PRIMA DOMENICA DI QUARESIMA/A
Paolo Cugini
Il ciclo liturgico A, che è quello che stiamo vivendo,
durante il tempo di quaresima riporta il percorso messo a punto dalle prime
comunità, che veniva utilizzato come itinerario quaresimale per i neofiti, che
avrebbero ricevuto il battesimo la notte di Pasqua. Approfittiamo, allora, di questo
percorso per rivedere e riprendere in mano il nostro battesimo, il nostro
cammino di fede, la nostra possibilità di convertirci al Vangelo.
“Il
Signore Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un
alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente” (Gen 2, 7). L’essere
vivente, così come lo descrive Genesi, è dato dal soffio di Dio su di un po' di
polvere del suolo. Immagine forte e vera che dice della realtà dell’uomo e
della donna. Non siamo altro che un po' di polvere tenuta in vita dal soffio di
Dio. Forse questa presa di coscienza offre già un primo spunto di riflessione:
se non volgiamo che la nostra polvere si disperda nel vento, dobbiamo far di
tutto per trattenere il soffio di Dio che è dentro di noi e che ci tiene in
piedi. Se guardiamo, infatti, alla croce di Cristo che cosa vediamo di tanto
differente da noi? Vediamo la “polvere” di un corpo morto, la fragilità della
condizione umana destinata a morire, a spegnersi. In Gesù, però, quel corpo
morto dice qualcosa di grande a coloro che lo osservano con attenzione. Rivela,
infatti, una vita donata gratuitamente per amore. Quel corpo morto respira
amore, pace e giustizia da tutti i pori e trasmette vita a tutti coloro che lo
guardano con fede. Il corpo di Gesù è una “polvere” che è stata totalmente
trasformata dal soffio di Dio presente in Lui. Come ha fatto Gesù? Cosa
possiamo fare noi affinché la polvere che siamo non si disperda nel vento, ma
diventi segno di amore e fonte di vita per coloro che ci sono vicini?
Il
Vangelo delle tentazioni messo dinanzi a noi dalla liturgia, ci offre alcuni
spunti di riflessione in questa direzione.
“Gesù fu
condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo” (Mt
4,1). Gesù, come ognuno di noi, è tentato dal diavolo: che cosa significa
questa affermazione? Il deserto è il simbolo della vita che, di fatto, si
presenta come un cammino in cui spesso non sappiamo dove andare e cosa fare. La
vita come deserto rivela la debolezza della nostra condizione umana e, allo
stesso tempo, la necessità di affidarsi a qualcosa, qualcuno per venirne fuori.
Non è detto, poi, che ogni vita abbia una conclusione positiva, che riesca
davvero ad uscire dal deserto. Anche perché nel deserto della vita c’è qualcosa
che ci distoglie dal cammino intrapreso, che è quello appreso nell’infanzia dai
genitori, dalla scuola, dalla Chiesa, dalle figure educative. Proprio mentre
stiamo attraversando il deserto della vita, nel momento in cui avremmo bisogno
di certezze che ci rassicurino sul cammino intrapreso, veniamo colti da dubbi,
tentati a spostarci dal cammino per entrare in un altro che, in apparenza
sembra più facile, più sensato, più corrispondente alla nostra sensibilità,
alla nostra percezione della realtà. “Diavolo”, allora, è il nome che diamo a
tutto ciò che provoca un nostro ripensamento, una difficoltà nel percorso e si
presenta sempre con l’aspetto migliore di quello che abbiamo abbracciato. E
così nascono i dubbi, le difficoltà, le incomprensioni e, soprattutto, gli
sbagli, alcuni dei quali, con l’andar del tempo risultano fatali. “Il diavolo”
fa presa sulla nostra struttura umana, la nostra polvere, sulla nostra parte
debole, fragile, in una parola: vulnerabile. Il Vangelo delle Tentazioni
descrive questa parte fragile mostrando i punti in cui la nostra umanità
diventa sensibilissima all’errore. In primo luogo, c’è la parte istintuale (le
pietre che diventano pane) che, se non è guidata da un orientamento di fondo,
conduce la persona alla distruzione. In secondo luogo, la costante tentazione
di sentirsi autonomi, non bisognosi di nessuno e di nulla, autosufficienti, in
una parola: come Dio. È la tentazione che ci assale quando poniamo la nostra
sicurezza nella salute, o nel denaro, in qualcosa d’esterno che garantisce la
nostra assoluta autonomia. Quando permettiamo a questa tentazione di aprire un
varco nella nostra umanità, l’annientamento si annida immediatamente alle
porte. Infine, c’è la tentazione del potere, che ci conduce istintivamente a
sentirci migliori degli altri e, quindi, a creare relazioni di oppressione e di
sottomissione.
È possibile
resistere a queste tentazioni e rimanere nel deserto della vita orientati verso
una meta sicura?
Gesù
nel Vangelo ci offre un esempio. Nel deserto della sua vita Gesù non ci entra
da solo, ma sospinto dallo Spirito. Questo suo cammino e la tentazione
successiva, avvengono dopo quaranta giorni di digiuno, che indicano
l’esperienza spirituale che rafforza la fiducia nel Padre. Gesù, dI fatto, alle
provocazioni de “diavolo” risponde sempre con citazioni bibliche. Dal contesto
si percepisce molto bene che non si tratta semplicemente di versetti appresi a
memoria, ma assimilati, fatti proprio, connaturali alla propria esistenza. Per
fare in modo che la Parola di Dio divenga a noi connaturale, occorre dedicarle
molto tempo, solo così il soffio dello Spirito di Dio non solo rimane in noi,
ma durante gli anni della vita, trasforma la nostra umanità in amore, pace e
giustizia. La narrazione del Vangelo ci dice che questa possibilità di una
umanità che resiste alle tentazioni e che rimane in piedi è reale, perché Gesù
era fatto di carne, di sangue e di ossa come noi.
Per l'opera
giusta di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione, che dà
vita
(Rom 5, 18). Paolo, nella seconda lettura di oggi, ci ricorda che Gesù non è semplicemente
un esempio esterno, ma il suo amore, la sua vita viene riversata dentro di noi
per mezzo dello Spirito Santo. Abbiamo tutto per riuscire a vivere le nostre
scelte, anche nel mezzo del deserto della vita sospinti dalle illusioni. Spetta
a noi l’umiltà di fare spazio allo Spirito del Signore della vita.
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