venerdì 10 luglio 2015

LA SAMARITANA





Paolo Cugini


Introduzione. Le domeniche del tempo di quaresima del ciclo A ci offrono un cammino battesimale per aiutarci a riscoprire il senso del nostro essere cristiani. Ogni domenica la liturgia ci offre una tappa di un cammino che dovrebbe portarci a scoprire a che punto siamo nella nostra adesione al Signore e alla sua proposta di vita.
La terza domenica ci presenta il dialogo di Gesù con la Samaritana, che possiamo considerare una potentissima metafora esistenziale e spirituale sul senso della vita. Per poter cogliere il messaggio di questa pagina di vangelo è importante tentare di interpretare i personaggi messi in scena da Giovanni.

Samaritana. Chi è la Samaritana e, soprattutto, chi rappresenta? La Samaritana è il simbolo dell’umanità e cioè, in un certo senso ognuno di noi è quella Samaritana. Affinché il discorso fluisca nello svelamento dei suoi significati, dovremmo poter arrivare ad affermare: “quella Samaritana sono io”.

Il pozzo. La Samaritana va al pozzo perché ha sete. Che cosa significa questa sete? Indica la struttura carente della nostra esistenza. Per vivere abbiamo bisogno di qualcosa, di qualcuno. Durante tutta la nostra vita cerchiamo dei pozzi d’acqua che ci possano dissetare. Ne troviamo uno e poi, quando si esaurisce, andiamo alla ricerca di un altro. Tutta la nostra esistenza si può misurare nella dialettica tra sete e acqua, tra ricerca di senso e ideali che riempiano il significato cercato. La sete indica quindi un bisogno a più livelli di complessità: istintuale, spirituale, intellettuale. Siamo assetati: è questa la nostra caratteristica esistenziale e quindi siamo continuamente alla ricerca. Questa ricerca significa anche insoddisfazione, che spesso si sposa con frustrazione, perché l’acqua che troviamo non ci disseta. L’insoddisfazione genera poi un’inquietudine, che non ci lascia in pace sino a quando troviamo quello che andiamo cercando.

Gesù seduto al pozzo. Che cosa significa questa presenza di Gesù seduto al pozzo? Significa che Gesù conosce il nostro problema, conosce la nostra sete, sa delle nostre inquietudini e frustrazioni. E allora per poterci dire qualcosa sull’acqua che andiamo cercando, si mette a nostro livello, si fa assetato, si siede al pozzo e ci aspetta. Per fare cosa? Per ascoltarci e, nel dialogo, rivelare il senso del nostro smarrimento, il motivo della nostra sete. Questa immagine di Gesù al pozzo è una significativa metafora del rapporto educativo: ogni volta che vogliamo dire e insegnare qualcosa a qualcuno, dobbiamo scendere dal piedistallo e metterci al suo livello. La relazione precede il contenuto. L’incarnazione è il metodo da Dio scelto per comunicare il vangelo.

Cinque mariti. Chi sono questi cinque mariti della Samaritana? Che cosa significano? Sono il simbolo di una sequenza, di una ripetizione. Abbiamo sete e abbiamo fretta di dissetarci e, una volta trovato un pozzo, qualcosa che ci disseti, nonostante percepiamo che non ci disseta pienamente, che non risolve la nostra carenza, che non dà un significato alle nostre frustrazioni, abbiamo la tendenza ad andare sempre nello stesso pozzo. Ci accontentiamo dell’acqua marcia o sporca: l’importante è che ci tolga la sete del momento. C’è un’acqua che non disseta. E’ Gesù stesso che lo dice: “chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete”. La paura di soffrire, di sentire il dolore delle nostre carenze ci conduce ad accontentarci di quello che troviamo. Per non stare male adesso, ci riempiamo la pancia di qualcosa che progressivamente ci svuota e ci sfinisce. I cinque mariti sono il simbolo delle nostre esperienze affettive, o delle soddisfazioni che buttiamo sul lavoro, oppure dello sfogo nei vizi, nel gioco, ecc. Non si tratta di soluzioni, ma di ripetizioni. Sembriamo condannati a ripetere delle situazioni senza senso, inutili. C’è un’uscita a questa condanna?

Gesù è l’acqua che disseta. Possiamo comprendere l’identità di Gesù solamente se abbiamo sete, se siamo consapevoli della nostra sete, del fatto che per vivere abbiamo bisogno di acqua. Possiamo scoprire la profondità e allo stesso tempo, l’unicità della Parola di Gesù, solamente se siamo alla ricerca di qualcosa, di un senso della vita. Le persone sazie non si alzano in piedi per cercare quello che pensano di avere. Chi ha la pancia piena non si mette in cammino.
Durante questo tempo di quaresima dovremmo chiederci: di che cosa abbiamo sete? Che cosa stiamo cercando? Oppure dovemmo chiederci come mai non abbiamo più sete?
Finché toglieremo la sete con qualcosa che non disseta, nessuno si alzerà più per cercare un pozzo.

E se nessuno più cerca il pozzo, la chiesa, chiamata a zelare e custodire il pozzo, potrà vivere la tentazione di modificare il pozzo, trasformarlo in qualcosa di seducente, modificandolo in qualcosa che non è più un pozzo.
Preghiamo perché sappiamo coltivare la sete di Dio nelle persone e, allo stesso tempo, perché coloro che sono addetti a zelare del posso vincano la tentazione di trasformarlo in qualcosa d’altro.





giovedì 9 luglio 2015

E CAMBIO' D'ASPETTO





DOMENICA  II DI QUARESIMA
(Gen 15,5-12.17-18; Sal 27; Fil 3,17-4,1; Lc 9,28-36)

Paolo Cugini

1. Interpretando le letture di oggi a partire dal contesto liturgico nel quale ci troviamo, possiamo affermare che il tempo di quaresima è un momento in cui ci viene offerta la possibilità di uscire fuori ( cfr. Gen 15, 5s), di salire verso l’alto (cfr. Lc 9 28s.). Sono questi, due movimenti che indicano la stessa esigenza: per ascoltare la voce del Signore e cogliere la sua volontà, è necessario portarsi fuori, cercarlo, fare la fatica di salire verso Lui. É vero che in Gesù Dio si è rivelato, manifestato, si è dato a conoscere. Per comprendere, però, la verità di questa rivelazione, è necessario uno sforzo umano, che è la fatica del conoscere. Qualsiasi  esperienza conoscitiva è faticosa, tanto più una conoscenza di tipo spirituale, che non è immediata. La quaresima, allora, in questa prospettiva, è un faticoso cammino di uscita da se stessi, dai propri idoli, dalle proprie idee su Dio e la religione che con il tempo ci siamo fatti e che necessitano di un confronto con Gesù, Il Verbo di Dio fatto carne. La Quaresima é un tempo faticoso di salita, che richiede l’abbandono delle proprie sicurezze, di qualsiasi tipo esse siano, l’abbandono soprattutto di uno stile di vita essenzialmente materiale, basato sulle cose, nella ricerca quotidiana di una realizzazione materiale. La quaresima ci invita ad alzarci dal letto delle nostre comodità, delle nostre abitudini, per metterci alla ricerca di uno stile di vita più autentico, più umano, quello stile di vita che Gesù ha manifestato e che, per essere vero e visibile, deve essere incarnato. Il fatto che Dio conduca Abramo fuori per rivelargli il contenuto dell’alleanza e che Gesù chiami Pietro, Giacomo e Giovanni per salire la montagna e, così, manifestarsi nello splendore della sua divinità, significa che la vita di fede é un continuo cammino di uscita e di salita verso l’alto. La ricerca di Dio, la sete di Dio: mi sembra che sia questo che la liturgia di oggi voglia farci riscoprire. E allora mettiamoci in cammino, accettando la fatica del pellegrino desideroso di salire verso l’alto per scoprire che cosa c'è sopra e al di là della montagna. Senza questo desiderio è difficile realizzare un’autentica esperienza di fede.

2.Mentre pregava il suo volto cambiò di aspetto e la sua veste divenne molto bianca e brillante” (Lc 9, 29).
Che cosa incontriamo sul monte? La rivelazione dell’identità di Gesù, il quale è si uomo come noi, ma è vero Dio. Questa rivelazione di sé, Gesù  non la offre per creare delle distanze ma, al contrario, per indicare la nostra vera identità di figli di Dio e, in questo modo, stabilire un’approssimazione impressionante con Lui. Per questo è necessario compiere la fatica di uscire fuori dalle nostre mentalità, e fare la fatica di salire là dove Dio desidera condurci, perché è troppo grande il mistero e noi finiremmo per non crederci. Dio, inviandoci il suo Figlio Gesù, ci vuole dire che il senso della nostra esistenza è di divinizzare la nostra natura.  Era quello che Pietro diceva in una delle sue lettere: “Ci sono state date le preziose e grandissime promesse affinché voi diventaste partecipi della natura divina” (2 Pt 1,4). Anche Paolo é dello stesso parere quando, in una sua lettera, afferma: “Soffro affinché Cristo sia formato in voi” (Gal, 4,19).  Quella bontà, mansuetudine, quell'amore per i fratelli e le sorelle, quella sete di giustizia che conduceva Gesù ad affrontare  senza paura i potenti ipocriti del tempo, quel desiderio di pace che lo condusse a perdonare i suoi assassini, quella ricerca profonda di Dio Padre che manifestava nelle notti in profonda preghiera, tutto questo deve formarsi in noi. Tutto ciò che leggiamo nel Vangelo di Gesù non serve appena per una conoscenza storica, ma è la rivelazione di ciò che noi dobbiamo diventare. Per questo riceviamo il Suo Spirito nel Battesimo e ci cibiamo del Suo corpo nell'Eucaristia: per divenire come Lui. Gesù deve divenire giorno dopo giorno lo specchio della nostra anima (cfr. 2 Cor 3,18).

3. Come é possibile questo cammino di trasfigurazione della nostra umanità? In che modo Cristo, il suo stile di vita, il suo amore può plasmare la nostra esistenza?
Mentre pregava il suo volto cambiò di aspetto(Lc 9,29). La vita cristiana è una imitazione di Gesù (non solo, ma anche questo). Lo dice anche san Paolo nella seconda lettura di oggi: “Siate miei imitatori” (Fil 3, 17). La nostra umanità si trasforma in quella di Gesù nella preghiera. Il problema a questo punto è: che cos'è la preghiera? Com’era la preghiera di Gesù? Nel Vangelo non incontriamo un trattato sulla preghiera, ma degli episodi che mostrano il modo di pregare di Gesù. Tutte le volte che Gesù pregava, si isolava, cercava dei luoghi deserti. Prima di morire sappiamo che Gesù si isolò nel monte degli ulivi. Altro dato interessante è che Gesù pregava dedicando molte ore soprattutto di notte o all'alba (cfr Mc 1,35; Lc 4,42; Lc 6,12).  Sarebbe interessante prendere l’occasione di questa santa quaresima per rivoluzionare la nostra preghiera, per uscire dai nostri infantilismi spirituali e salire verso una forma di preghiera più adulta, quella di Gesù per l’appunto. Pregare come Gesù pregava è dedicare tempo al Signore e cioè stare con Lui, sentire il desiderio e la gioia di passare del tempo con lui. E non i ritagli di tempo, ma i momenti migliori come la notte o l’alba. Puó sembrare una proposta assurda, ma l’ho già vista fare non solo da monaci e monache, ma anche da uomini e donne, padri e madri di famiglie. Il problema è capire che cosa vogliamo e che cosa per noi è davvero importante. Se durante questa quaresima il Signore ci aiuterà a capire l’importanza della preghiera nella nostra vita personale, familiare e comunitaria per la trasformazione della nostra umanità, allora tireremo su le nostre maniche per fare un pó di ordine nelle nostre esistenze. Non si prega perché non si vuole e non perché non si ha tempo. Non si prega perché non se ne capisce il valore, l’importanza, il significato. Non si prega e non si insegna a pregare, perché il nostro tempo è pieno di altro e questo altro lo abbiamo lasciato entrare noi. Il tempo di quaresima è un tempo di grazia per ridefinire gli obiettivi della nostra vita, per dirci davvero in faccia in che cosa crediamo, al di là delle apparenze che vogliamo a tutti i costi salvare per non dover cambiare.

4. I  discepoli rimasero in silenzio e in quei giorni non dissero a nessuno niente di ció che avevano visto(Lc 9, 36).
Anche questo breve versetto è da prendere sul serio nel nostro cammino spirituale. Apprendere ad interiorizzare, a meditare ciò che il Signore ci sta dicendo senza buttarlo subito fuori, trasformandolo in materiale di discussione. Fare silenzio su ciò che é importante nella vita per uscire dal mare della banalità e superficialità nella quale nuotiamo tutti i giorni. Diventare persone profonde, che hanno una parola differente da dire dalle altre, una parola che viene dal silenzio e che è il frutto della nostra  risposta personale ad un Dio che ci chiama e ci vuole diversi, più uomini, più donne, in una parola: discepoli del Signore e testimoni del suo amore.



TENTAZIONI




PRIMA DI QUARESIMA/C
(Dt 26, 4-10; Sal 91; Rom 10,8-13; Lc 4,1-13)

Paolo Cugini


1. É significativo iniziare la quaresima con il Vangelo che ci mette dinnanzi, con un realismo spaventoso, la nostra condizione umana che è una condizione di debolezza. Che cosa, infatti, significa questa pagina del Vangelo se non il fatto che siamo vulnerabili e cioè, che esiste qualcosa che ci può fare cadere, deviare dal cammino intrapreso? É duro accettare questo dato, soprattutto in un contesto culturale che ci spinge a nascondere la nostra debolezza e mostrare sempre il lato sicuro, forte di  noi stessi. Il Vangelo che abbiamo appena ascoltato prende la nostra maschera, anzi le nostre numerose maschere che con il tempo abbiamo costruito a partire delle situazioni in cui viviamo e le butta per terra. Specchiarci in questo Vangelo significa, allora, scoprire la nostra nudità, chi siamo realmente al di là delle maschere. Accettare di guardarci così come siamo é forse il primo passo affinché questa quaresima possa davvero produrre frutti di conversione nella nostra vita. Avere il coraggio di lasciarci guardare in faccia dal Signore, correndo il rischio di provare un pó di vergogna, di arrossire davanti al santo di Dio, che mette a nudo il nostro peccato: è questo uno dei significati del cammino di quaresima che la Chiesa intende farci percorrere.

2. Che cosa rivela questo testo di tanto forte per la nostra vita? In parte lo abbiamo già sottolineato: ci dice che siamo fragili e che c’è qualcosa che può minacciare la nostra forza, la nostra identità, il nostro cammino. Che cos’è che ci minaccia?
Non di solo pane vive l’uomo” (Lc 4,4).
É un versetto che abbiamo ascoltato tante volte ma, come tanti altri versetti della Bibbia, non finisce mai di stupirci. La prima minaccia che può distruggere la nostra esistenza viene dal nostro modo di considerare i valori quali la famiglia, il lavoro, i figli quei valori cioè ai quali dedichiamo tutta la nostra esistenza. Gesù ci insegna che l’uomo non può vivere solamente di questo e cioè che la famiglia, il lavoro i figli non sono il fine ultimo. Non possiamo identificare la nostra esistenza con qualcosa che non la può abbracciare completamente. Solo Dio è il fine ultimo e il senso del nostro cammino ed è a Lui che dobbiamo abituarci a rivolgere in ogni momento della nostra esistenza, per capire se ciò che stiamo vivendo rientra nei suoi piani. Il rischio è lo sfinimento, lo svuotamento di senso e, di conseguenza, la frustrazione. Quante volte ho incontrato in questi brevi anni di ministero, persone adulte totalmente avvolte dalla tristezza a causa di una decisione presa da un proprio figlio, decisione differente dai propri piani, dal proprio “pane”.
 Riuscire a vedere la nostra vita, con tutto ciò che c’è dentro, alla luce della Parola di Dio, del cammino che il Signore desidera che realizziamo nella comunità: è anche questo il senso della quaresima.

3. “ La Scrittura dice: ‘Adorerai il Signore Dio tuo e solo Lui servirai” (Lc 4,8).
La seconda minaccia alla nostra fede viene dalla tentazione della scorciatoia. Nella nostra vita, infatti, in modi e tempi diversi, si presentano occasioni che in apparenza sembrano fantastiche, proprio al nostro caso, ma che nascondono qualcosa di losco. Ci accorgiamo, infatti, che per accettare la proposta dobbiamo tradire qualcosa che sino ad allora ci sembrava fondamentale, indiscutibile.  Il versetto ci chiede, allora, di dichiarare apertamente, quante volte abbiamo tradito Dio e noi stessi, per qualcosa che non ne valeva la pena, ma che, sul momento, abbiamo ritenuto che potesse risolvere i nostri problemi. Tutte le volte che abbiamo accettato situazioni ambigue siamo venuti meno alla fede nel Signore. Difatti Lui è l’unico, è il Signore della vita e quello che ci chiede è di credere in Lui e quindi di sperare il momento del suo passaggio senza voler affrettare a tutti i costi la soluzione dei problemi. Questo versetto, nel contesto sociale in cui vivo, ne lascia in piedi pochi. La stragrande maggioranza delle persone, infatti, nelle settimane che precedono le elezioni politiche per decidere il sindaco e gli assessori del comune, si vendono per una manciata di soldi o per qualche oggetto di poco valore. E così, per due sodi, vendono la loro possibilità di ribellarsi al sistema corrotto, che si riproduce con la corruzione dei poveri.
Servire solamente al Signore: è la seconda domanda che il Vangelo ci dirige oggi. A quali signori abbiamo servito o stiamo servendo in cambio di sogni illusori?

4.La Scrittura dice: non tenterai il Signore tuo Dio” (Lc 4, 12).
La terza minaccia alla nostra umanità debole è la tentazione di fare da soli e di usare Dio conforme le nostre esigenze. Prendere Dio, la sua Parola, la sua Chiesa e usarla per i propri fini, anzi esigere che risolva i nostri problemi: è questa la terza tentazione che minaccia la nostra esistenza,la nostra fede. Si tratta, cioè di rovesciare il vero rapporto con il Signore. Invece di essere noi ad obbedire alla Parola di Dio, esigiamo da Lui che obbedisca ai nostri capricci. Il bello, anzi il brutto, è che tutte le volte che non siamo esauditi, ci arrabbiamo contro Dio e contro la Chiesa.
Non tentare il Signore Dio nostro, significa non volere portarlo dalla nostra parte a tutti i costi, non volerlo mettere sul nostro comodino a portata di mano per poterlo usare quando vogliamo, per giustificare le nostre idee, le nostre prese di posizioni. Questo vale per tutti ma,in modo speciale, per i tipi radicali, per coloro che credono di avere capito tutto del Vangelo. Ci vuole molta umiltà,molta pazienza, molta abitudine all’ascolto silenzioso: forse è in questo modo che la Parola si rivela mostrandoci il cammino da seguire. Ed è forse in questo modo che capiremo sulla pelle che il Vangelo non è molto comodo e non ci sta molto bene sul nostro comodino: ci fa stare troppo male.

5. La quaresima ci dovrebbe aiutare ad apprendere dalla storia, dalla nostra storia personale, dalle nostre vittorie e dai nostri errori. Ascolteremo, in questo tempo liturgico, ripetuto diverse volte e in differenti circostanze che Israele è un popolo dalla testa dura: cade sempre negli stessi errori. Il tempo di quaresima che è iniziato questa settimana, dovrebbe aiutarci a diventare un pò più attenti, un pò più saggi, capaci di apprendere dalla nostra stessa storia personale, quella storia nella quale Dio sta desiderando di scrivere le sue sante parole. Solo in questo modo potremo apprendere a non cadere nelle tentazioni. Rimanendo con lo sguardo fisso su Gesù, tentando di stare in questa quaresima in silenzioso ascolto della Parola: può darsi che in questo modo avremo qualche possibilità in più di non cadere nelle nostre quotidiane tentazioni di farci i fatti nostri alla faccia di Dio,  del Vangelo e di tutti coloro che sono vittime del nostro egoismo.

Se quiser, durma com um barulho desse!





NON E' BENE CHE L'UOMO SIA SOLO



XXVII/B
(Gen 2,18-24;Sal 127; Eb 2,9-11; Mc 10,2-16)

Paolo Cugini
1.     Beato l’uomo che teme il Signore e cammina nelle sue vie(Sal 127,1).

Temere il Signore significa amarlo in un modo tale, da non mettere in discussione quello che Lui dice,  le sue Parole. Come i bambini, che non mettono assolutamente in discussione le parole del padre e della madre, considerandole al di sopra di qualsiasi parola o legge, così deve essere considerata dal fedele la Parola del Signore. Per questo il Signore ci dice oggi nel Vangelo che: “Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso” (Mc 10,15).
Cerchiamo, allora, di entrare a contatto della Parola che abbiamo appena ascoltato, con l’atteggiamento del bambino che crede a tutto ciò che i genitori gli dicono, perché sanno naturalmente, istintivamente che il padre e la madre non gli diranno mai parole false, ma solamente parole vere, che indicano il cammino della vita.
Che cosa il Signore ci dice d’importante per la nostra vita, per noi oggi? Da quello che abbiamo ascoltato mi sembra che la Parola di Dio ci illumini oggi su tre dati significativi: il valore della persona, della donna, del matrimonio.

2.     Poi il Signore disse: non è bene che l’uomo sia solo” (Gen 2, 18).

Nel testo della Genesi che abbiamo ascoltato nella prima lettura, si percepisce una certa angustia. L’uomo è stato creato da Dio, ma si sente angustiato, coglie in quello che vive una mancanza. Anche lo stesso mondo animale non lo soddisfa. L’uomo non è stato creato per stare da solo. Dio ha creato l’uomo per amore e l’uomo stesso necessita di questo amore per vivere. Che cos’è, allora, l’amore e come si manifesta? L’amore, così come l’ha manifestato Gesù (Cfr. 1Gv 4), è donazione disinteressata di sé a qualcuno. Ciò significa che l’amore è relazione e conduce alla relazione. Niente allora, di quell’uomo solitario, egoistico ed egocentrico, che pensa solo a se stesso e ai propri interessi, l’uomo senza relazioni, che la cultura di oggi ci propina e ce lo fa passare come un modello di vita[1]. Chi si lascia sedurre da questa illusione postmoderna, si troverà, ad un certo punto del cammino, completamente vuoto, svuotato e, per non sentire il dolore di questo vuoto, sarà costretto o a tornare indietro o a riempirlo di materia, di cose. Una delle primissime pagine della Bibbia, ci dice dunque, un dato importante su noi stessi: la nostra vita si realizza nella relazione. Ciò significa l’impegno per uscire dalle parole vuote e materiali di cui le nostre relazioni troppo spesso sono imbastite, per cercare relazioni più profonde e autentiche, che condividono il cammino della vita spirituale. Sarebbe importante, durante questa settimana, fermarsi un po’ per verificare l’autenticità delle relazioni che stiamo costruendo e quanto investiamo in esse.

3.     Allora l’uomo disse: questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa. La si chiamerà donna perché dall’uomo è stata tolta” (Gen 2,23).

Nel progetto della creazione, la donna è il completamento di tutto: è l’ultima realtà ad essere creata. Solamente questo semplice dato biblico, smonta alla radice lo stereotipo culturale che ha fatto della donna qualcosa di materiale e che ha coltivato il maschilismo che serpeggia nelle culture sia occidentali che orientali. Riuscire a guardare al mistero della donna così come la guarda Dio: è questo che ci chiede di compiere la Parola di Dio. Solo l’ascolto attento e meditato della Parola, infatti, può lentamente distruggere gli stereotipi, i filtri culturali che c’impediscono di guardare alla donna per il mistero che essa è, mistero che gli stereotipi culturali c’impediscono di cogliere, perché ce ne mostrano solamente l’apparenza, la superficie. La Parola di Dio c’invita oggi ad avere il coraggio di andare oltre, a cercare la verità della donna, così come l’ha voluta e pensata Dio. Cercare il mistero della donna significa comprendere che, senza di lei, l'umanità non ha senso, è vuota. Lo si vede molto bene in Maria, la Donna che con la sua adesione libera, ha permesso la realizzazione del mistero della salvezza, compiuto nel suo Figlio Gesù.
Cercare la verità della donna, vuole dire anche sforzarsi di tessere relazioni significative e profonde con lei. L’esempio di ciò è Gesù. Molte donne ha incontrato nella sua vita, nel suo ministero. Luca stesso ci dice che al suo seguito non c’erano solamente degli uomini, i discepoli, ma anche delle donne:

 “In seguito egli se ne andava per le città e i villaggi, predicando e annunziando la buona novella del Regno di Dio. C’erano con Lui i Dodici e alcune donne che cerano state guarite da spiriti cattivi e infermità(Lc 8, 1-2).

Nelle relazioni di Gesù con le donne non troviamo mai volgarità, ma sempre lo sforzo di una relazione che pone al centro la persona, il suo progetto di vita, offrendo cammini di liberazione. L’Eucarestia che oggi riceviamo, dovrebbe aiutarci a distruggere nelle nostre menti “l’oggetto donna”, per fare sempre più spazio alla persona delle donne che incontriamo nel nostro cammino.

4.     Chi ripudia sua moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio( Mc 10,11-12).

Leggere questi versetti oggi giorno può sembrare ridicolo. Tutti i giorni le statistiche che appaiono sui giornali, ci sbattono in faccia numeri che rivelano il disastro dei matrimoni. Eppure, se c’è una Parola che nella Bibbia ritorna pari pari sia nell’Antico come nel Nuovo testamento, è proprio la parola sul Matrimonio. Il problema, allora, per noi oggi, è capire il perché del fallimento di tale Parola..
In primo luogo possiamo affermare che il Matrimonio è un mistero ( sacramentum) che contiene un progetto di vita. Gesù, infatti, nel dialogo con i farisei riprende il versetto del libro del Genesi che dice:
 “Dio li creò maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una sola carne. Sicché non sono più due, ma una sola carne”( Mc 10, 6-8).

E’ questo il progetto che Dio ha pensato per il matrimonio: essere una sola carne, diventare una sola cosa, un solo pensiero, un solo modo di essere, di pensare. E’ chiaro che ciò non avviene un giorno per l’altro, ma è frutto di un cammino, nel quale c’è da mettere in conto le difficoltà, la scoperta dei difetti e dei limiti del partner, la condivisione delle gioie e dei dolori, lo sforzo di camminare nella stessa direzione, accettando i tempi e i modi diversi dell’altro. Per la realizzazione di questo progetto, che costituisce un’assoluta novità nel piano della creazione – per questo Gesù sottolinea che “non sono più due ma una sola carne” – è necessario che si realizzi il primo consiglio che incontriamo nella scrittura a questo proposito e cioè lasciare padre e madre. Che cosa significa ciò? Credo che significhi il reale e concreto prendere le distanze da tutto ciò che ha caratterizzato la vita della giovinezza, compresi i propri genitori, non per abbandonarli, ma per impostare su basi nuove il rapporto di parentela. In altre parole, per puntare con decisione nella stessa direzione, l’uomo e la donna che si uniscono in matrimonio, hanno bisogno di spazio, di concentrazione, di avere il terreno libero da tutta quella realtà – genitori, parenti, amici, amiche – che occupava lo spazio e il tempo di prima. Se ci pensiamo bene, se siamo un po’ attenti su quello  che accade  attorno a noi, allora abbiamo senza dubbio già visto matrimoni fallire per causa di una mancata presa di distanza dalle relazioni parentali o amicali.
Il Matrimonio è dunque uno splendido progetto di vita, che vede coinvolto l’amore di due persone. Per realizzarlo è necessario conoscersi, dialogare sul progetto di vita, confrontarsi sulla Parola di Dio, verificare il cammino percorso con qualcuno che già lo sta portando avanti da tempo.
In questa prospettiva, si comprende bene come il Matrimonio non sia assolutamente quella cosa strana che si vede dalle nostre parti, in cui tutto è concentrato sul giorno delle nozze, ma dove di progetto e di spirituale in questo giorno si vede ben poco. Ciò che si vede invece, in queste giornate di nozze, è la vittoria della materia, la vittoria della stupidità sulla ragione, la vittoria dell’egoismo personale sull’amore. E allora, proprio nel giorno che dovrebbe essere il più importante della vita, si assiste alla gara a chi la fa più grossa, chi fa la stupidata più grossa, chi spende più soldi, chi sfoggia i vestiti più costosi. In questo contesto, in cui si celebra la vittoria della stupidità umana, chi fa la figura del poverino, sono quegli sposi che cercano di dare un significato spirituale alla loro unione, essenzializzando la giornata di nozze, mostrando che le energie spirituali non devono essere esaurite nel giorno delle nozze, ma distribuite durante tutta la vita.

5. Chiediamo al Signore, in questa Eucaristia, il dono dello Spirito Santo, affinché ci aiuti a valorizzare i doni che ci offre: gli amici, la donna, il Matrimonio.




[1] Chi volesse approfondire il tema, potrebbe leggere Zygmunt Bauman, L’amore liquido. Sulla fragilità dei legami affettivi, Laterza, Bari 2004, soprattutto il capitolo 2: pp. 53-106.