XXXII
DOMENICA TEMPO COMUNE
Sap
6,12-16; Sal 62; 1 Ts 4,13-18; Mt 25,1-13
Paolo
Cugini
Ci
stiamo avvicinando alla fine dell’anno liturgico e, come di consueto, la
liturgia della Parola ci propone letture che ci possano aiutare a verificare il
nostro cammino di fede personale e comunitario. Questo è un aspetto che merita
di essere sottolineato. Siamo, infatti, il popolo di Dio in cammino e, proprio perché
stiamo camminando su un percorso nuovo, che è quello presentato nel Vangelo, è
possibile correggere gli errori fatti, misurare meglio le forse, individuare i
punti sui quali possiamo lavorare, per rendere il Cammino più conforme alla
proposta di Gesù. Per questo motivo, il tempo di verifica che ci viene offerto
è di fondamentale importanza e va preso, dunque, sul serio. Il rischio è quello
di camminare senza fermarsi e perdersi a causa di quella mancanza di umiltà che
ci fa credere che possiamo andare da soli a testa bassa, senza mai fermarci.
Ascoltiamo, allora, i consigli delle letture di oggi.
Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che
presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. C’è un primo dato generale nella parabola che oggi
Gesù racconta, che orienta tutto il nostro percorso cristiano. Ci viene detto,
infatti, che il cammino che stiamo compiendo è caratterizzato dalla gioia, è
come una festa di nozze. Del resto, già i profeti, come il profeta Osea,
utilizzavano l’immagine del matrimonio per simbolizzare il rapporto tra Dio- lo
sposo – e la sposa, vale a dire il popolo d’Israele. Questa immagine ci ricorda
che siamo chiamati interiormente ad una relazione di grande intensità, di appartenenza,
che rimanda anche a delle responsabilità. Prima di tutto, però, c’è l’aspetto della
gioia che segna una relazione sponsale. In cammino, dunque, con i fratelli e
sorelle della comunità con un atteggiamento segnato dalla gioia, perché segnati
dalla percezione di aver trovato il massimo che avremmo potuto sognare.
Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte
presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme
alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. È questo uno dei passaggi che ha visto un grande
numero d’interpretazioni. Nella parabola che Gesù racconta ai suoi discepoli e
alle sue discepole, le lampade e l’olio sono due elementi centrali per l’interpretazione
dell’intera narrazione. Che cosa intende indicare Gesù con la lampada e con l’olio?
Già ho detto poco sopra che tante sono state le interpretazioni: provo ad
indicarne uno, quella che mi sembra la più coerente. Per una giusta
interpretazione occorre tener presente che la lampada è una realtà che tutte le
dieci vergini possiedono, mentre l’olio no. Inoltre, l’olio non solo non tutti
lo possiedono, ma chi ce l’ha non lo può nemmeno imprestare. Di che cosa si
tratta? Probabilmente la lampada fa riferimento all’ascolto del Vangelo, della
proposta di Gesù, che tutti e tutte possono ascoltare. A questo livello si può
inserire anche la dottrina della Chiesa, maturata durante i secoli e che è alla
merce di tutti e tutte. L’olio, invece, ci dice la parabola, che non tutti ce l’hanno.
L’interpretazione deve tener presente di ciò che abbiamo indicato come lampada,
che è il Vangelo. Se il Vangelo rimane solo nella fase di ascolto cade nel
vuoto della nostra vita. La lampada del Vangelo diventa luce che illumina i
passi del cammino per tutti coloro che lo mettono in pratica. Ecco l’olio! Sono
le buone opere suscitate dal Vangelo, che fanno riferimento ad una risposta
personale. Per questo motivo, le cinque vergini sagge non possono prestarlo
alle cinque stolte. C’è una saggezza indicata dal Vangelo che non fa
riferimento allo studio, all’apprendimento di nozioni, ma all’intelligenza che
ci spinge a vivere quello che ascoltiamo dalla Parola. È saggio, dunque, chi si
sforza di vivere quello che ascolta. Non a caso abbiamo ascoltato nella prima
lettura un passaggio del libro della Sapienza che ci ricorda che: La
sapienza è splendida e non sfiorisce, facilmente si lascia vedere da coloro che
la amano e si lascia trovare da quelli che la cercano (Sap 6,12). Trovano
la sapienza coloro che la cercano vivendo quello che ascoltano.
E la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le
altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”. Ma egli
rispose: “In verità̀ io vi dico: non vi conosco”. In questo versetto è narrato il dramma di coloro che
credono di conoscere il Signore per il semplice fatto di aver ascoltato la sua
Parola, di conoscere dei versetti. C’è una conoscenza del Signore che, in
realtà, ci allontana da Lui. È quel tipo di conoscenza formale, sterile che non
si traduce mai in azione. È la conoscenza di tipo dottrinario, fatta di nozioni
mai realmente sperimentate nella propria vita. Del resto, ce lo ricorda anche
il Concilio Vaticano II che, nel mistero della Parola di Dio, i fatti e le
parole sono intimamente connesse, nel senso che è una Parola che rivela il suo
contenuto specifico, la sua verità solamente quando è vissuta e messa in
pratica. È proprio questa la sapienza che viene dall’alto e che troviamo rivelata
ogni volta che la viviamo.
Ha sete di te l’anima mia, desidera te la mia carne in
terra arida, assetata, senz’acqua (Sal
62). C’è un desiderio profondo nella nostra anima, che anela verso l’alto, perché
ogni persona percepisce che la nostra vita non si riduce alla mera materia: c’è
qualcosa di più. È il Vangelo che ci dona l’indicazione di un cammino che può
realizzare pienamente la nostra vita ed è il Cammino che percorrono tutti
coloro che vivono e mettono in pratica ciò che ascoltano nel Vangelo.
Nessun commento:
Posta un commento