venerdì 29 ottobre 2021

IL COMANDAMENTO PIU' GRANDE

 



DOMENICA XXXI/B

(Mc 12, 28b-34)

Paolo Cugini

 

Stiamo lentamente giungendo al termine dell’anno liturgico e, di conseguenza, anche della lettura del Vangelo di Marco, che ci sta accompagnando durante l’anno. Domenica scorsa abbiamo letto gli ultimi versetti del capitolo 10, e oggi la liturgia ci propone un brano che si trova a metà del capitolo 12. Questo brano, per essere compreso in profondità, va contestualizzato, leggendolo appunto nel contesto del Vangelo che stiamo leggendo. All’inizio del capitolo 11 Gesù entra a Gerusalemme e, dopo l’episodio della cacciata dal tempio dei venditori, iniziano una serie pesante di polemiche con i capi religiosi del popolo d’Israele, con l’unico obiettivo di mettere in cattiva luce Gesù dinanzi al popolo. Ci provano prima i capi dei sacerdoti, poi i farisei, gli anziani, ma tutti ottengono l’effetto contrario. È in questo quadro polemico che va letto il brano di oggi, dove troviamo l’ennesimo tentativo di mettere in difficoltà Gesù.

In quel tempo, si avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?».

Dopo averci provato in tanti modi a mettere in difficoltà Gesù, ora i capi religiosi del popolo mandano avanti il teologo, lo scriba esperto della Parola di Dio. La domanda che pone a Gesù è chiaramente un trabocchetto, perché il primo di tutti i comandamenti per un ebreo osservante è il sabato, considerato il compimento della legge a tal punto che, chi lo trasgredisce, è reo di morte. L’osservanza del sabato equivale all’osservanza di tutta la legge ed è il il comandamento che anche Dio osserva: ecco perché è così importante e centrale nella mentalità ebraica. Ed è proprio il sabato il problema centrale della diatriba tra i farisei e Gesù, scandalizzati a più riprese dal modo libero di viere questo precetto da parte di Gesù, incuranti se nel giorno di sabato Gesù curava delle persone. Questo è, allora, il punto del problema: Dio si manifesta nell’osservanza cieca dei comandamenti o nell’attenzione alle persone?

Gesù rispose: «Il primo è: "Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l'unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza". Il secondo è questo: "Amerai il tuo prossimo come te stesso". Non c'è altro comandamento più grande di questi».

La risposta di Gesù è geniale, perché non cita nessuno dei dieci comandamenti, come invece si aspettava lo scriba, ma conduce l’interlocutore all’origine di tutto, al principio fondamentale della spiritualità ebraica che è lo shemà Israel, la preghiera del libro del Deuteronomio (Dt 6,4) che ogni ebreo recita ogni giorno alla mattina e alla sera e il cui testo è appeso agli stipiti delle porte. Lo shemà Israel invita ad una relazione con Dio non formale, non basata sui riti e sacrifici ed esterni, ma dev’essere tale da coinvolgere tutta la persona. La verifica dell’amore dell’uomo e nella donna a Dio, la verità di questo amore totalizzante e personale secondo Gesù sta nel modo in cui ci relazioniamo con il prossimo, perché l’uomo e la donna sono creati ad immagine di Dio. Gesù, dunque, compie un’operazione dci sintesi letterari unendo un baro del libro del Deuteronomio, con uno del Levitico (Lv 19,18). Ciò mostra il lavoro d’interpretazione di Gesù, che non prende la Parola alla lettera, ma ne coglie lo spirito. Non a caso nel Vangelo di Giovanni, nel contesto dell’ultima cena Gesù dice: “vi lascio un comandamento nuovo, che vi amiate gli uni gli altri” (Gv 13,34).

Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all'infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l'intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici». Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.

Finalmente anche lo scriba riconosce l’autorità di Gesù chiamandolo Maestro e manifestando l’importanza del suo insegnamento. Perché Gesù afferma: non sei lontano dal Regno di Dio e non gli dice che è vicino? Perché per entrare nel Regno di Dio occorre la conversione, che comporta condivisione,  la disponibilità al servizio umile nei confronti dei fratelli e delle sorelle, proprio come aveva mostrato Gesù durante la sua vita, simbolizzato dal gesto della lavanda dei piedi fatta ai discepoli.

 

 

mercoledì 20 ottobre 2021

GETTARE VIA IL MANTELLO

 



DOMENICA XXX/B

(Mc 10, 46-52)

Paolo Cugini

 

Nel Vangelo della scorsa settimana l’Evangelista Marco poneva come protagonisti della narrazione due discepoli, Giacomi e Giovanni, chiamati i figli del tuono per il loro impeto ed esuberanza, che manifestano la loro sordità nei confronti della Parola di Gesù. Infatti, la richiesta che loro avanzano di sedere alla sua destra e alla sua sinistra, rivela l’incomprensione del contenuto della proposta di Gesù. Per loro vale il detto: hanno orecchi, ma non odono. Nel Vangelo proposto in questa domenica continua la presentazione delle difficoltà che i discepoli hanno di comprendere appieno il messaggio del Maestro, difficoltà che si manifesta nell’incapacità di prendere le distanze dal proprio modo di pensare e di proiettare su Gesù delle aspettative che non gli appartengono. Ma veniamo al racconto.

Gesù partiva da Gerico insieme ai suoi discepoli e a molta folla. È indicativa l’espressione di Gesù che parte da Gerico, perché proprio a Gerico era iniziata per mano di Giosuè la conquista della terra promessa. È come se Marco volesse sottolineare che quella terra che rappresentava il sogno di libertà nei confronti del dominio egiziano, sia ora divenuta una terra di schiavitù dalla quale è meglio partire, schiavitù da quelle leggi che invece di liberare l’uomo, lo hanno imprigionato.

il figlio di Timeo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!».

Bartimeo è un nome composto da una parola aramaica – bar – che significa: figlio, e timaios, una parola di origine greca che significa: onorabile. Sembra, dunque, che si tratti di una ripetizione dello stesso nome, forse per indicare i due discepoli protagonisti della precedente narrazione, vale a dire Giacomo e Giovanni. Nome simbolico, dunque, che indica il discepolo che è acciecato dalle sue idee al punto da non riuscire a “vedere” la novità della proposta di Gesù. Infatti, il cieco chiama Gesù di: figlio di Davide, quell’appellativo che proviene da quella tradizione profetica che identifica il messia successore di Davide, come colui che libererà Israele dall’oppressore con forza e violenza. Eppure Gesù, sin dall’inizio nelle sue parole e nelle sue scelte si è manifestato tutto fuorché un violento. Gesù è venuto ad annunciare il Regno di Dio, una possibilità di vita fuori dagli schemi del sopruso e della violenza, ma dominato dall’uguaglianza e dall’amore. Chiamare Gesù con l’appellativo figlio di Davide, significa non aver compreso il suo messaggio, non aver colto la novità della sua proposta. È questa la grande cecità di Bartimeo, che simbolizza la cecità dei discepoli, di coloro che travisano e non comprendono il discorso di Gesù, perché accecati dalle proprie ideologie.

Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Alzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!».

È il cieco che si muove verso Gesù, un movimento che indica il cammino di conversione, di cambiamento di mentalità. C’è, in primo luogo la voce di Gesù che lo chiama. È l’ascolto della parola del Signore la sola che ci può scuotere dalle nostre sicurezze, che non ci permettono di vivere in pienezza, in modo autentico. Poi è la comunità che invita il cieco ad alzarsi. C’è la sottolineatura del ruolo della comunità, chiamata ad aiutare le persone nel cammino di comprensione del suo messaggio. In ogni modo, né la Parola del Signore, né la comunità possono produrre alcun tipo di cambiamento se non c’è il coinvolgimento personale della persona interessata. Prima di Balzare in piedi il cieco getta via il suo mantello, chiaro simbolo di quelle ideologie che sino ad ora non gli hanno permesso di “vedere” il Signore, di percepire la bontà della sua proposta. La domanda di Gesù dice della libertà necessaria nel cammino di fede, che è una proposta e non un’imposizione.

Gesù gli disse: «Va', la tua fede ti ha salvato».

Ha ragione san Paolo quando afferma nella lettera ai Romani, che è la fede che salva l’uomo e la donna da una vita inautentica. Che cos’è la fede? Nel caso in questione è il cammino compiuto dal cieco, cammino che va dall’ascolto della Parola, all’aiuto della comunità e, soprattutto, dal suo gesto di gettare il mantello per poi alzarsi e andare verso Gesù. La fede è il coraggio di gettare via ciò che c’impedisce di metterci in piedi, di vedere. Il mantello è il simbolo di quella cappa fatta di tradizioni umane che non permettono di cogliere la bellezza del Vangelo, Gettare via il mantello: è questo che ci chiede oggi il Vangelo.

 

martedì 19 ottobre 2021

SIATE PRONTI!

       



Paolo Cugini

Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese (Lc 12,35). Essere pronti, orientati a Te, concentrati sulla tua proposta, attenti sulla Tua Parola. Il contrario di essere pronti è essere distratti, non concentrati, in altre parole, non attenti su un progetto di vita. Il rischio, in queste situazioni esistenziali, consiste nel lasciarsi andare, lasciarsi portare via delle situazioni, per cui non sono più io che domino la scena della mia vita, ma sono dominato. Si è pronti quando le scelte sono orientate da qualcosa che ha un fondamento, una coerenza, degli obiettivi che aiutano a non disperdere le forze. Le lampade accese: si cammina nella luce e ciò comporta eliminare i sentieri scuri, che diventano insicuri e mettono a rischio il cammino.

Le veste strette ai fianchi: per camminare rapidi e non inciampare. Siate pronti: dipende da me. Non posso permettermi il lusso di rimandare l’attenzione, di posticipare a data imprecisata il tempo delle scelte necessarie per sistemare la mia vita. Il momento è adesso, oggi. Occorre, allora, sapere dire grazie per tutto quello che mi viene donato, per tutto ciò che la vita mi sta offrendo. Aiutami, Signore, a vederlo, per gustare quello che mi doni, per viverlo fino in fondo a pieni polmoni. È questo il rischio di una vita distratta, disattenta, con il pensiero sempre sulle nuvole, immerso nei sogni che diventano illusioni: rischio di non accorgersi di ciò che viene donato, della bellezza di vita, di possibilità che passa sotto il naso, della quantità di doni che vengono offerti.

Come rimanere attento, concentrato? La preghiera, la meditazione, il silenzio, la riflessione: sono questi gli strumenti quotidiani per una vita attenta, che punta sempre all’obiettivo e non disperde energie.                                       

 

giovedì 14 ottobre 2021

TRA VOI NON E' COSI'

 



DOMENICA XXIX/B

(Mc 10,35-45)

Paolo Cugini

 

La bellezza del Vangelo sta nella proposta di vita differente da quelle che incontriamo nella vita quotidiana. Una proposta dalla semplicità sconvolgente, che ci riporta in modo immediato e dirompente all’essenza della vita, a ciò che veramente vale e su cui basare le nostre scelte. Il Vangelo ci costringe a pensare, ad entrare in noi stessi, a fare il punto della situazione e, di conseguenza, ad operare quelle scelte necessarie che ci permettono di assaporare il senso autentico della vita. Gesù, in fin dei conti, ci è venuto a mostrare il cammino di quella vita sognata da Dio quando ci ha creati a sua immagine e somiglianza. Ritrovare il cammino: è questo il senso della proposta cristiana, che ha nel Vangelo la lampada, il punto di riferimento. Tutto ciò è ben visibile nel vangelo di oggi, che ora proviamo ad approfondire.

Si avvicinarono… Li chiamò a sé”.

Sono espressioni che troviamo nel Vangelo di oggi che rivelano la condizione esistenziale dei discepoli. Pur avendo ascoltato e visto all’opera il Maestro, pur vivendo con Lui, sono distanti, non tanto fisicamente, ma come pensiero, come stile di vita. Non basta leggere la parla di Gesù, occorre meditarla, assimilarla, tradurla in scelte concrete, affinché il Vangelo modifichi la nostra mentalità, il nostro modo di pensare. Il discepolo, la discepola, non è colui, colei che abita fisicamente uno spazio, frequenta una parrocchia, una comunità, ma è colei, colui, che pensa e vive in un modo nuovo rispetto al contesto in cui si trova. Di che diversità si tratta?

«Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra».
La richiesta di Giacomo e Giovanni è la manifestazione di quanto detto sopra. Stanno, infatti, seguendo il Signore, ma pensano con la stessa mentalità che avevano prima di mettersi alla sequela del Maestro. Di che mentalità si tratta? È quella plasmata dall’istinto di sopravvivenza, che provoca delle scelte di autoconservazione, scelte egoistiche, che non tengono conto della necessità degli altri. Sono scelte che provocano delle logiche di sopraffazione, di dominio sugli altri, generando una società di persone diseguali, in cui ha la meglio il violento, chi agisce con scaltrezza e inganno. Questo è lo stile basico di vita, che assimilano dalla cultura in cui viviamo. La proposta di Gesù si pone ad un altro livello.

Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così.

I discepoli del Signore sono coloro che apprendono uno stile nuovo, non più determinato dall’istinto di sopravvivenza, dal ripiegamento egoistico u di sé, ma dallo sguardo costante verso l’altro. “Tra voi non è così”: è fondamentale questo richiamo, perché dice di una differenza che dev’essere visibile, quella differenza che scaturisce dall’ascolto attento e interiorizzato della Parola, che produce uno stile nuovo, perché trasforma le dinamiche istintive di aggressività e sopraffazione, in relazioni fondate sulla ricerca del bene dell’altro, del desiderio che tutti si sentano bene, accolti e amati. Oppressone e violenza non possono essere presenti nella comunità di fratelli ce sorelle che hanno risposto all’appello del Signore di seguirlo: sarebbe una contraddizione.

ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti.

Chi è ricolmo dell’amore di Dio non ha bisogno di farsi grande dinanzi a nessuno. Chi ha percepito che il dono più grande nella vita è essere amati dal Padre come figli e figlie, non entra in logiche che possono ferire gli altri. Prepotenza, arroganza, violenza sono sintomi di un malessere interiore, di un’insoddisfazione, di una vita nella quale manca qualcosa di profondo, una direzione. È grande nella comunità di Gesù chi si pone a servizio degli altri, chi si adopera affinché nella comunità regni la pace.

Anche il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti.

È qui il fondamento di tutto il discorso: è l’esempio di Gesù, il suo stile di vita, che i suoi discepoli sono chiamati a riprodurre in modo creativo. È proprio perché Gesù è venuto nel mondo e si è messo a servizio dei suoi fratelli e sorelle, che siamo chiamati a fare altrettanto. Nel corpo di Cristo di cui ci cibiamo c’è tutto il suo amore, il suo piegarsi per lavare i piedi ai discepoli, la sua attenzione verso i poveri e i sofferenti, il suo continuo cercare chi è nel bisogno. Per questo ci cibiamo di Lui: per vivere di Lui e come Lui.







giovedì 7 ottobre 2021

UNA COSA SOLA TI MANCA

 



DOMENICA XXVIII B

(Mc 17-30)

Paolo Cugini

 

 

Mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui…

L’evangelista Marco, con alcuni tocchi strategici ci avvisa che l’incontro di questo tale con Gesù non avrà un esito positivo. Marco, infatti, pone questo incontro sulla strada, cioè nel luogo in cui, conforme alla narrazione della parabola del seminatore, il seme viene rubato immediatamente dagli uccelli appena gettato e, di conseguenza, non può portare frutto. Inoltre, uno che corre nella mentalità semitica, è disonorevole. Anche il gettarsi in ginocchio, nella prospettiva del Vangelo di Marco, non è un gesto positivo: davanti a Gesù si è inginocchiato un lebbroso, impuro.

«Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?».

La richiesta del tale rivela quella mentalità meritocratica, tipica della cultura e della religiosità veterotestamentaria, che Gesù è venuto a modificare. La vita eterna non si può ottenere facendo delle cose, ma accogliendola gratuitamente. Inoltre, Gesù è venuto a tracciare un cammino che trasforma la storia quotidiana e, questa trasformazione, pone nella vita presente dei segni di eternità. Chi segue il Signore è una persona con i piedi per terra, concentrata sul presente, sull’oggi della vita, chiamato a trasformare la storia, a immettere nel vissuto quotidiano quell’amore e quella sete di giustizia ricevuta dal Signore. E infatti, che cosa chiede Gesù al tale che incontra sulla strada:

Tu conosci i comandamenti: "Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre"».

È curioso che tra i comandamenti di Mosè, Gesù citi quelli che hanno a che fare con le relazioni umani, come per dire che, l’amore a Dio lo si vede attraverso l’amore per le persone che incontriamo nella vita, alla qualità delle relazioni che viviamo. La vita eterna è questa, si manifesta nel modo di relazionarci, nell’attenzione che poniamo alle persone he incontriamo, soprattutto i più bisognosi.

«Una cosa sola ti manca: va', vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!».

È un versetto che esprime il radicalismo evangelico, la verità della nostra scelta di seguire il Signore, che è in sintonia con quello che Gesù afferma nel discorso della montagna: cercate prima il Regno dei cieli e la sua giustizia e queste cose vi saranno date in aggiunta (Mt 6, 33). C’è una priorità nel cammino di fede, che orienta anche la vita materiale nell’orizzonte della fede, che si manifesta proprio nella nostra libertà nei confronti delle cose.

Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni.

Nel suo commento a questo brano di Marco, Origene, il grande catecheta del III secolo d. C. dice che, questo tale che sosteneva che obbediva a tutti i comandamenti e poi si fa triste alla richiesta di Gesù di condividere i suoi beni, era un grande bugiardo, perché la verità della nostra vita in Dio si manifesta proprio nella condivisione gratuita e disinteressata di ciò che Dio ci ha donato.

Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio».

L’attaccamento alle ricchezze diventa un ostacolo nel cammino della fede perché, con il tempo, sostituiscono Dio come punto di riferimento della salvezza e sicurezza personale. È dunque difficile per un ricco entrare nel Regno dei Cieli perché il suo cuore si attacca giorno dopo giorno al denaro, che diviene progressivamente il centro del proprio interesse, dimenticandosi di Dio e della sua proposta.

Il brano di oggi ha un grande valore per il nostro cammino di fede personale e comunitario. Ci avvisa che tutto dev’essere rapportato alla nostra relazione con il Signore, affinché tutta la nostra vita sia plasmata dal suo amore e dalla sua giustizia. Quando questo avviene, diviene visibile nella storia quei segni di eternità che rivelano la presenza di Dio nel mondo.

 

 

martedì 5 ottobre 2021

INTRODUZIONE AGLI ATTI DEGLI APOSTOLI

 

 

PREMESSA

Per la comprensione di un libro della Bibbia, occorre fare riferimento a ciò che insegna la Dei Verbum, il documento del Concilio Vaticano II sulla Parola di Dio:

Come deve essere interpretata la sacra Scrittura

12. Poiché Dio nella sacra Scrittura ha parlato per mezzo di uomini alla maniera umana, l'interprete della sacra Scrittura, per capir bene ciò che egli ha voluto comunicarci, deve ricercare con attenzione che cosa gli agiografi abbiano veramente voluto dire e a Dio è piaciuto manifestare con le loro parole. Per ricavare l'intenzione degli agiografi, si deve tener conto fra l'altro anche dei generi letterari. La verità infatti viene diversamente proposta ed espressa in testi in vario modo storici, o profetici, o poetici, o anche in altri generi di espressione.

 È necessario, quindi, che l'interprete ricerchi il senso che l'agiografo in determinate circostanze, secondo la condizione del suo tempo e della sua cultura, per mezzo dei generi letterari allora in uso, intendeva esprimere ed ha di fatto espresso. Per comprendere infatti in maniera esatta ciò che l'autore sacro volle asserire nello scrivere, si deve far debita attenzione sia agli abituali e originali modi di sentire, di esprimersi e di raccontare vigenti ai tempi dell'agiografo, sia a quelli che nei vari luoghi erano allora in uso nei rapporti umani.

 

AUTORE

Senza ombra di dubbio l’autore è Luca, lo stesso del Vangelo. Lo si capisce dallo stile dei due libri e dal ritorno di alcuni temi. L’autore, dunque, dev’essere un cristiano della generazione apostolica, Giudeo molto ellenizzato, quindi con una buona formazione culturale sia del pensiero giudaico che greco e la Bibbia Greca. Altro dato importante è la concordanza tra i dati che troviamo nell’opera di Luca e le lettere di Paolo (leggere Col 4,14; 2 Tm 4,11; Fm 24). Secondo Col 4, 10-14 Luca è di origine pagana (Antiochia di Siria), medico,


DATA E LUOGO

Il libro termina con la prigionia romana di Paolo (61-64 d.C.). La sua composizione dev’essere posteriore a quella del terzo Vangelo (tra il ’70 e l’80, o forse anche prima)

Luogo di composizione ci sono due proposte: Antiochia o Roma.


FONTI

Cfr. Lc 1,1-4. Luca dichiara di aver fatto ricerche accurate. Ciò significa che ha ripreso dei racconti già esistenti. A quale materiale ha attinto Luca per redigere gli Atti degli Apostoli?

In primo luogo, per la prima parte (1-12) alle fonti petrine, molto vicine al Vangelo di Pietro. Questo materiale è sato utilizzato per presentare la figura di Pietro, protagonista della prima parte del libro, che narra i primi sviluppi della comunità primitiva e le prime predicazioni.

Seconda parte (13-28): sembra che Luca abbia avuto a disposizione le lettere di Paolo e poteva informarsi presso lo stesso Paolo, che conosceva nel periodo della prigionia. Altre persone, come Sila e Timoteo, hanno potuto fornirgli informazioni.

Problema: Luca fu compagno di viaggio di Paolo? Secondo alcuni testi sembra di sì: 16,10-17; 20,5-21; 27,1-28,16 e anche 11,28: qui Lc parla al plurale e, quindi, si include tra coloro che sono nel secondo e terzo viaggio.

Problema: perché Paolo non nomina quasi mai Luca nelle sue lettere? Il noi” potrebbe, allora, essere la traccia di un diario tenuto da un compagno di Paolo (Sila?) e utilizzato da Luca. Il viaggio descritto dal Diario può essere collegato dalla colletta fatta per la Chiesa di Gerusalemme dalle chiese di Macedonia e Acaia (At 24,17; 1 Cor 6,1-4; 2 Cor 8-9; Rom 15, 25-29).

Ci sono dei ritornelli redazionali che mostrano l’abilità di Lc di utilizzare in modo coerente il materiale a sua disposizione: 6,7; 9,31; 12,24.

SCOPO

Secondo alcuni il testo è stato redatto nel II sec. per conciliare le tensioni tra le comunità di Pietro e di Giovanni.

Altri: è un’apologia in difesa di Paolo.

La maggior parte sostiene che lo scopo dell’opera è narrare la storia delle origini cristiane.

 

PIANO DELL’OPERA

E l’attualizzazione del comando di Gesù: mi sarete testimoni fino ai confini della terra (At 1,8). Luca ha voluto offrire un quadro della forza di espansione spirituale del cristianesimo.

Gerusalemme: la comunità primitiva cresce (1-5)

Inizia l’espansione preparata dalla tendenza universalista dei convertiti dal giudaismo ellenistico e dalla loro espulsione dopo il martirio di Stefano (6,1-8,3).

Il Vangelo raggiunge la Samaria (8,4-25);

A Cesarea per la prima volta dei pagani entrano in chiesa (8,26-40; 11,18);

La conversione di Paolo ci fa conoscere che ci sono dei cristiani a Damasco (9,1-30)

Ritornelli come 9,31 sottolineano la diffusione della fede

Dopo la conversione di Cornelio, Pietro è partito per una destinazione sconosciuta (12,17)

Primo viaggio di Paolo con Barnaba a Cipro e in Asia Minore

Concilio di Gerusalemme (49 d. C.) cap. 13-14

Secondo e terzo viaggio: Macedonia, Grecia, Efeso

Ogni volta Paolo ritorna a Gerusalemme.

L’arresto a Gerusalemme e la prigionia a Cesarea (21,18-26,32) gli permettono di essere con dotto a Roma

Problemi: Lc parla solo di Paolo e trascura l’evangelizzazione operata dagli altri apostoli

 

CONTRIBUTO DOTTRINARIO

·         Il primo importante contributo proviene dai discorsi riportati nel testo, che testimoniano la primissima predicazione cristiana e, in particolare, gli argomenti portati per dimostrare l’identità di Gesù nei confronti degli ebrei.

 

·         In questi discorsi vengono sottolineati alcuni temi:

ü  Gesù è il nuovo Mosè (3,22; 7,20);

ü  il nuovo Elia (1,9-11; 3,20-21)

ü  Gesù è identificato con il servo di JHWH (3,13; 4,27; 8,32)

·         C’è il tema degli apostoli come testimoni che operano attraverso segni.

·         Altro grande tema, che ha costituito un grande problema nella comunità: l’ammissione dei pagani alla salvezza. I più resistenti sono coloro che vengono definiti i fratelli di Gerusalemme, stretti attorno a Giacomo, che restano fedeli alla legge giudaica (15,1.5; 21,20).

·         Come sappiamo, Pietro e soprattutto Paolo, faranno trionfare la linea che sostiene la salvezza per mezzo della fede in Cristo.

·         C’è, inoltre, l’abbozzo della strutturazione della prima comunità con dottori, profeti e presbiteri, la celebrazione dell’eucarestia e del battesimo.

·         Il tema dello Spirito Santo 1,8




venerdì 1 ottobre 2021

DALLA PARTE DEI DEBOLI

 




DOMENICA XXVII B

(Mc 10,2-16)

Paolo Cugini

 

Imparare a riconoscere lo stile di Gesù è importante per una lettura e una comprensione di quello che dice e realizza nelle strade della Palestina. Non si tratta, infatti, d’interpretare parole o detti, ma di cogliere l’essenza del suo modo di fare, che rivela un modo di pensare e, soprattutto, un modo nuovo di stare al mondo. Ogni frase e ogni azione di Gesù vanno collocati all’interno del suo modo di pensare estremamente coerente. La logica dell’amore che viene declinata da una parte dalla misericordia a trecentosessanta gradi nei confronti di tutti e di chiunque e, dall’altra, dalla fame e sete di giustizia che lo conduce sempre e comunque dalla parte dei poveri e degli esclusi, è l’essenza del pensiero di Gesù, vera chiave di lettura delle sue scelte e delle sue decisioni. Queste considerazioni inziali sono importanti per cogliere in profondità il testo di oggi.

 alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova.

Nel Vangelo di Luca in cui si narrano i quaranta giorni che Gesù trascorse nel deserto prima d’iniziare l’attività pubblica, Satana viene presentato come il tentatore, colui che cerca di mettere alla prova la fedeltà di Gesù al Padre. Ebbene, l’evangelista marco introduce il brano con un riferimento e questa situazione esistenziale, affermando che i farisei si avvicinarono a Gesù per metterlo alla prova. Siamo al capitolo dieci e ormai il conflitto tra Gesù e i farisei si sta consumando. I farisei sono coloro che osservano tutti i dettami della legge e per questo si separano (fariseo significa proprio questo: seprato) dal resto del popolo e non accettano che una persona come Gesù, che si fa passare da Maestro, interpreti i dettami di Mosè in modo così liberale. Per questo intendono smascherarlo in mezzo al popolo con una delle questioni più chiare della legislazione mosaica, vale a dire il tema del ripudio della donna. Mentre Gesù parla di Dio come Padre che manifesta il suo amore per tutti, per i farisei Dio è potere e le sue leggi servono a loro per esercitare un potere oppressivo sugli uomini.

domandavano a Gesù se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?».

Interessante osservare il metodo di procedere di Gesù che, prima di rispondere direttamente, procede con una domanda agli interlocutori per permettere loro di esporre il problema e la soluzione. In questo modo Gesù si fa consegnare dagli interlocutori il materiale su cui imbastire il dialogo. Altra osservazione importante è sulla domanda di Gesù. Non dice: che cosa ci ha ordinato, ma che cosa vi ha ordinato. In questo modo Gesù prende le distanze da una legislazione che, a suo modo di vedere, non deriva dal Padre, ma sono legge di uomini, modellate sulla cultura patriarcale. Infatti, il caso in questione, vale a dire, la possibilità di ripudiare la propria moglie, è tutto a favore degli uomini, mentre le mogli sono considerate alla stregua di cose di appartenenza al marito e, per questo, possono essere ripudiate senza troppi scrupoli. Il testo che i farisei citano è preso dal libro del Deuteronomio al capitolo 24. Lo stesso precetto viene ripreso dal Talmud, che contiene i commenti più prestigiosi dei rabbini alla legge mosaica, il quale sostiene che: “la donna può essere ripudiata lo voglia o no”, ma la donna non può ripudiare il marito. Rabbi Hillel, che era il rabbino più seguito al tempo di Gesù, sosteneva che l’uomo poteva ripudiare la moglie per qualsiasi motivo. Gesù è venuto a portare sulla terra il Vangelo dell’uguaglianza tra uomo e donna, e i farisei vogliono fargli ammettere che c’è un’eccezione a questo suo insegnamento, eccezione a favore degli uomini. La risposta di Gesù è impressionante:

«Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma dall'inizio della creazione [Dio] li fece maschio e femmina; per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l'uomo non divida quello che Dio ha congiunto».

Per Gesù la legge scritta non riflette sempre la volontà del Padre e quindi non ha valore duraturo; per Gesù non tutto quello che è scritto nella legge ha autorità divina, perché si tratta a volte d’interpolazioni umane. Quando nella Bibbia si trovano affermazioni che esaltano una parte a scapito di un’altra, soprattutto se la parte lesa è indifesa o una minoranza allora significa che non è volontà di Dio, ma intromissione degli uomini, una manipolazione della cultura patriarcale. Ecco perché Gesù, nella sua risposta, non si rifà a Mosè, ma al piano del creatore, andando, dunque, all’origine della questione. All’epoca di Gesù non era più come era stato pensato all’inizio della creazione, come una scelta libera, ma erano i genitori che decidevano e stabilivano il matrimonio dei due.

Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l'uomo non divida quello che Dio ha congiunto.

Quando si è due si può dividere, ma quando si è uno non si può dividere, altrimenti diventa una mutilazione.

 «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio».

Mentre nella legge mosaica e nel Talmud il tema del matrimonio era trattato solamente dal punto di vista dell’uomo, Gesù lo amplia prendendo anche in considerazione il punto di vista della donna. Gesù si pone sempre dal lato dei più deboli, delle vittime delle situazioni.