XXXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C
Lc
20,27-38
Paolo
Cugini
C’è una sensazione
che ci accompagna, soprattutto nei momenti importanti della nostra vita, quelli
segnati da relazioni di amicizia, di amore, ma anche quei momenti in cui portiamo
a frutto progetti importanti, frutto della nostra intraprendenza, delle nostre
scelte. È la sensazione che la morte non può essere l’ultima parola; è la
percezione che quello che viviamo con intensità continua e che non possiamo
essere nati così a caso. L’idea di una vita dopo la morte matura lentamente
nella riflessione biblica. Per secoli si pensava che il premio di una vita
conforme ai disegni di Dio fosse una vita lunga. Per questo motivo, il dolore e
la malattia erano interpretati come punizione, come la risposta di Dio ai
nostri peccati. Già a partire dal terzo secolo a. C. appare nella letteratura
sapienziale l’idea della resurrezione della carne, che rappresenta una grande
novità nel panorama culturale dell’epoca. La filosofia greca, che è senza dubbio
la forma più elevata della cultura occidentale, non era mai giunta ad
ipotizzare la resurrezione della carne, anche perché la sua proposta era la
reincarnazione, che nasce da una visione negativa del corpo come prigione
dell’anima. Questa idea della resurrezione arriva sino al tempo di Gesù, ma non
tutti l’appoggiavano. Da una parte vi erano i farisei che credevano nella
resurrezione, mentre dall’altra c’erano i sadducei che, rifiutando i testi dei
profeti e i libri sapienziali, considerando autentici solo i libri del
Pentateuco, non prestavano fede alle intuizioni dei libri dei Maccabei che
abbiamo ascoltato nella prima lettura e che costituiscono la testimonianza più
profonda del mistero della resurrezione.
Il brano di
Vangelo di oggi s’inserisce in questo dibattito importante tra scuole
teologiche, se così possiamo dire. Da una parte i farisei, con i quali Gesù ha
polemizzato nell’episodio ascoltato domenica scorsa, dall’altra i sadducei con
i quali Gesù entra in polemica proprio nel brano ascoltato.
La donna dunque, alla
risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in
moglie».
Nella storia
narrata dai sadducei si coglie molto bene l’intento di screditare Gesù davanti
alla folla ridicolizzando la credenza nella resurrezione. Questo è un problema
significativo, che può interessare anche una comunità. Quando entriamo in
contatto con una realtà nuova, che non conosciamo e che non volgiamo
affrontare, rischiamo di fare come i sadducei. Gesù non solo sta al gioco, ma
approfondisce il discorso, offrendo in questo modo un materiale che obbliga per
così dire, gli interlocutori a riflettere sulle proprie presunte sicurezze.
Viene posta dai sadducei il problema della donna nel matrimonio. La donna, come
sappiamo, nella cultura semitica fortemente segnata dalla cultura patriarcale,
ha valore solo in quanto capace di procreare. Nel matrimonio, in questa
prospettiva, non c’è affetto né tanto meno amore, ma c’è solo la preoccupazione
di dare continuità del nome del padre e, di conseguenza, c’è solo l’attenzione
alla funzionalità biologica della donna. Ecco perché la donna sterile era vista
in modo fortemente negativo, come se pesasse su di lei una maledizione.
Gesù rispose loro: «I figli di questo
mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della
vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito:
infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono
figli della risurrezione, sono figli di Dio.
La risposta di
Gesù ha due passaggi significativi. Nel primo Gesù colloca il discorso
nell’ambito delle conoscenze biologiche e teologiche del tempo, che vedeva il
matrimonio solo dal punto di vista della generazione, della possibilità
dell’uomo di dare continuità al proprio ceppo famigliare. Dal punto di vista
teologico Gesù sposta l’accento dalla prospettiva terrena a quella celeste
perché i risorti essendo come angeli, non sono più figli di qualcuno, ma di Dio
e, di conseguenza, non si pone più la questione del matrimonio. Il corpo delle
persone risorte essendo come quello degli angeli, non ha una vita sessuale
fatta di desiderio, di carenza e, di conseguenza non si pone più il problema
del matrimonio, della procreazione, tutti temi legati alla vita corporale.
Che poi i morti
risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice:
"Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe". Dio
non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».
Queste parole di
Gesù devono avere fatto davvero male ai sadducei, perché Gesù non cita un testo
profetico o sapienziale, che i sadducei non riconoscono, ma per avvalorare l’idea
della resurrezione, gioca nel campo dei sadducei citando un testo famosissimo
del Pentateuco, vale a dire, la rivelazione del nome di Dio nel capitolo tre
del libro dell’Esodo. Abramo, Isacco e Giacobbe avendo avuto figli da mogli
sterili sono la dimostrazione dell’intervento di Dio nella storia, a favore
della vita degli uomini e delle donne, che continua anche dopo la morte. Gesù
insegna ai sadducei che già nei testi del Pentateuco era racchiuso e celato il
mistero della resurrezione, che indicando il cammino di Dio amante della vita,
manifesta il suo progetto che nulla andrà perduto, perché tutto sarà
trasformato. È proprio una trasformazione, infatti, che avviene nella
resurrezione, come del resto ci ricorda san Paolo: “il corpo si semina
corruttibile risorge incorruttibile” (1 Cor 15,42s). La fede in Dio è la fede
nel Signore della vita, che non permette che nulla di ciò che ha creato vada
perduto. Se questo vale in generale, molto di più per i suoi figli e figlie.
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