XXI
DOMENICA TEMPO ORDINARIO
Is
22,19-23; Sal 137; Rm 11,33-36; Mt 16,13-20
Paolo
Cugini
In quel tempo, Gesù,
giunto nella regione di Cesarea di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La
gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». C’è un primo livello di comprensione
dell’identità di Gesù che riguarda il popolo, coloro che hanno assistito ai
suoi miracoli e ai suoi discorsi. Che cosa la gente ha capito di Gesù? Dalle
risposte dei discepoli si capisce che la gente lo sta identificando con i profeti,
soprattutto con quel tipo di profeta perseguitato dal potere. Sia Giovanni
Battista, che Elia e Geremia, durante la loro attività profetica, hanno avuto a
che fare con i gestori del potere del tempo, che non apprezzavano le loro prese
di posizioni polemiche e radicali. Giovanni Battista criticò Erode a causa del
suo adulterio. La predicazione di Geremia che, in anni di prosperità,
annunciava l’esilio in Babilonia del popolo d’Israele, era preso di mira dal re
Sedecia, che giudicava disfattista la predicazione del profeta. Infine, Elia
ebbe vita dura sia con il re Acab e, soprattutto con la regina Gezabele, che lo
minacciò di morte dopo che Elia sterminò i 400 profeti di palazzo. La predicazione
di Gesù era presa di mira dai capi del popolo d’Israele perché, secondo loro,
sobillava le tradizioni religiose, creando confusione tra il popolo. In realtà
Gesù mostrava l’inganno dei sacerdoti che, per mantenere i loro privilegi,
avevano sostituito la Parola di Dio con le loro tradizioni (Mc 7,9). L’opinione
della gente su Gesù mostra un aspetto importante dell’annuncio del Vangelo: la
profezia capace di smascherare le malefatte di coloro che, in nome di Dio, sfruttano
il popolo. Gesù smaschera i lupi vestiti da agnelli e lo fa pubblicamente: per
questo cercavano di ucciderlo (Mc 3,6). Se vuole essere fedele al Vangelo la
Chiesa deve mantenere acceso il profetismo, aiutando, in questo modo, il popolo
a non cadere nella trappola preparata dalle meschinità del potere di turno.
Disse loro: «Ma voi, chi dite che io
sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». E
Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né
sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. Gesù cerca, in un secondo momento l’opinione
dei discepoli, di coloro che avevano lasciato tutto per seguirlo. La risposta
di Pietro è come una rivelazione dall’alto. Non è stato, infatti, Gesù ad
indicare chi sarebbe stato la guida del piccolo gruppo di discepoli e
discepole, ma se lo è fatto consegnare. È in quel momento che Gesù capisce chi
fosse colui che il Padre aveva indicato per la successione: perché né carne
né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. Comprendere,
infatti, la vera identità di Gesù, il suo essere il Figlio amato dal Padre o,
come dirà Giovanni, colui attraverso il quale tutto è stato fatto e senza di
lui nulla è stato fatto di ciò che esiste (Gv 1,3), non è frutto di una
comprensione umana, ma un dono che viene dall’alto. In quelle parole di Pietro,
Gesù comprende l’azione del Padre, la sua designazione.
E io a te dico: tu sei
Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi
non prevarranno su di essa. È
Gesù che nomina Pietro responsabile della comunità. Qui si vede l’intelligenza
del leader, che vive il proprio mandato non come un merito, ma come un servizio
a Dio e alla comunità. Qui si coglie il criterio per comprendere la qualità di
un leader: la preoccupazione per come andrà avanti la comunità, una volta che
lui non ci sarà più. Dalle parole pronunciate poco dopo l’investitura di Pietro,
si coglie la percezione che Gesù aveva della propria morte imminente. Gesù è
preoccupato per ciò che ha seminato, per dare continuità al lavoro svolto. Il
leader è in gamba quando si muove in tempo per fare il proprio successore e, in
questo, manifesta l’amore per la comunità e dà valore alle persone incontrate. Quando,
invece, il leader vive il mandato come merito, farà di tutto per rimanere sino
alla fine e, dopo di lui, morirà tutto.
A te darò le chiavi del
regno dei cieli. Non
è un discorso rivolto verso un futuro lontano, perché Gesù non sta parlando di
vita eterna, di vita oltre la morte. Al contrario, Gesù sta parlando del
presente, delle sorti della ecclesia di discepoli e discepole e della loro
possibilità di sperimentare la bontà della vita nuova proposta da Gesù e che
trova valore nell’espressione: regno dei cieli. A questo servirà Pietro e tutti
coloro che riceveranno questo compito: fare di tutto con amore e spirito di servizio
gratuito, affinché le persone che si avvicinano all’ecclesia si sentano accolte,
avvolte da quell’amore fraterno e da quello spirito di giustizia e di pace
profuso da Gesù. Possiamo, allora, invocare lo Spirito Santo con l’intenzione
espressa dal salmo di oggi: non abbandonare l’opera delle tue mani (Sal 137).
Fa o Signore, che nessuno di coloro che hai messo a servizio della comunità
ci abbandoni. Aiutali nei momenti di sconforto e riempi il loro cuore del tuo
amore. Amen.
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