mercoledì 26 ottobre 2022

IL DIO DEI VIVENTI

 



XXXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C

Lc 20,27-38

Paolo Cugini

 

 

C’è una sensazione che ci accompagna, soprattutto nei momenti importanti della nostra vita, quelli segnati da relazioni di amicizia, di amore, ma anche quei momenti in cui portiamo a frutto progetti importanti, frutto della nostra intraprendenza, delle nostre scelte. È la sensazione che la morte non può essere l’ultima parola; è la percezione che quello che viviamo con intensità continua e che non possiamo essere nati così a caso. L’idea di una vita dopo la morte matura lentamente nella riflessione biblica. Per secoli si pensava che il premio di una vita conforme ai disegni di Dio fosse una vita lunga. Per questo motivo, il dolore e la malattia erano interpretati come punizione, come la risposta di Dio ai nostri peccati. Già a partire dal terzo secolo a. C. appare nella letteratura sapienziale l’idea della resurrezione della carne, che rappresenta una grande novità nel panorama culturale dell’epoca. La filosofia greca, che è senza dubbio la forma più elevata della cultura occidentale, non era mai giunta ad ipotizzare la resurrezione della carne, anche perché la sua proposta era la reincarnazione, che nasce da una visione negativa del corpo come prigione dell’anima. Questa idea della resurrezione arriva sino al tempo di Gesù, ma non tutti l’appoggiavano. Da una parte vi erano i farisei che credevano nella resurrezione, mentre dall’altra c’erano i sadducei che, rifiutando i testi dei profeti e i libri sapienziali, considerando autentici solo i libri del Pentateuco, non prestavano fede alle intuizioni dei libri dei Maccabei che abbiamo ascoltato nella prima lettura e che costituiscono la testimonianza più profonda del mistero della resurrezione.

Il brano di Vangelo di oggi s’inserisce in questo dibattito importante tra scuole teologiche, se così possiamo dire. Da una parte i farisei, con i quali Gesù ha polemizzato nell’episodio ascoltato domenica scorsa, dall’altra i sadducei con i quali Gesù entra in polemica proprio nel brano ascoltato.

 

La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».

Nella storia narrata dai sadducei si coglie molto bene l’intento di screditare Gesù davanti alla folla ridicolizzando la credenza nella resurrezione. Questo è un problema significativo, che può interessare anche una comunità. Quando entriamo in contatto con una realtà nuova, che non conosciamo e che non volgiamo affrontare, rischiamo di fare come i sadducei. Gesù non solo sta al gioco, ma approfondisce il discorso, offrendo in questo modo un materiale che obbliga per così dire, gli interlocutori a riflettere sulle proprie presunte sicurezze. Viene posta dai sadducei il problema della donna nel matrimonio. La donna, come sappiamo, nella cultura semitica fortemente segnata dalla cultura patriarcale, ha valore solo in quanto capace di procreare. Nel matrimonio, in questa prospettiva, non c’è affetto né tanto meno amore, ma c’è solo la preoccupazione di dare continuità del nome del padre e, di conseguenza, c’è solo l’attenzione alla funzionalità biologica della donna. Ecco perché la donna sterile era vista in modo fortemente negativo, come se pesasse su di lei una maledizione.

Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio.

 

La risposta di Gesù ha due passaggi significativi. Nel primo Gesù colloca il discorso nell’ambito delle conoscenze biologiche e teologiche del tempo, che vedeva il matrimonio solo dal punto di vista della generazione, della possibilità dell’uomo di dare continuità al proprio ceppo famigliare. Dal punto di vista teologico Gesù sposta l’accento dalla prospettiva terrena a quella celeste perché i risorti essendo come angeli, non sono più figli di qualcuno, ma di Dio e, di conseguenza, non si pone più la questione del matrimonio. Il corpo delle persone risorte essendo come quello degli angeli, non ha una vita sessuale fatta di desiderio, di carenza e, di conseguenza non si pone più il problema del matrimonio, della procreazione, tutti temi legati alla vita corporale.

Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: "Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe". Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».

Queste parole di Gesù devono avere fatto davvero male ai sadducei, perché Gesù non cita un testo profetico o sapienziale, che i sadducei non riconoscono, ma per avvalorare l’idea della resurrezione, gioca nel campo dei sadducei citando un testo famosissimo del Pentateuco, vale a dire, la rivelazione del nome di Dio nel capitolo tre del libro dell’Esodo. Abramo, Isacco e Giacobbe avendo avuto figli da mogli sterili sono la dimostrazione dell’intervento di Dio nella storia, a favore della vita degli uomini e delle donne, che continua anche dopo la morte. Gesù insegna ai sadducei che già nei testi del Pentateuco era racchiuso e celato il mistero della resurrezione, che indicando il cammino di Dio amante della vita, manifesta il suo progetto che nulla andrà perduto, perché tutto sarà trasformato. È proprio una trasformazione, infatti, che avviene nella resurrezione, come del resto ci ricorda san Paolo: “il corpo si semina corruttibile risorge incorruttibile” (1 Cor 15,42s). La fede in Dio è la fede nel Signore della vita, che non permette che nulla di ciò che ha creato vada perduto. Se questo vale in generale, molto di più per i suoi figli e figlie. 

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