giovedì 9 luglio 2015

NON E' BENE CHE L'UOMO SIA SOLO



XXVII/B
(Gen 2,18-24;Sal 127; Eb 2,9-11; Mc 10,2-16)

Paolo Cugini
1.     Beato l’uomo che teme il Signore e cammina nelle sue vie(Sal 127,1).

Temere il Signore significa amarlo in un modo tale, da non mettere in discussione quello che Lui dice,  le sue Parole. Come i bambini, che non mettono assolutamente in discussione le parole del padre e della madre, considerandole al di sopra di qualsiasi parola o legge, così deve essere considerata dal fedele la Parola del Signore. Per questo il Signore ci dice oggi nel Vangelo che: “Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso” (Mc 10,15).
Cerchiamo, allora, di entrare a contatto della Parola che abbiamo appena ascoltato, con l’atteggiamento del bambino che crede a tutto ciò che i genitori gli dicono, perché sanno naturalmente, istintivamente che il padre e la madre non gli diranno mai parole false, ma solamente parole vere, che indicano il cammino della vita.
Che cosa il Signore ci dice d’importante per la nostra vita, per noi oggi? Da quello che abbiamo ascoltato mi sembra che la Parola di Dio ci illumini oggi su tre dati significativi: il valore della persona, della donna, del matrimonio.

2.     Poi il Signore disse: non è bene che l’uomo sia solo” (Gen 2, 18).

Nel testo della Genesi che abbiamo ascoltato nella prima lettura, si percepisce una certa angustia. L’uomo è stato creato da Dio, ma si sente angustiato, coglie in quello che vive una mancanza. Anche lo stesso mondo animale non lo soddisfa. L’uomo non è stato creato per stare da solo. Dio ha creato l’uomo per amore e l’uomo stesso necessita di questo amore per vivere. Che cos’è, allora, l’amore e come si manifesta? L’amore, così come l’ha manifestato Gesù (Cfr. 1Gv 4), è donazione disinteressata di sé a qualcuno. Ciò significa che l’amore è relazione e conduce alla relazione. Niente allora, di quell’uomo solitario, egoistico ed egocentrico, che pensa solo a se stesso e ai propri interessi, l’uomo senza relazioni, che la cultura di oggi ci propina e ce lo fa passare come un modello di vita[1]. Chi si lascia sedurre da questa illusione postmoderna, si troverà, ad un certo punto del cammino, completamente vuoto, svuotato e, per non sentire il dolore di questo vuoto, sarà costretto o a tornare indietro o a riempirlo di materia, di cose. Una delle primissime pagine della Bibbia, ci dice dunque, un dato importante su noi stessi: la nostra vita si realizza nella relazione. Ciò significa l’impegno per uscire dalle parole vuote e materiali di cui le nostre relazioni troppo spesso sono imbastite, per cercare relazioni più profonde e autentiche, che condividono il cammino della vita spirituale. Sarebbe importante, durante questa settimana, fermarsi un po’ per verificare l’autenticità delle relazioni che stiamo costruendo e quanto investiamo in esse.

3.     Allora l’uomo disse: questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa. La si chiamerà donna perché dall’uomo è stata tolta” (Gen 2,23).

Nel progetto della creazione, la donna è il completamento di tutto: è l’ultima realtà ad essere creata. Solamente questo semplice dato biblico, smonta alla radice lo stereotipo culturale che ha fatto della donna qualcosa di materiale e che ha coltivato il maschilismo che serpeggia nelle culture sia occidentali che orientali. Riuscire a guardare al mistero della donna così come la guarda Dio: è questo che ci chiede di compiere la Parola di Dio. Solo l’ascolto attento e meditato della Parola, infatti, può lentamente distruggere gli stereotipi, i filtri culturali che c’impediscono di guardare alla donna per il mistero che essa è, mistero che gli stereotipi culturali c’impediscono di cogliere, perché ce ne mostrano solamente l’apparenza, la superficie. La Parola di Dio c’invita oggi ad avere il coraggio di andare oltre, a cercare la verità della donna, così come l’ha voluta e pensata Dio. Cercare il mistero della donna significa comprendere che, senza di lei, l'umanità non ha senso, è vuota. Lo si vede molto bene in Maria, la Donna che con la sua adesione libera, ha permesso la realizzazione del mistero della salvezza, compiuto nel suo Figlio Gesù.
Cercare la verità della donna, vuole dire anche sforzarsi di tessere relazioni significative e profonde con lei. L’esempio di ciò è Gesù. Molte donne ha incontrato nella sua vita, nel suo ministero. Luca stesso ci dice che al suo seguito non c’erano solamente degli uomini, i discepoli, ma anche delle donne:

 “In seguito egli se ne andava per le città e i villaggi, predicando e annunziando la buona novella del Regno di Dio. C’erano con Lui i Dodici e alcune donne che cerano state guarite da spiriti cattivi e infermità(Lc 8, 1-2).

Nelle relazioni di Gesù con le donne non troviamo mai volgarità, ma sempre lo sforzo di una relazione che pone al centro la persona, il suo progetto di vita, offrendo cammini di liberazione. L’Eucarestia che oggi riceviamo, dovrebbe aiutarci a distruggere nelle nostre menti “l’oggetto donna”, per fare sempre più spazio alla persona delle donne che incontriamo nel nostro cammino.

4.     Chi ripudia sua moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio( Mc 10,11-12).

Leggere questi versetti oggi giorno può sembrare ridicolo. Tutti i giorni le statistiche che appaiono sui giornali, ci sbattono in faccia numeri che rivelano il disastro dei matrimoni. Eppure, se c’è una Parola che nella Bibbia ritorna pari pari sia nell’Antico come nel Nuovo testamento, è proprio la parola sul Matrimonio. Il problema, allora, per noi oggi, è capire il perché del fallimento di tale Parola..
In primo luogo possiamo affermare che il Matrimonio è un mistero ( sacramentum) che contiene un progetto di vita. Gesù, infatti, nel dialogo con i farisei riprende il versetto del libro del Genesi che dice:
 “Dio li creò maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una sola carne. Sicché non sono più due, ma una sola carne”( Mc 10, 6-8).

E’ questo il progetto che Dio ha pensato per il matrimonio: essere una sola carne, diventare una sola cosa, un solo pensiero, un solo modo di essere, di pensare. E’ chiaro che ciò non avviene un giorno per l’altro, ma è frutto di un cammino, nel quale c’è da mettere in conto le difficoltà, la scoperta dei difetti e dei limiti del partner, la condivisione delle gioie e dei dolori, lo sforzo di camminare nella stessa direzione, accettando i tempi e i modi diversi dell’altro. Per la realizzazione di questo progetto, che costituisce un’assoluta novità nel piano della creazione – per questo Gesù sottolinea che “non sono più due ma una sola carne” – è necessario che si realizzi il primo consiglio che incontriamo nella scrittura a questo proposito e cioè lasciare padre e madre. Che cosa significa ciò? Credo che significhi il reale e concreto prendere le distanze da tutto ciò che ha caratterizzato la vita della giovinezza, compresi i propri genitori, non per abbandonarli, ma per impostare su basi nuove il rapporto di parentela. In altre parole, per puntare con decisione nella stessa direzione, l’uomo e la donna che si uniscono in matrimonio, hanno bisogno di spazio, di concentrazione, di avere il terreno libero da tutta quella realtà – genitori, parenti, amici, amiche – che occupava lo spazio e il tempo di prima. Se ci pensiamo bene, se siamo un po’ attenti su quello  che accade  attorno a noi, allora abbiamo senza dubbio già visto matrimoni fallire per causa di una mancata presa di distanza dalle relazioni parentali o amicali.
Il Matrimonio è dunque uno splendido progetto di vita, che vede coinvolto l’amore di due persone. Per realizzarlo è necessario conoscersi, dialogare sul progetto di vita, confrontarsi sulla Parola di Dio, verificare il cammino percorso con qualcuno che già lo sta portando avanti da tempo.
In questa prospettiva, si comprende bene come il Matrimonio non sia assolutamente quella cosa strana che si vede dalle nostre parti, in cui tutto è concentrato sul giorno delle nozze, ma dove di progetto e di spirituale in questo giorno si vede ben poco. Ciò che si vede invece, in queste giornate di nozze, è la vittoria della materia, la vittoria della stupidità sulla ragione, la vittoria dell’egoismo personale sull’amore. E allora, proprio nel giorno che dovrebbe essere il più importante della vita, si assiste alla gara a chi la fa più grossa, chi fa la stupidata più grossa, chi spende più soldi, chi sfoggia i vestiti più costosi. In questo contesto, in cui si celebra la vittoria della stupidità umana, chi fa la figura del poverino, sono quegli sposi che cercano di dare un significato spirituale alla loro unione, essenzializzando la giornata di nozze, mostrando che le energie spirituali non devono essere esaurite nel giorno delle nozze, ma distribuite durante tutta la vita.

5. Chiediamo al Signore, in questa Eucaristia, il dono dello Spirito Santo, affinché ci aiuti a valorizzare i doni che ci offre: gli amici, la donna, il Matrimonio.




[1] Chi volesse approfondire il tema, potrebbe leggere Zygmunt Bauman, L’amore liquido. Sulla fragilità dei legami affettivi, Laterza, Bari 2004, soprattutto il capitolo 2: pp. 53-106.

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