Vangelo: Mt 1, 18-24

Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto.
Però, mentre stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti, il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa "Dio con noi". Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.

Commento al Vangelo

Nel brano di Vangelo ascoltato c’è il richiamo alla profezia di Isaia 7, proclamato nella prima lettura. Questo è un dato interessante, perché significa che la prima comunità ha iniziato a leggere la scrittura a partire dall’evento Gesù, che diventa la chiave d’interpretazione di tutto l’Antico Testamento. D’ora innanzi, gli eventi della vita di Gesù diventano punto di riferimento per cercare un corrispettivo nei testi dell’Antico Testamento. Ancora una volta: ecco perché è importante per un cristiano conoscere la Scrittura. Più si ama Gesù, più si desidera conoscere la Parola di Dio. È Lui che dà senso al nostro cammino di fede e ci libera dai contenuti della falsa religione. Domanda: conosciamo il Nuovo Testamento? Comprendiamo l’importanza di leggerlo e meditarlo?

 

venerdì 25 novembre 2022

CIRCOLI BIBLICI DI AVVENTO 2022: Secondo

 




TERZA DOMENICA DEL TEMPO DI AVVENTO/ A

 

Prima Lettura: Is 35, 1-6. 8. 10

Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa. Come fiore di narciso fiorisca; sì, canti con gioia e con giubilo. Le è data la gloria del Libano, lo splendore del Carmelo e di Saron. Essi vedranno la gloria del Signore, la magnificenza del nostro Dio. Irrobustite le mani fiacche, rendete salde le ginocchia vacillanti. Dite agli smarriti di cuore: «Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio giunge la vendetta, la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi». Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto. Ci sarà un sentiero e una strada e la chiameranno via santa. Su di essa ritorneranno i riscattati dal Signore e verranno in Sion con giubilo; felicità perenne splenderà sul loro capo; gioia e felicità li seguiranno e fuggiranno tristezza e pianto.

Commento alla prima lettura

Per aiutarci nella nostra angustia della vita quotidiana, ci vengono in aiuto le parole del profeta Isaia: Dite agli smarriti di cuore: «Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio (Is 35). In un contesto di grande tensione e sofferenza, dovuto alla minaccia di un’invasione nemica (VIII sec a. C:), il profeta sostiene il popolo con la Parola di Dio, che è una parola che lo invita ad alzare la testa, a non lasciarsi ingannare dai pensieri umano, e imparare a porre la propria fede in ciò che Dio pensa, nell’opera che Lui sta preparando. In questa prospettiva, l’attesa è una dimensione fondamentale nel cammino della fede, perché la rafforza, la prova. È una fase molto delicata, perché la speranza può deteriorarsi e trasformarsi in mancanza di fiducia nel progetto del Signore. Quando questo accade, la persona diventa triste, acida, depressiva. Per questo sempre il profeta Isaia ci invita a: Irrobustite le mani fiacche, rendete salde le ginocchia vacillanti. Isaia è sicuro che il popolo, al di là della situazione presente che sembra prospettare solo cose negative, riuscirà a vedere la gloria del Signore e a non lasciarsi travolgere dalla disperazione. Domande: Come reagiamo dinanzi alle situazioni negative che la vita ci presenta? La fede in Dio e nella sua Parola ci aiuta a rimanere fermi nelle nostre scelte anche quando ci sembra che sia tutto perduto: riusciamo a farlo?

Sal. 145

Il Signore rimane fedele per sempre
rende giustizia agli oppressi,
dà il pane agli affamati.
Il Signore libera i prigionieri.

Il Signore ridona la vista ai ciechi,
il Signore rialza chi è caduto,
il Signore ama i giusti,
il Signore protegge i forestieri.

Egli sostiene l'orfano e la vedova,
ma sconvolge le vie dei malvagi.
Il Signore regna per sempre,
il tuo Dio, o Sion, di generazione in generazione.

 

Seconda Lettura: Gc 5, 7-10

Siate costanti, fratelli miei, fino alla venuta del Signore. Guardate l'agricoltore: egli aspetta con costanza il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le prime e le ultime piogge. Siate costanti anche voi, rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina. Non lamentatevi, fratelli, gli uni degli altri, per non essere giudicati; ecco, il giudice è alle porte. Fratelli, prendete a modello di sopportazione e di costanza i profeti che hanno parlato nel nome del Signore.

Commento alla seconda lettura

Le parole di Giacomo sono in sintonia con quelle di Isaia, anzi, aiutano ad approfondirle. Porta, infatti, l’esempio dell’agricoltore come esempio di pazienza. L’agricoltore è capace di aspettare perché sa che il frutto arriverà. Il tempo dell’attesa è il tempo in cui il frutto non c’è, ma lo si percepisce presente. La capacità di attendere dipende anche dal proprio lavoro di preparazione del terreno: è proprio quello che dobbiamo fare noi nel tempo di avvento, vale a dire, preparare il terreno. Pazienza e attesa esigono la costanza, il non mollarci mai. Quando ci molliamo diventiamo tesi, nervosi, ci lamentiamo e creiamo scompenso nella comunità, nella famiglia. Chiediamoci: come fare per migliorare la nostra capacità di attendere e di avere pazienza? Come aiutare i fratelli e le sorelle nella comunità che fanno fatica e si lamentano, creando malumore?

Vangelo: Mt 11, 2-11

In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!». Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: "Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via". In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui».

 

Commento al Vangelo

Nelle letture della terza domenica di Avvento si sente come un fremito, una specie di impazienza. C’è un’attesa di qualcuno che, ad un certo punto, sembra quasi che non arrivi e l’attesa provoca angustia, perdita di speranza. Lo stesso Giovanni Battista che, nel brano ascoltato, si trova in carcere partecipa di questo clima generale di tensione, interrogando sull’identità di Gesù. «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?» (Mt 11,3). È una domanda quella di Giovanni ricca di significato, che esprime e raccoglie allo stesso tempo i dubbi di coloro che sono alla sequela del Signore. Quante volte, infatti, ci chiediamo durante il cammino, soprattutto quando questi si trova nel mezzo del deserto, in cui non si può più tornare indietro e andare avanti sembra percorrere un cammino senza fine. Il dubbio di Giovanni Battista è il nostro, ed è un dubbio importante perché esprime l’intensità e la serietà del cammino nel quale le persone mettono tutto quello che hanno per seguire il Signore.

il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui: che cosa significa? Giovanni Battista non ha visto Gesù risuscitato, che è il compimento del suo cammino sulla terra. Per questo, qualsiasi persona che viene dopo la resurrezione di Gesù è più grande di coloro che sono venuti prima, perché non l’hanno vista, compreso Giovanni Battista. Potremmo chiederci nel circolo biblico: quali sono i nostri dubbi? Che cos’è che provoca più ansia, angustia nel nostro cammino di fede?

 

giovedì 24 novembre 2022

SECONDA DOMENICA TEMPO DI AVVENTO A

 



Paolo Cugini

 

Il tempo di avvento ha una sua specifica spiritualità che viene manifestata nelle letture che ascoltiamo non solo alla domenica, ma anche durante la settimana. La liturgia ci vuole aiutare a recuperare quegli elementi del cammino di fede che durante l’anno trascorso non sono stati ben assimilati e che, di conseguenza, non sono entrati a far parte del nostro bagaglio spirituale. Nella prima domenica di avvento la parola di Dio ci aveva indicato come obiettivo del cammino di colui che deve venire e, dunque, come cammino della Chiesa, la costruzione della pace. Si riconosce la presenza di Cristo nella storia là dove c’è pace, là dove qualcuno lavora per costruire la pace. È quello che ha fatto Gesù ed è quello che opera lo Spirito Santo dentro la storia. La seconda domenica di avvento ci dice il contenuto di questa pace, vale a dire ci spiega il modo in cui lo spirito agisce dentro la storia affinché l’umanità si prepari a vivere in pace.

È ancora il profeta Isaia ad aiutarci in questo cammino di comprensione. Infatti, nel capitolo 11 letto nella prima lettura, il profeta ci annuncia che nell’epoca che vedrà la radice di Iesse all’opera i contrasti conviveranno e lo fa proponendo una serie di immagini prese dal mondo animale. C’è pace quando i poli opposti invece di respingersi sapranno convivere tranquillamente. L’azione dello Spirito che agisce attraverso la parola del Signore opera una trasformazione nelle persone che l’accolgono, che consiste nello smettere di considerare l’altro come un nemico da combattere. Come sappiamo, questa idea così importante sarà ripresa da Paolo nella lettera ai Galati quando dirà che: non c’è giudeo né greco, schiavo né libero, uomo né donna, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù (cfr. Gal 3,28). La comunità cristiana diventa il luogo in cui si cerca di vivere ciò che si riceve dallo Spirito, accogliendo i fratelli e le sorelle che il Signore pone sul nostro cammino. Siamo chiamati, così, ad avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti, sull'esempio di Cristo Gesù (Rom 15, 5). Nella vita della comunità cristiana che accoglie lo Spirito del Signore, dev’essere visibile tra i fratelli e le sorelle il suo stile, il suo modo di vivere, vale a dire la sua umanità accogliente carica di misericordia che fa spazio a tutti e tutte senza distinzione. La spiritualità tipica del tempo di avvento, che ascoltiamo all’inizio dell’anno liturgica, ci invita, quindi, ad uscire dalla mentalità religiosa che relega il rapporto con Dio nella sfera cultuale, per aprirci alla prospettiva dell’amore gratuito di Dio manifestato in Gesù, che esige la traduzione di ciò che riceviamo gratuitamente nel vissuto della comunità. Essere strumenti di pace, capaci di entrare nei dinamismi relazionali per smussare le tensioni è l’atteggiamento richiesto a coloro che invocano lo Spirito Santo e che sono aperti alla sua azione.

Per poter accogliere lo Spirito del Signore occorre prepararsi, raddrizzando i sentieri, tentando di mettere la nostra esistenza sulle orme di quella di Gesù. Ciò significa che non basta ascoltare la Parola di Dio, partecipare al culto domenicale: occorre vivere ciò che si ascolta. È ciò che il Vangelo di oggi chiama conversione, che è annunciata da Giovanni Battista, che non solo l’annuncia e la richiede, ma mostra l’esempio con uno stile di vita austero. Giovanni Battista è come se dicesse alla comunità dei credenti, che non basta volere un cambiamento, ma occorre mettere in atto alcune scelte specifiche che permettano allo Spirito Santo di trovare spazio. Ecco perché viene detto che: Giovanni, portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico (Mt, 3,2), non tanto per un’imitazione sterile, ma per indicare la necessità di porre in atto delle scelte concrete, che ci aiutino a diminuire il potere della dimensione materiale sulla nostra esistenza. Il tempo di avvento, in questa prospettiva, come tempo in cui prepariamo lo spazio allo Spirito Santo, dovrebbe essere il tempo in cui operiamo delle scelte nella linea dell’essenzialità, della sobrietà. Giovanni Battista ci avverte che non ci possiamo aggrappare a nulla per difenderci dal cambiamento. Se volgiamo accogliere lo Spirito Santo, che ci rende capaci di assimilare gli stessi sentimenti del Signore, tra i quali la capacità di accogliere tutti e tutte e di non fare distinzione di nessuno e nessuna, dovremmo cercare di vivere in comunità con le modalità proposte dal Vangelo. È con questo spirito che accogliamo le indicazioni della seconda domenica del tempo di avvento per incamminarci verso il Natale con il desiderio di seguire da vicino il cammino tracciato da Gesù.

 

CIRCOLI BIBLICI AVVENTO 2022 Primo circolo biblico

 



SECONDA DOMENICA DI AVVNETO A

 

Prima Lettura: Is 11, 1-10

In quel giorno, un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici. Su di lui si poserà lo spirito del Signore, spirito di sapienza e d'intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore. Si compiacerà del timore del Signore. Non giudicherà secondo le apparenze e non prenderà decisioni per sentito dire; ma giudicherà con giustizia i miseri e prenderà decisioni eque per gli umili della terra. Percuoterà il violento con la verga della sua bocca, con il soffio delle sue labbra ucciderà l'empio. La giustizia sarà fascia dei suoi lombi e la fedeltà cintura dei suoi fianchi. Il lupo dimorerà insieme con l'agnello; il leopardo si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un piccolo fanciullo li guiderà. La mucca e l'orsa pascoleranno insieme; i loro piccoli si sdraieranno insieme. Il leone si ciberà di paglia, come il bue. Il lattante si trastullerà sulla buca della vipera; il bambino metterà la mano nel covo del serpente velenoso. Non agiranno più iniquamente né saccheggeranno in tutto il mio santo monte, perché la conoscenza del Signore riempirà la terra come le acque ricoprono il mare. In quel giorno avverrà che la radice di Iesse si leverà a vessillo per i popoli. Le nazioni la cercheranno con ansia. La sua dimora sarà gloriosa.

Commento prima lettura

Isaia nel VII a.C. profetizza (parola rivolta al futuro) e afferma che un giorno dal tronco di Iesse (padre di Davide, re di Israele nell’anno 1000 a.C.) spunterà un germoglio, cioè un figlio. Su questo figlio – il futuro messia – si poserà lo Spirito (lo stesso Spirito che aleggiava sulle acque all’inizio della creazione). La profezia intravede l’opera non-violenta di questo germoglio (messia) e la sua presenta produrrà l’armonia tra gli opposti (il vitello e il leoncello pascoleranno insieme). Una domanda che questa lettura pone al circolo biblico è la seguente: la nostra comunità che cerca di vivere il Vangelo del Signore ha messo in atto le dinamiche non-violente di Gesù? Sta creando armonia tra gli opposti?

Seconda Lettura: Rm 15, 4-9

Fratelli, tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione, perché, in virtù della perseveranza e della consolazione che provengono dalle Scritture, teniamo viva la speranza. E il Dio della perseveranza e della consolazione vi conceda di avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti, sull'esempio di Cristo Gesù, perché con un solo animo e una voce sola rendiate gloria a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo. Accoglietevi perciò gli uni gli altri come anche Cristo accolse voi, per la gloria di Dio. Dico infatti che Cristo è diventato servitore dei circoncisi per mostrare la fedeltà di Dio nel compiere le promesse dei padri; le genti invece glorificano Dio per la sua misericordia, come sta scritto: «Per questo ti loderò fra le genti e canterò inni al tuo nome».

Commento alla seconda lettura

Paolo ci ricorda che la fede in Gesù, la fiducia nella sua Parola ci deve impegnare ad un cammino di comunione tra di noi vi conceda di avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti, sull'esempio di Cristo Gesù. Il punto di riferimento verso cui guardare e che orienta le nostre scelte è Gesù. Lo Spirito santo riproduce in noi i tratti dell’umanità di Gesù o, come dice san Paolo, i suoi sentimenti (per capire cosa significa, leggere Fil 2,5s). Paolo invita i membri della comunità di Corinto ad accogliersi gli uni gli altri e aggiunge anche il motivo di questo atteggiamento: come anche Cristo accolse voi. Ancora una volta, la misura delle nostre scelte è Gesù ed è a Lui che dobbiamo guardare. A questo punto possiamo chiederci: nelle nostre comunità ci stiamo accogliendo così come siamo? Che cos’è che ostacola l’accoglienza? Che cammini possiamo compiere per divenire una comunità accogliente?

Vangelo Mt 3, 1-12

In quei giorni, venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!». Egli, infatti, è colui del quale aveva parlato il profeta Isaìa quando disse: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!». E lui, Giovanni, portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico. Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all'ira imminente? Fate dunque un frutto degno della conversione, e non crediate di poter dire dentro di voi: "Abbiamo Abramo per padre!". Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. Io vi battezzo nell'acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono degno di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».

Commento al Vangelo

Nella vita della comunità cristiana che accoglie lo Spirito del Signore, dev’essere visibile tra i fratelli e le sorelle il suo stile, il suo modo di vivere, vale a dire la sua umanità accogliente carica di misericordia che fa spazio a tutti e tutte senza distinzione. Per poter accogliere lo Spirito del Signore occorre prepararsi, raddrizzando i sentieri, tentando di mettere la nostra esistenza sulle orme di quella di Gesù. È ciò che il Vangelo di oggi chiama conversione, che è annunciata da Giovanni Battista, che non solo l’annuncia e la richiede, ma che mostra l’esempio con uno stile di vita austero. Giovanni Battista è come se dicesse alla comunità dei credenti che non basta volere un cambiamento, ma occorre mettere in atto alcune scelte specifiche che permettano allo Spirito Santo di trovare spazio. Ecco perché viene detto che: Giovanni, portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico (Mt, 3,2), non tanto per un’imitazione sterile, ma per indicare la necessità di porre in atto delle scelte concrete, che ci aiutino a diminuire il potere della dimensione materiale sulla nostra esistenza. Ci prepariamo al Natale con uno stile di vita più sobrio, più essenziale, uno stile che ci permette di concentrare la nostra attenzione su ciò che vale. Domanda: che scelte potremmo realizzare nelle nostre famiglie per preparare la venuta di Gesù? In che modo possiamo essenzializzare le nostre esistenze?

 

mercoledì 23 novembre 2022

PRIMA DOMENICA DI AVVENTO A

 



 

Paolo Cugini

 

Inizia un nuovo anno liturgico e la Chiesa ci invita a tornare daccapo, a ricominciare, ci offre, dunque, la possibilità di sistemare quelle situazioni che nel nostro cammino di fede ancora mancano di qualcosa. C’è speranza per noi e non tutto è perduto: è questo il messaggio che il tempo di avvento cela e, allo stesso tempo, ci offre. C’è speranza per tutte e tutti di essere persone nuove, più autentiche, persone capaci di amare, di perdonare, di porre in atto il vangelo di Gesù. Vediamo, allora, la proposta di questa prima domenica di avvento.

E non si accorsero di nulla. È il compito della spiritualità del tempo di avvento: aiutare le persone ad accorgersi di qualcosa, a percepire una presenza che non si coglie con i semplici dati sensibili, ma occorre altro. Nel versetto pronunziato da Gesù c’è un’affermazione importante, vale a dire, che dicendo che non si accorsero di nulla, significa che c’è qualcosa ed è proprio questo che dobbiamo imparare a scoprire. C’è una presenza misteriosa dentro la storia che s’insinua nel tessuto normale della vita quotidiana - mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito – e che dobbiamo imparare a cogliere perché ci rivela il senso della storia, il significato dei nostri gesti, motiva le nostre scelte. Come fare?

Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Tempo di avvento è il tempo in cui i cristiani sono invitati ad esercitarsi nella veglia per imparare a vedere dentro la storia ciò che gli occhi della carne non riescono a percepire. Vegliare significa togliere tempo al sonno, rimanere attenti, vigilare sulle cose, essere presenti. Ciò richiede uno stile sobrio, affinché i nostri sensi non siano appesantiti. Come i monaci insegnano da secoli, la preghiera esige la sobrietà degli alimenti per non correre il rischio di dormire e, così, distrarsi, perdere l’attenzione sul presente. Vegliamo quando facciamo spazio al Vangelo, alla parola di Gesù, quando la leggiamo, la meditiamo e cerchiamo di assimilarla per fare in modo che poi entri in gioco nelle scelte che facciamo, nel nostro modo di essere e agire. Vegliare, dunque, affinché la nostra vita non sia quella di sempre, ma che sia davvero condizionata positivamente dallo Spirito del Vangelo. Che cosa ci permette di vedere il vegliare? Che realtà permette d’intravedere nel tempo presente, nei meandri della vita quotidiana?

Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un'altra nazione, non impareranno più l'arte della guerra. Ce lo rivela il profeta Isaia nella prima lettura. Chi veglia diventa capace di penetrare la storia presente, che sembra in apparenza dominata da dinamismi di odio che conducono alla guerra, agli antagonismi tra persone e nazioni, per vedere quello che Dio da sempre sta preparando, vale a dire un mondo di pace. Mentre l’uomo e la donna divengono ogni giorno protagonisti di uno spettacolo indecoroso intriso di litigi e conflitti, Dio, dal suo canto, opera dentro la storia con il Figlio dell’uomo, per trasformare gli strumenti di odio in strumenti di pace. C’è un principio di trasformazione che agisce dentro la storia attraverso lo Spirito del Signore Gesù, Spirito che i cristiani hanno ricevuto. In questa prospettiva, la Chiesa dovrebbe essere quello spazio di umanità che realizza il processo di trasformazione di pace sognato da Dio e vissuto dal suo Figlio.

Messaggio che Isaia, figlio di Amoz, ricevette in visione. I cristiani dovrebbero essere coloro che sono capaci di visioni, di vedere al di là delle apparenze, per cogliere in profondità il senso della storia, la direzione chi Dio sta dando attraverso suo Figlio e all’azione dello Spirito: un mondo di pace. I cristiani dovrebbero essere differenti dalla massa, avvolta nell’anonimato e ne vuoto della materia, perché capaci di guardare oltre, al di là del nulla che il consumismo offre, capaci di accogliere le visioni.

 

lunedì 21 novembre 2022

VANGELO DI GIOVANNI CAPITOLO 6

 




 

Appunti di don Paolo Cugini

 

1-15: moltiplicazione dei pani

È l’unico miracolo narrato da tutti e quattro i vangeli. Giovanni indica che questo miracolo è un segno, spostando il lettore alla ricerca del significato sotteso, più che al dato materiale. Come Mosè sale sul monte per chiedere il dono della manna, così Gesù sale sul monte per donare il pane. Lo segue molta gente non tanto per quello che dice, ma per quello che fa.

Che cosa sono questi per tanta gente? Sottolinea l’incapacità umana di fronte ai bisogni reali della gente.

Gesù comanda di raccogliere i pezzi avanzati: la manna avanzata periva, il pane che Gesù dona non può andare perduto perché è pane di vita.

16-25: i discepoli in difficoltà. S’intravede il travaglio di fede della comunità cristiana e della predicazione del Vangelo, un travaglio di cui nessuno di noi è immune. I discepoli sembrano non capirci niente del modo di agire di Gesù; perché fugge sul monte mentre tutti lo cercano?

25-36: cercate il cibo che non perisce

In verità in verità vi dico: per Gesù si tratta di aiutare la gente a superare la banalità della vita quotidiana, per ricercare sempre quel che è essenziale e porta ad altro. Per la folla sembra sufficiente un messia che risolva la materialità della vita: il Signore serve se risolve i miei problemi di quaggiù. Per Gesù, però, questo non è sufficiente.

Gesù mette a confronto due cibi: uno che perisce ed uno che è sorgente di vita eterna.

Che cosa dobbiamo fare? Com’è difficile buttare giù una mentalità legalista, una concezione della vita che impedisce all’uomo di aprirsi al dono.

Datevi da fare: la gente pensa alle molte opere che la legge prescrive per avere la vita.

Che crediate in colui che egli ha mandato: la posta he Gesù chiede sembra troppo alta per la gente, che non ci sta e gli chiede dei segni.

Io sono il pane della vita: Gesù nella totalità della sua persona è quel nutrimento che solo può sostenere, saziare e dare quella vita che il carattere della definitività.

37-40: iene segnalata l’iniziativa del Padre che vuole che tutti abbiano la vita eterna e siano salvi per mezzo del Figlio.

41-51: in questo dialogo tra Gesù e i giudei traspare tutto il travaglio delle prime comunità, la loro difficoltà di comprendere l’identità di Gesù, passare dai dati concreti, della sua nascita da Giuseppe e Maria, a quella di colui che è disceso dal cielo.

Andare verso Gesù è un’opera del Padre: questo dato dice della gratuità della salvezza. Chi è docile all’ascolto del Padre, alla sua Parola, al suo amore, Lui lo fa incontrare con il Figlio. È un percorso che avviene nell’intimo della persona.

Per realizzare la salvezza il Figlio deve donarsi in tutta la sua debolezza fino alla morte. Sarà la sua morte, seguita dalla resurrezione, la rivelazione suprema che aprirà agli uomini la via della vita.

52-59: è possibile avere la vita che viene da Dio solamente mangiando la carne del Figlio e bere il suo sangue, vale a dire, solamente assimilando la sua Parola, il suo pensiero, il suo stile di vita, il suo Spirito. Senza questa relazione costante con il Figlio non c’è possibilità di vita piena. Il problema, a questo punto, è non cadere nell’inganno che la devozione ha costruito attorno a queste parole, che diventano letali ser prese alla lettera. Il mangiare e il bere vanno interpretati, intesi come metafora della relazione che siamo chiamati ad instaurare con il Figlio. Abbiamo la possibilità di uscire davvero da una vita egoistica incentrata su noi stessi, schiavi delle nostre passioni e delle nostre carenze, che ci portano a strisciare dinanzi alle proposte vuote del mondo, solamente se ci abituiamo ad alimentarci ogni giorno del Signore, la sua Parola, il suo Spirito, del suo Corpo.

Per avere fin d’ora la vita eterna, che sarà piena nella resurrezione è necessario entrare in comunione di vita con Gesù. Per questo è necessario passare dall’ascolto allo spezzare insieme il pane per accogliere totalmente Gesù.

53: se non mangiate… non avrete. È un invito alla comunione costante con il Figlio, da mangiare, assimilare, accoglierlo, lasciarlo entrare. Non accontentarsi del dato materiale e momentaneo, come i giudei che si sono accontentati di riempirsi la pancia con il pane condiviso da Gesù, ma mettersi in cammino, andare oltre, farsi consegnare la vita vera che viene da Gesù.

60-66: è un brano che fa capire quanto sia stato difficile superare lo scandalo della croce e vedere in Gesù il Figlio di Dio disceso dal cielo. Solo chi rinasce dallo Spirito è in grado di accogliere la proposta di Gesù.

Gesù sa che ci sono discepoli che non credono e, non per queto, abbassa il livello della sua proposta.

67-71: professione di Pietro.

 

 

giovedì 17 novembre 2022

SALVI SE STESSO!

 




XXXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – NOSTRO SIGNORE GESÚ CRISTO RE DELL'UNIVERSO – ANNO C – SOLENNITÀ

 

Lc 23,35-43

 

Paolo Cugini

 

 

Termina oggi l’anno liturgico durante il quale abbiamo ascoltato il Vangelo di Luca che ci ha narrato il viaggio di Gesù da Nazareth a Gerusalemme. Un viaggio pieno di sorprese e di scelte difficili, di dure polemiche con i farisei e la classe sacerdotale del Secondo Tempio che lo hanno condotto sulla croce. La liturgia dell’anno C fa terminare l’anno con la solennità di Cristo Re dell’universo, proponendoci la lettura che narra la grande sofferenza e umiliazione di Gesù sulla croce. Come mai questa scelta? Che cos cosa ci vuole dire?

In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù.

La vita di Gesù è stata una vita piena di amore, piena di attenzione a tutti coloro che incontrava sul cammino, soprattutto i più poveri. Ha, dunque, incontrato tante persone e ha passato la vita facendo del bene. Eppure, gli ultimi istanti della sua vita Gesù ha vissuto una grande solitudine. È, infatti, arrivato nudo sulla croce, sbeffeggiato, deriso, picchiato umiliato e, soprattutto, lasciato solo dai suoi amici, i discepoli, con i quali aveva condiviso gli anni della sua vita pubblica. Come mai questa solitudine? Che cosa significa nel nostro cammino di fede? Le ore terribili che caratterizzano gli ultimi istanti della vita di Gesù rivelano il cuore dei suoi discepoli, le aspettative frustrate e la grande delusione. La croce di Gesù rivela in modo definitivo e plateale che Gesù non è il re politico atteso, in grado di sconfiggere i romani: è un’altra cosa. I discepoli si accorgono nel momento in cui Gesù è fatto prigioniero, che il loro discepolato, le loro aspettative non corrispondevano a ciò che Gesù intendeva proporre. Eppure, diremmo noi, lo avevano ascoltato, avevano visto le sue opere e, allora, perché questo smarrimento? Perché tutta questa incomprensione? La realtà della croce ha smascherato e messo a nudo le fantasie di gloria dei discepoli, le loro ideologie. L’attenzione alla realtà permette un processo di decostruzione delle ideologie che intasano la nostra mente e che filtrano la realtà, non permettendoci di coglierla. Per i discepoli la croce ha rappresentato la morte dei loro ideali e la possibilità di una rinascita a vita nuova.

«Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto».

La richiesta che i capi del popolo fanno a Gesù, manifesta che non hanno compreso nulla del suo messaggio. La prova che chiedono per dimostrare che lui è il Cristo è quella di salvare se stesso. Gesù ha dimostrato esattamente il contrario e cioè, ha dimostrato di essere il Cristo di dio proprio con una vita di totale donazione di se stesso, continuamente proteso a salvare le vite di chi incontrava. Gesù ci ha mostrato con la sua vita che salviamo la nostra vita perdendola, per coloro che amiamo, per coloro che incontriamo. Ci arricchiamo spogliandoci per condividere per chi è nel bisogno. È questo il grande insegnamento umano di Gesù: un amore smisurato per tutti e tutte. Sempre in questa prospettiva vanno ricordate le parole che Gesù pronuncia sul legno della croce, proprio nella redazione di Luca che stiamo leggendo, quando afferma: “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Possiamo chiederci: esiste un amore più grande di questo? Gesù morente sulla croce, non pensa alla propria salvezza ma, addirittura, alla salvezza dei suoi assassini. Gesù muore solo sulla croce, ma pienamente consapevole delle sue scelte. Muore libero per amore: ha scelto di amare sino alla fine.

«In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».

Gesù muore in mezzo a due ladroni: la morte dell’infame, confermando tutto il suo cammino in cui non ha mai cercato di essere qualcuno, di cercare la gloria degli uomini, ma sempre attento ai più deboli. Chi decide di dedicare la sua vita ai poveri non ha tempo di pensare alla carriera. Anche sulla croce Gesù è attento a chi gli è vicino, li ascolta e anche in questo contesto emerge che la sequela non è un fatto di massa, ma di scelta personale.

Gesù è il re dell’universo perché con la sua scelta di amore autentico, rifiutando la gloria degli uomini, entra nelle vene dalla storia con il suo Spirito di amore che tutti e tutte possiamo accogliere.

mercoledì 16 novembre 2022

L’alleanza dal Vecchio al Nuovo Testamento

 




 Il termine alleanza in ebraico si dice berith, e sta a significare esattamente “tra due”; alcuni la fanno derivare dalla parola barah, che significa mangiare e anche decidere, impegnarsi. Questi riferimenti ci fanno capire che l’Alleanza è qualcosa che avviene tra due soggetti, che però ha attinenza anche con un pasto e con una decisione e un impegno. Ma che cosa noi sappiamo della fattualità dell’alleanza nell’antichità ? Sicuramente che era un accordo tra due partner, che potevano essere molto diversi (uomini, re, un re e un vassallo o anche un uomo e una donna). Ciò che qualifica l’alleanza è l’accordo tra due parti, a prescindere dal fatto che abbia una ricaduta nella vita personale (nozze) o nella vita sociale o a livello politico: in ogni caso è berith, alleanza. Ciò che è importante evidenziare è che l’alleanza è possibile solo dove c’è un contesto di fiducia, di fede, da non intendere quest’ultima come fede in Dio, ma come quell’atteggiamento inerente a ogni uomo, che in ogni persona è la spinta vitale, che si ritrova anche negli animali. Dal momento in cui l’essere vivente (uomo o animale) è proiettato nel vuoto, fuori dall’utero materno, quest’essere ha forze sufficienti per vivere. Ciò è possibile perché il nascituro ha questo sentimento di fiducia dentro di sé: è pur vero che questo sentimento di fiducia è così mescolato alle fibre della vita che certamente muta molto a secondo della vita che analizziamo. Un atteggiamento che nell’uomo evolve verso la ragione e negli animali resta a livello di istinto. Se non ci fosse questa fiducia non ci sarebbe la vita: se un bambino non avvertisse quando nasce questo sentimento di fiducia, morirebbe. Ecco perché è importante che sin dalla nascita il bambino possa aver fiducia in qualcuno a cominciare da chi l’ha messo al mondo. La fiducia è qualcosa di molto importante, che permette la vita, la relazione, l’alleanza; un processo questo che ho analizzato con più profondità nel mio libro Fede e fiducia, ma è importante ricordare che le nostre storie d’amore, di relazione sono storie che hanno bisogno di fiducia. Lo stesso termine fidanzamento significa mettere fiducia nell’altro, un’espressione che purtroppo oggi trova poca rispondenza negli atteggiamenti che sono alla base di una relazione iniziale di coppia, motivata quasi sempre a livello verbale dall’espressione “stiamo bene insieme”, con la precarietà che tale espressione comporta. L’alleanza nasce quindi da un contesto di fiducia: se questa c’è, i due partner possono entrare in relazione perché l’uno è per l’altro “affidabile”. E’ evidente che le espressioni fiducia, fede, fedeltà, sono tutte collegate all’alleanza.

Aspetto storico documentale. Tutti i documenti del II e I millennio a.c. del Medio Oriente richiamano spesso queste alleanze, che erano la maniera attraverso cui gli uomini si umanizzavano (v. alleanze tra tribù per interessi vari o per difendersi da un nemico più grande). Solo Israele però è arrivato a pensare ad un’alleanza con Dio, circostanza che non si ritrova in nessuna delle religioni contemporanee d’Israele. All’interno di quest’alleanza Israele ha trovato un’origine, un momento di preparazione, una celebrazione ma ha dovuto registrare la rottura dell’alleanza tramite l’infedeltà, ha dovuto pensare ad un rinnovamento dell’alleanza fino a ipotizzare un’alleanza nuova. Ma in questo tragitto che va da Abramo fino al Nuovo Testamento, c’è un mutamento grande, che quasi svuota l’alleanza: voglio dire che s’è l’alleanza è bilaterale, se contiene delle clausole per cui i due sono alleati e richiede la fedeltà ed è l’alleanza che Dio ha fatto con Abramo, con Mosè, con Davide, arrivando al Nuovo Testamento quest’alleanza è svuotata della sua bilateralità, diventa un’alleanza unilaterale, già annunciata dal profeta Ezechiele: anche se uno dei due partner viene meno nella fedeltà, l’alleanza resiste, continua, è un’alleanza divenuta eterna, definitiva. Nel Nuovo Testamento anche se l’uomo tradisce l’alleanza, Dio resta fedele: può sembrare inaudito ma è il cammino che fa l’alleanza dall’Antico al Nuovo testamento. Dio attraverso il perdono mantiene l’altro partner infedele all’interno di un’alleanza sempre valida. Un altro degli errori che spesso si fa è quello di pensare che ci sono due alleanze, in greco due testamenti, e quando Paolo arriva a parlare di un Testamento antico, dopo che Gesù aveva parlato di nuova alleanza, di nuovo testamento, noi cristiani abbiamo finito per dire, c’è l’antica alleanza, quella stretta tra Dio e il suo popolo con Mosè, e c’è la nuova alleanza, definitiva, quella fatta con Cristo, nella sua morte e resurrezione, per cui la l’antica alleanza è passata. Per gli Ebrei l’antica alleanza resta ancora efficace e la Chiesa non sostituisce Israele, non succede a Israele che resta il popolo dell’alleanza e delle benedizioni, un’alleanza che Dio con loro non ha mai revocato e la nuova alleanza cristiana è la pienezza, la concretizzazione della prima, che resta ancora in vigore.

 Perché molte alleanze? Da una lettura attenta della Bibbia si evince che Dio ha fatto più volte alleanza con l’uomo. Una prima alleanza è quella noatica, con Noè dopo il diluvio: 22Finché durerà la terra, seme e mèsse, freddo e caldo, estate e inverno, giorno e notte non cesseranno». (Gen 8,22) 3Pongo il mio arco sulle nubi, perché sia il segno dell'alleanza tra me e la terra. 14Quando ammasserò le nubi sulla terra e apparirà l'arco sulle nubi, 15ricorderò la mia alleanza che è tra me e voi e ogni essere che vive in ogni carne, e non ci saranno più le acque per il diluvio, per distruggere ogni carne. 16L'arco sarà sulle nubi, e io lo guarderò per ricordare l'alleanza eterna tra Dio e ogni essere che vive in ogni carne che è sulla terra». (Gen, 9,14) Quest’alleanza è con tutta l’umanità, anzi ha una natura cosmica tant’è che il segno (l’arcobaleno) sta tra la terra e il cielo, non è un segno impresso nella carne dell’uomo: un’alleanza che coinvolge anche il cielo e la terra nel rinnovamento, con l’assicurazione che la terra non sarà più distrutta e l’umanità non sarà più minacciata da Dio. In questa descrizione dell’alleanza, non ci sono clausole evidenziate nel testo; secondo i rabbini queste clausole sono nella seconda tavola della Legge data a Mosè (nella prima l’iconografia ne raffigura tre nella seconda sette) e sono precetti dati a tutti e riguardano la vita intra umana.

1 Il Signore disse ad Abram: «Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò. 2Farò di te una grande nazione e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e possa tu essere una benedizione. 3Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò, e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra». (Gen.12,1)

Abramo riceve da Dio l’offerta dell’alleanza a condizione che sia credente in lui, un patto siglato nel sangue tramite la circoncisione: se l’arcobaleno era il segno dell’alleanza di Dio con la natura, quando stringe l’alleanza con Abramo, il padre degli ebrei, allora il segno diventa la circoncisione di ogni figlio maschio, una mutilazione incisa nella carne definitiva, irreversibile per cui l’ebreo nella sua carne porta il segno di essere un alleato con Dio. C’è poi la terza alleanza: nel libro dell’Esodo c’è stata la liberazione dall’Egitto secondo la promessa fatta a Mosè al roveto ardente:

 [12] Rispose: «Io sarò con te. Questo sarà per te il segno che io ti ho mandato: quando tu avrai fatto uscire il popolo dall’Egitto, servirete Dio su questo monte». Esodo 3,12. Nella seconda apparizione al Capitolo 6: “7Vi prenderò come mio popolo e diventerò il vostro Dio” (Esodo 6,7)

Questa è già una formula d’alleanza che riecheggia quella delle nozze, che conferma come l’alleanza sia una forma molto umana semplice, che richiede questo possesso reciproco, questo legame fortissimo. Dio mantiene la sua promessa liberando il popolo dall’Egitto e quando quest’ultimo giunge alle falde del Sinai, giunge il momento dell’alleanza o nozze, come dicono i rabbini. Nell’immaginario del popolo ebreo Dio abitava sul monte Sinai e di là parlava e faceva sentire la sua voce, dicendo queste parole: 4«Voi stessi avete visto ciò che io ho fatto all'Egitto e come ho sollevato voi su ali di aquile e vi ho fatto venire fino a me. (L’aquila è l’unico degli uccelli che trasporta i piccoli sulle ali) 5Ora, se darete ascolto alla mia voce e custodirete la mia alleanza, voi sarete per me una proprietà particolare tra tutti i popoli; mia infatti è tutta la terra! 6Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa». Queste parole dirai agli Israeliti». ( Esodo 19,4) In queste parole, come messaggio c’è gia’ tutto, anzi c’è più che quello che poi si capisce dalla celebrazione. Gli elementi costitutivi di questa alleanza:

1) i due partner, l’uno di fronte all’altro (io vi ho fatti venire fino a me)

2) l’ascolto (se voi ascolterete la mia voce) ecco perchè Shemà Israel (ascolta Israele) diverrà la preghiera principale per gli Israeliti, mentre noi in maniera errata continuiamo a pensare che il rapporto con Dio si realizzi nel dire noi qualcosa a lui ( anche nel Nuovo Testamento ritorna l’invito di Dio “Questo è mio Figlio ascoltatelo!”); l’ascolto prima ancora delle 10 parole è il contenuto dell’Alleanza, l’unica clausola dell’Alleanza, tenuto conto che in ebraico il termine ascolto significa anche obbedienza.

3) la promessa (“sarete per me una proprietà particolare (un tesoro) tra tutti i popoli”) . L’elezione d’Israele non è però un privilegio (come spesso Israele ha inteso), ma comporta responsabilità.

4) La caratteristica del sacerdozio, secondo la corretta traduzione che non è “un regno di sacerdoti” ma “voi sarete per me dei sacerdoti e una gente santa”. Subito dopo la promessa c’è la grande celebrazione dell’alleanza: tre giorni di preparazione (digiuno e astinenza sessuale), seguiti da una teofania (manifestazione di Dio, con linguaggio immaginario, fuoco, fumo, nube). Però in Deuteronomio così l’autore sacro commenta:

 “11Voi vi avvicinaste e vi fermaste ai piedi del monte; il monte ardeva, con il fuoco che si innalzava fino alla sommità del cielo, fra tenebre, nuvole e oscurità.12Il Signore vi parlò dal fuoco; voi udivate il suono delle parole ma non vedevate alcuna figura: vi era soltanto una voce.”(Deut. 4,11)

Le immagini usata in Esodo associano alla presenza di Dio immagini maturali che provocano timore, spavento ma in realtà Dio si manifestava solo in una voce e quelle parole suonarono come 10, il decalogo. Nell’antichità l’alleanza si celebrava con un pasto, come accade ancora oggi nelle consuetudini popolari. Il rito prevedeva che si prendesse un animale, lo si divideva a metà, e ciascuna parte veniva mangiata dai due contraenti; il rito è descritto nella Bibbia riguardo all’alleanza di Dio con Abramo. Quindi si passa nel linguaggio simbolico, dall’arcobaleno, alla circoncisione e con Mosè al sacrificio: i vitelli vengono uccisi, è costruito un altare, il sangue dei vitelli è raccolto in una grande conca, Mosè intinge un aspersorio nel sangue e asperge il popolo e l’altare. Ciò significa che lo stesso sangue è sull’altare in Dio e sul popolo e Mosè dice “Questo è il segno dell’alleanza che oggi Dio conclude con voi”. La portata di questo gesto è straordinaria: il sangue delle vittime su Dio e sul popolo, un solo sangue, una sola vita, quasi a dire Dio e il suo popolo sono consanguinei. Dopo il rito continua bruciando una parte della carne sull’altare come porzione per Dio, mentre l’altra la mangia il popolo. L’alleanza viene stretta con un sacrificio di comunione. La quarta alleanza, l’ultima: Questo rito continua per 1200 anni e il sacrificio è sempre il segno dell’alleanza tra Dio e il suo popolo, che andando al Tempio a compiere il sacrificio cerca di rinnovare l’alleanza, cerca la comunione con Dio, con sacrifici aventi diversa finalità ( di espiazione o di comunione).

Tutto l’antico testamento vive di questa celebrazione dell’alleanza attraverso il sangue dei sacrifici, fino alla venuta di Gesù Cristo che si pone come elemento di rottura rispetto a questo modo di vivere l’alleanza. Nei vangeli non c’è traccia di sacrifici offerti da Gesù al Tempio, anzi secondo il Vangelo di Giovanni Gesù manda via dal Tempio quello che era disposto da sacrificare e fa cessare il culto dei sacrifici, volendo far capire che non l’animale, ma ognuno di noi deve essere la vittima offerta in sacrificio per gli altri attraverso gesti d’amore. E proprio perché ciò fosse chiaro, la sera prima della passione Gesù sostituisce quel rito d’alleanza di Mosè col nuovo rito di alleanza, istituendo l’eucarestia. Finita la cena pasquale Gesù prende il pane, lo spezza, dice la benedizione a Dio, lo dà e dice mangiate, questa è la mia vita, se voi mangiate questo pane, mettete in voi la mia vita; e subito dopo, preso il calice del vino, ripete le stese parole di Mosè, questo è il calice, questo è il sangue, ma non dice più come Mose questo è il sangue dell’alleanza, ma questo è il sangue della nuova alleanza, dove nuova in greco non significa nuova ma ultima e definitiva. Il vino diventa il segno che la vita di Gesù è in noi e che la nostra vita è in quella di Gesù. Questa è l’alleanza ultima e definitiva, perché non c’è alleanza più forte, indelebile: è un qualcosa che non è soltanto impresso nel nostro corpo, come la circoncisione, ma diventa la vita del nostro corpo. Questo è lo scandalo e l’inaudito dell’eucarestia, che ancora oggi abbiamo difficoltà a capire dopo duemila anni che la celebriamo. Andando a comunicarci, dovremmo sempre essere consapevoli che vi andiamo come peccatori, che quel calice non è per i giusti, non è un premio per i buoni, ma esprime la nostra richiesta di perdono e la nostra volontà di rimanere nell’alleanza nonostante le e nostre infedeltà e le nostre debolezze.

 

sabato 5 novembre 2022

VANGELO DI GIOVANNI CAPITOLO 5

 



 

Appunti di Paolo Cugini

 

1-9: Gesù si trova a Gerusalemme, ma non si reca subito al tempio: entra prima in un luogo di dolore. I malati non vanno al tempio perché secondo la legge i ciechi, gli storpi, ecc. appartenevano alla vasta sfera dell’impurità cultuale (Lv 21, 18s). potevano stare nel cortile dei mercati (Mt 21,15) oppure davanti l tempio (At 3,1-10). Altri preferivano stare alla piscina di Betzatà, un luogo pagano. Gesù entra in questo luogo e appare così, come il Signore degli ultimi. Gesù è più potente di tutti gli idei guaritori. Perché?

10-18: Gesù appare come un uomo libero che vuole uomini liberi. Quando guarisce e fa del bene ad una persona non la costringe a divenire suo discepolo: la lascia andare, le dice di tornare a casa sua o egli stesso si ritira (Mt 9, 25s; Mc 2,12s; Lc 5,14s; 14,4s). Ogni guarigione di Gesù porta i segni della gratuità.

Colui che libera e dice di non peccare è ricercato come un malfattore e costretto a difendersi. Per Gesù il sabato non è solo il riposo di Dio, ma dev’essere anche memoria della liberazione operata da Dio quando fece uscire il popolo dall’Egitto. Per questo secondo Dt 5,12-15 nel giorno di sabato il popolo si riposa e compie gesti di liberazione, facendo riposare anche lo schiavo e la schiava. È questo che cerca di fare Gesù: mettere dei gesti di librazione nel giorno di sabato.

Per i capi dei giudei Gesù non solo viola il sabato ma lo fa violare anche ad altri. Son o questi i capi di accusa che porteranno alla sua morte.

 

19-47: discorso di autodifesa di Gesù

19-30: Gesù Parla di sé come figlio del Padre. Quello che dice è.

19: il Figlio osserva attentamente quello che il Padre fa e poi, imitandolo, fa la stessa cosa. Fra i due c’è una relazione d’intenso amore. Il Figlio appare come il donatore di vita. E nel far vivere chi vuole.

Chi vuole: è un’espressione che introduce l’idea di giudizio. Il Padre non giudica nessuno, ma ha dato al Figlio ogni potere di giudizio. Gesù esercita questo potere come Figlio dell’uomo e secondo quel che ascolta. Egli continua ad agire in intima unione con io Padre. Il Figlio è ormai divenuto lo spazio dell’incontro degli uomini e delle donne con Dio.

Il figlio ha il compito di donare la vita, quella vita che si definisce eterna perché ha in sé il carattere della definitività. È una vita che la morte non può interrompere. È una vita già fin d’ora posseduta da chi ascolta il Figlio e lo accoglie come l’inviato del Padre. Chi crede possiede già fin d’ora la vita e non può cadere sotto il giudizio. Il giudizio si compie ora mentre scorre la storia e dipende dalla decisione che ogni uomo prende ora di fronte alla Parola del Figlio e di fronte al Padre che lo ha mandato.

31-40: Gesù presenta i suoi testimoni. In primo piano c’è la missione del Figlio, che tende alla salvezza anche di chi lo rifiuta.

La testimonianza di Giovanni Battista.

La testimonianza delle opere. Sono opere che il Figlio non fa da se stesso, ma le vede fare dal Padre, che testimoniano che il Padre lo ha mandato e che il Padre opera in continuità per mezzo del Figlio.

La testimonianza del Padre. Se le opere non si possono compiere senza l’aiuto di Dio, quelle stesse opere sono pure la testimonianza di Dio a favore di colui che, facendole, si dichiara Figlio di Dio. Le sue opere mettono perciò l’uomo in situazione di leggerle come Parola di Dio per loro; di riconoscere che il Dio di Israele si rivela oggi in Gesù, almeno come si era rivelato ai Padri, a Mosè. Il problema è che gli uditori non sono in grado di capire.

La testimonianza delle Scritture: Gesù afferma che Israele non ha veramente ascoltato la Scrittura, non si è radicata in essi. Non le hanno mai comprese. Le Scritture non sono la sorgente della vita, ma conducono verso colui che è, con il Padre, la Sorgente.

 

41-47: Gesù spiega l’incredulità degli uditori.

La parola di Gesù si è fatta dura e incisiva. Gesù non è uno che va in giro in cerca di un prestigio umano, che cerca la gloria degli uomini e si presenta come uno che è stato mandato. Gesù cerca unicamente di fare la volontà del Padre, una volontà che è salvezza per gli uomini. In questa luce si presenta come l’uomo per gli altri, come colui che esiste per. Perciò può credere in lui solo chi si lascia coinvolgere in una vita che si fa dono per gli altri. Ma i suoi uditori sono tutto l’opposto.

Avevano accusato Gesù di aver violato la Legge promulgata da Mosè (5, 16.18). Gesù ritorce l’accusa: sono essi che non credono in Mosè. Se davvero indagassero le Scritture capirebbero, come Filippo e Natanaele (1,45), che Gesù di Nazareth è colui di cui scrisse Mosè nella legge.

In questo capitolo c’è la linea maestra della catechesi primitiva per penetrare il mistero di Cristo: osservare quanto Gesù fa e dice, confrontandolo con le Scritture. Queste, infatti, portano inevitabilmente a Cristo, che non le contraddice, ma le supera. Dio ha parlato in esse solo parzialmente, ora nel Figlio ci parla in modo definitivo (Eb 1,1), donandoci tutto il suo amore. 

mercoledì 2 novembre 2022

CON LA VOSTRA PERSEVERANZA SALVERETE LA VOSTRA VITA

 



XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C

Lc 21,5-19

Paolo Cugini

 

Siamo giunti al termine dell’anno liturgico e la liturgia, come sempre, ci aiuta a riflettere sul cammino percorso. La fine dell’anno liturgico porta i segni anticipatori della fine della nostra vita e della fine della storia. Le letture ascoltate riportano i contenuti della tematica della fine dei tempi. Il profeta Malachia, nella prima lettura, avverte che “sta per venire il giorno rovente come un forno” (Ml 3,19). Anche il salmo 97 fa eco a questi temi di sapore apocalittico ricordandoci che Dio “giudicherà il mondo con giustizia e i popoli con rettitudine”. San Paolo, nella seconda lettura esorta i fedeli di Tessalonica a comportarsi in modo degno, lavorando per guadagnare il pane quotidiano. Poi abbiamo il Vangelo, sul quale soffermiamo maggiormente la nostra attenzione.

In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta».

È una frase che sintetizza molto bene la proposta che Gesù ha fatto durante la sua predicazione pubblica. Il tempio del quale non rimarrà pietra su pietra e che, di conseguenza, sarà distrutto, è il riferimento al tipo di proposta religiosa che il tempio rappresenta e ai valori che propone. La proposta di Gesù è radicalmente all’opposto della religione del tempio. Il tempio, infatti, è il simbolo della religione che considera il rapporto con Dio come un merito da conquistarsi con sacrifici, riti mediati dalla classe sacerdotale che, su questo sistema religioso, impone tasse ingenti. È una classe sacerdotale che, negli ultimi secoli, si è arricchita sulle spalle dei ceti più poveri della società palestinese. Si tratta, dunque, di una religione per pochi, una religione che ha perso il senso autentico del rapporto con Dio ed è prigioniera di una classe sacerdotale che ha costruito un reticolato di leggi e decreti che rendono la vita delle persone un vero e proprio inferno. Di tutto questo, ci dice Gesù, non rimarrà nulla. Gesù, al contrario, non parla di merito, ma di dono; non parla di leggi, ma pone al centro la persona. Nella proposta di Gesù c’è il Regno dei cieli, che ha messo l’amore del Padre alla portata di tutti e tutte, non solo in modo gratuito, ma anche sena distinzioni. Questo non solo è sconvolgente, ma è radicalmente l’opposto e non può coesistere. Ciò di cui Gesù parla guardando le pietre del tempio è, in realtà, rivolto a quello che il tempio rappresenta. Chi abbraccia il regno dei cieli, chi fa spazio all’amore del Padre donato gratuitamente, deve distruggere le logiche religiose della religione del tempio.

Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze…Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni… sarete odiati da tutti a causa del mio nome.

Gesù utilizza il linguaggio apocalittico dei profeti che annunziavano la fine dei tempi come Gioele, Ezechiele e Zaccaria. Non sono, quindi, da prendere come indicazioni storicamente verificabili, ma come indizi di un cammino profondo da cercare dentro il cuore della storia, nella vita di ciascuno di noi. C’è, comunque, una certezza in coloro che, attratti dalla parola del Vangelo, decideranno di accogliere la proposta del regno dei cieli e abbandonare la religione del tempio, distruggendola dentro di sé: la pagheranno cara. Sostituire la logica del Dio tremendo con l’amore del Padre; sostituire la logica della Nazione forte e potente che distrugge gli altri popoli, con la logica del regno dei cieli basato sull’uguaglianza e la giustizia a favore dei più deboli: sostituire l’idea di famiglia patriarcale, con la proposta di una comunità di discepoli e discepole che fanno della relazione d’amore gratuito e disinteressato il senso della propria convivenza. Come dicevo sopra, questa sostituzione così netta e radicale non è indolore, ma provoca lacerazioni profonde a tutti i livelli. L’invito di Gesù è quello di prepararsi all’onda d’urto violenta che dovranno subire tutti i discepoli e le discepole: sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Parole simili a quelle che Gesù dirà nel contesto dell’ultima cena nel vangelo di Giovanni: tutti vi odieranno (Gv, 15). La spiritualità del discepolo e della discepola del Signore, che matura lungo il cammino queste scelte, che li pongono in contrasto con il mondo, dovrà aiutarli a resistere.

Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita.

È questa la certezza che il Signore offre: non ci lascia soli. Per sentire la sua presenza, che ci incoraggia nelle scelte fatte, occorre passare dal piano esteriore a quello interiore o, come direbbe Paolo, lavorare per rafforzare sempre più l’uomo (la donna) interiore. È la perseveranza che ci salva dal vuoto della religione del tempio. Perseveranza dice di libertà personale, la capacità di organizzare la nostra vita spirituale, per non permettere a niente e a nessuno di privarci del grande tesoro che il Padre ci comunica nel Figlio e ce lo dona con il suo Spirito: l’amore.