venerdì 25 agosto 2023

OMELIA DOMENICA 27 AGOSTO 2023

 




XXI DOMENICA TEMPO ORDINARIO

Is 22,19-23; Sal 137; Rm 11,33-36; Mt 16,13-20

 

Paolo Cugini

 

Siamo a metà del cammino verso Gerusalemme che Gesù compie con i suoi discepoli e discepole. Tante situazioni sono già state vissute, assieme a tante parole, discorsi nuovi che Gesù ha pronunciato e che hanno provocato reazioni diverse tra gli ascoltatori. Soprattutto i capi religiosi di Israele, come i farisei, i sadducei, gli scribi sono coloro che mettono in discussione non solo la qualità della proposta di Gesù, ma anche la sua identità. Anche gli stessi familiari di Gesù hanno manifestato disagio nei confronti del suo modo di agire. Per questi motivi Gesù rivolge la domanda sulla propria identità ai suoi discepoli: avranno capito di chi si tratta? Hanno compreso l’identità di colui che stanno seguendo e per il quale hanno fatto scelte importanti e radicali? Vediamo.

In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarea di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». C’è un primo livello di comprensione dell’identità di Gesù che riguarda il popolo, coloro che hanno assistito ai suoi miracoli e ai suoi discorsi. Che cosa la gente ha capito di Gesù? Dalle risposte dei discepoli si capisce che la gente lo sta identificando con i profeti, soprattutto con quel tipo di profeta perseguitato dal potere. Sia Giovanni Battista, che Elia e Geremia, durante la loro attività profetica, hanno avuto a che fare con i gestori del potere del tempo, che non apprezzavano le loro prese di posizioni polemiche e radicali. Giovanni Battista criticò Erode a causa del suo adulterio. La predicazione di Geremia che, in anni di prosperità, annunciava l’esilio in Babilonia del popolo d’Israele, era preso di mira dal re Sedecia, che giudicava disfattista la predicazione del profeta. Infine, Elia ebbe vita dura sia con il re Acab e, soprattutto con la regina Gezabele, che lo minacciò di morte dopo che Elia sterminò i 400 profeti di palazzo. La predicazione di Gesù era presa di mira dai capi del popolo d’Israele perché, secondo loro, sobillava le tradizioni religiose, creando confusione tra il popolo. In realtà Gesù mostrava l’inganno dei sacerdoti che, per mantenere i loro privilegi, avevano sostituito la Parola di Dio con le loro tradizioni (Mc 7,9). L’opinione della gente su Gesù mostra un aspetto importante dell’annuncio del Vangelo: la profezia capace di smascherare le malefatte di coloro che, in nome di Dio, sfruttano il popolo. Gesù smaschera i lupi vestiti da agnelli e lo fa pubblicamente: per questo cercavano di ucciderlo (Mc 3,6). Se vuole essere fedele al Vangelo la Chiesa deve mantenere acceso il profetismo, aiutando, in questo modo, il popolo a non cadere nella trappola preparata dalle meschinità del potere di turno.

Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. Gesù cerca, in un secondo momento l’opinione dei discepoli, di coloro che avevano lasciato tutto per seguirlo. La risposta di Pietro è come una rivelazione dall’alto. Non è stato, infatti, Gesù ad indicare chi sarebbe stato la guida del piccolo gruppo di discepoli e discepole, ma se lo è fatto consegnare. È in quel momento che Gesù capisce chi fosse colui che il Padre aveva indicato per la successione: perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. Comprendere, infatti, la vera identità di Gesù, il suo essere il Figlio amato dal Padre o, come dirà Giovanni, colui attraverso il quale tutto è stato fatto e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste (Gv 1,3), non è frutto di una comprensione umana, ma un dono che viene dall’alto. In quelle parole di Pietro, Gesù comprende l’azione del Padre, la sua designazione.

E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. È Gesù che nomina Pietro responsabile della comunità. Qui si vede l’intelligenza del leader, che vive il proprio mandato non come un merito, ma come un servizio a Dio e alla comunità. Qui si coglie il criterio per comprendere la qualità di un leader: la preoccupazione per come andrà avanti la comunità, una volta che lui non ci sarà più. Dalle parole pronunciate poco dopo l’investitura di Pietro, si coglie la percezione che Gesù aveva della propria morte imminente. Gesù è preoccupato per ciò che ha seminato, per dare continuità al lavoro svolto. Il leader è in gamba quando si muove in tempo per fare il proprio successore e, in questo, manifesta l’amore per la comunità e dà valore alle persone incontrate. Quando, invece, il leader vive il mandato come merito, farà di tutto per rimanere sino alla fine e, dopo di lui, morirà tutto.

A te darò le chiavi del regno dei cieli. Non è un discorso rivolto verso un futuro lontano, perché Gesù non sta parlando di vita eterna, di vita oltre la morte. Al contrario, Gesù sta parlando del presente, delle sorti della ecclesia di discepoli e discepole e della loro possibilità di sperimentare la bontà della vita nuova proposta da Gesù e che trova valore nell’espressione: regno dei cieli. A questo servirà Pietro e tutti coloro che riceveranno questo compito: fare di tutto con amore e spirito di servizio gratuito, affinché le persone che si avvicinano all’ecclesia si sentano accolte, avvolte da quell’amore fraterno e da quello spirito di giustizia e di pace profuso da Gesù. Possiamo, allora, invocare lo Spirito Santo con l’intenzione espressa dal salmo di oggi: non abbandonare l’opera delle tue mani (Sal 137). Fa o Signore, che nessuno di coloro che hai messo a servizio della comunità ci abbandoni. Aiutali nei momenti di sconforto e riempi il loro cuore del tuo amore. Amen. 

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