mercoledì 8 novembre 2023

OMELIA DOMENICA 12 NOVEMBRE 2023

 



XXXII DOMENICA TEMPO COMUNE

Sap 6,12-16; Sal 62; 1 Ts 4,13-18; Mt 25,1-13

 

Paolo Cugini

 

Ci stiamo avvicinando alla fine dell’anno liturgico e, come di consueto, la liturgia della Parola ci propone letture che ci possano aiutare a verificare il nostro cammino di fede personale e comunitario. Questo è un aspetto che merita di essere sottolineato. Siamo, infatti, il popolo di Dio in cammino e, proprio perché stiamo camminando su un percorso nuovo, che è quello presentato nel Vangelo, è possibile correggere gli errori fatti, misurare meglio le forse, individuare i punti sui quali possiamo lavorare, per rendere il Cammino più conforme alla proposta di Gesù. Per questo motivo, il tempo di verifica che ci viene offerto è di fondamentale importanza e va preso, dunque, sul serio. Il rischio è quello di camminare senza fermarsi e perdersi a causa di quella mancanza di umiltà che ci fa credere che possiamo andare da soli a testa bassa, senza mai fermarci. Ascoltiamo, allora, i consigli delle letture di oggi.

Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. C’è un primo dato generale nella parabola che oggi Gesù racconta, che orienta tutto il nostro percorso cristiano. Ci viene detto, infatti, che il cammino che stiamo compiendo è caratterizzato dalla gioia, è come una festa di nozze. Del resto, già i profeti, come il profeta Osea, utilizzavano l’immagine del matrimonio per simbolizzare il rapporto tra Dio- lo sposo – e la sposa, vale a dire il popolo d’Israele. Questa immagine ci ricorda che siamo chiamati interiormente ad una relazione di grande intensità, di appartenenza, che rimanda anche a delle responsabilità. Prima di tutto, però, c’è l’aspetto della gioia che segna una relazione sponsale. In cammino, dunque, con i fratelli e sorelle della comunità con un atteggiamento segnato dalla gioia, perché segnati dalla percezione di aver trovato il massimo che avremmo potuto sognare.

Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. È questo uno dei passaggi che ha visto un grande numero d’interpretazioni. Nella parabola che Gesù racconta ai suoi discepoli e alle sue discepole, le lampade e l’olio sono due elementi centrali per l’interpretazione dell’intera narrazione. Che cosa intende indicare Gesù con la lampada e con l’olio? Già ho detto poco sopra che tante sono state le interpretazioni: provo ad indicarne uno, quella che mi sembra la più coerente. Per una giusta interpretazione occorre tener presente che la lampada è una realtà che tutte le dieci vergini possiedono, mentre l’olio no. Inoltre, l’olio non solo non tutti lo possiedono, ma chi ce l’ha non lo può nemmeno imprestare. Di che cosa si tratta? Probabilmente la lampada fa riferimento all’ascolto del Vangelo, della proposta di Gesù, che tutti e tutte possono ascoltare. A questo livello si può inserire anche la dottrina della Chiesa, maturata durante i secoli e che è alla merce di tutti e tutte. L’olio, invece, ci dice la parabola, che non tutti ce l’hanno. L’interpretazione deve tener presente di ciò che abbiamo indicato come lampada, che è il Vangelo. Se il Vangelo rimane solo nella fase di ascolto cade nel vuoto della nostra vita. La lampada del Vangelo diventa luce che illumina i passi del cammino per tutti coloro che lo mettono in pratica. Ecco l’olio! Sono le buone opere suscitate dal Vangelo, che fanno riferimento ad una risposta personale. Per questo motivo, le cinque vergini sagge non possono prestarlo alle cinque stolte. C’è una saggezza indicata dal Vangelo che non fa riferimento allo studio, all’apprendimento di nozioni, ma all’intelligenza che ci spinge a vivere quello che ascoltiamo dalla Parola. È saggio, dunque, chi si sforza di vivere quello che ascolta. Non a caso abbiamo ascoltato nella prima lettura un passaggio del libro della Sapienza che ci ricorda che: La sapienza è splendida e non sfiorisce, facilmente si lascia vedere da coloro che la amano e si lascia trovare da quelli che la cercano (Sap 6,12). Trovano la sapienza coloro che la cercano vivendo quello che ascoltano.

E la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”. Ma egli rispose: “In verità̀ io vi dico: non vi conosco”. In questo versetto è narrato il dramma di coloro che credono di conoscere il Signore per il semplice fatto di aver ascoltato la sua Parola, di conoscere dei versetti. C’è una conoscenza del Signore che, in realtà, ci allontana da Lui. È quel tipo di conoscenza formale, sterile che non si traduce mai in azione. È la conoscenza di tipo dottrinario, fatta di nozioni mai realmente sperimentate nella propria vita. Del resto, ce lo ricorda anche il Concilio Vaticano II che, nel mistero della Parola di Dio, i fatti e le parole sono intimamente connesse, nel senso che è una Parola che rivela il suo contenuto specifico, la sua verità solamente quando è vissuta e messa in pratica. È proprio questa la sapienza che viene dall’alto e che troviamo rivelata ogni volta che la viviamo.

Ha sete di te l’anima mia, desidera te la mia carne in terra arida, assetata, senz’acqua (Sal 62). C’è un desiderio profondo nella nostra anima, che anela verso l’alto, perché ogni persona percepisce che la nostra vita non si riduce alla mera materia: c’è qualcosa di più. È il Vangelo che ci dona l’indicazione di un cammino che può realizzare pienamente la nostra vita ed è il Cammino che percorrono tutti coloro che vivono e mettono in pratica ciò che ascoltano nel Vangelo. 

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