Paolo
Cugini
Dice il teologo Armando Matteo che al
mondo postmoderno non interessa più il discorso religioso e che quindi gli
uomini e le donne di oggi possono anche vivere senza Dio. C sono pagine della
Bibbia che avvalorano questa analisi, perché sembrano troppo lontane dalla
nostra realtà, troppo distanti dai nostri problemi. E’ necessario un attento
lavoro di ascolto, di riflessione per cogliere il valore che una pagina di
Vangelo può avere per noi. Queste considerazioni valgono anche per il brano di
oggi.
E’ interessante accompagnare il modo
che Gesù di accompagnare i suoi discepoli, cioè di esercitare la sua paternità
spirituale. E’ tutto fuorché impositivo, apprensivo. Accompagna i suoi
discepoli per farsi conoscere. Mangia con loro, vive con loro. I discepoli
hanno la possibilità di ascoltare la sua Parola, di vedere i suoi gesti, di
fare domande e ascoltare. Gesù è con loro, li accompagna senza mai forzare
un’indicazione, perché è in attesa della rivelazione del Padre. Non è Lui che
decide chi sarà il capo dei discepoli, ma il padre. Per questo lascia il tempo
affinché tutti lo ascoltino, lo conoscano, per far maturare in loro l’amore
verso il Padre, per fare in modo che lo Spirito trovi spazio. “Beato sei tu Simone, Figlio di Giona, perché
né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli”.
L’insegnamento che ne possiamo ricavare è quello d non avere fretta di dire ai
nostri figli che cosa devono fare, di dirgli cosa dovranno fare nella vita adulta.
Ciò richiede da una parte la possibilità che essi ci vedano all’opera, e che
quindi ci sia nella nostra azione un senso, perché è questo che assorbono, il
senso che stiamo dando alla nostra vita. Dall’altra, ci viene richiesta la
pazienza che solamente una persona di fede può avere, una persona che cerca
tutti i giorni il significato della propria storia nel Vangelo di Gesù. Come
infatti Gesù sprofondava nella preghiera quotidiana, nella ricerca personale
della volontà del Padre, così la vita adulta nella fede si manifesta nella
ricerca quotidiana della volontà del Padre su di noi. Maturiamo, così la
pazienza di colui che sa aspettare la manifestazione del Signore. Gesù pone la
domanda cruciale nel mezzo del cammino verso Gerusalemme, domanda che stimola
nei discepoli una verifica del loro cammino, un entrare in loro stessi. Con la
domanda Gesù permette ad ogni discepolo di capire il senso della loro sequela,
di prendere posizione in un modo o nell’altro su Gesù, anche perché, come
potranno verificare nel proseguo del cammino, le esigenze della sequela sono
molto dure ed esigenti.
C’è poi nella pagina del Vangelo di
oggi il modello di ogni vocazione, di ogni incontro con Dio, che si manifesta
in tre momenti. Il primo è la ricerca di Dio. Gesù non dirige la domanda sulla
propria identità a delle persone anonime, ma a coloro che hanno deciso di
abbandonare tutto per seguirlo. Ciò significa che il discepolo è per natura una
persona in ricerca di un senso della vita. Questo dato oggi non è per niente
scontato. La vita consumista proposta nella civiltà globalizzata, sempre aver
riempito con la materia in abbondanza anche gli interstizi dell’anima.
L’effetto di questa proposta, che è un vero e proprio stile di vita globale, si
vede e come nelle nuove generazioni. Stimolare la ricerca di senso, il bisogno
di trovare un senso nella vita è forse la grande sfida della Chiesa oggi e non
solo. E’ difficile, infatti, parlare di Dio e di Gesù a persone che non stanno
cercando nulla, ma si stanno semplicemente riempendo il tempo di attività,
spesso e volentieri slegate tra di loro, o che soddisfano delle attitudini. La
manifestazione di Dio nella nostra vita, che è il secondo aspetto della
dinamica vocazionale, avviene se c’è spazio nella nostra vita per questo
incontro, se stiamo cercando qualcosa, se stiamo dedicando tempo a noi stessi,
nella riflessione, nelle risposte ai grandi problemi della vita. Il terzo
aspetto è la rivelazione della nostra vocazione: “Tu sei Pietro”. E’ un dono
grandissimo capire il seno della nostra vita: forse è questa la più grande
felicità che possiamo vivere. E’ di
questo che dobbiamo ringraziare il Signore.
Il problema maggiore per chi proviene
da questo percorso spirituale consiste nell’abitare la propria vocazione. Le
tre dimensioni sopra sottolineate non riguardano, infatti, semplicemente gli
inizi, la rivelazione iniziale, ma ci accompagnano durante tutto il cammino.
Dio non ci chiama per affidarci una vocazione per poi abbandonarci a noi
stessi. Lui è sempre presente: e noi ci
siamo?
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