DOMENICA XXXI/B
(Mc
12, 28b-34)
Paolo
Cugini
Stiamo lentamente giungendo al
termine dell’anno liturgico e, di conseguenza, anche della lettura del Vangelo
di Marco, che ci sta accompagnando durante l’anno. Domenica scorsa abbiamo
letto gli ultimi versetti del capitolo 10, e oggi la liturgia ci propone un
brano che si trova a metà del capitolo 12. Questo brano, per essere compreso in
profondità, va contestualizzato, leggendolo appunto nel contesto del Vangelo
che stiamo leggendo. All’inizio del capitolo 11 Gesù entra a Gerusalemme e,
dopo l’episodio della cacciata dal tempio dei venditori, iniziano una serie
pesante di polemiche con i capi religiosi del popolo d’Israele, con l’unico
obiettivo di mettere in cattiva luce Gesù dinanzi al popolo. Ci provano prima i
capi dei sacerdoti, poi i farisei, gli anziani, ma tutti ottengono l’effetto
contrario. È in questo quadro polemico che va letto il brano di oggi, dove
troviamo l’ennesimo tentativo di mettere in difficoltà Gesù.
In quel tempo, si
avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: «Qual è il primo di tutti i
comandamenti?».
Dopo averci provato in tanti modi a mettere in
difficoltà Gesù, ora i capi religiosi del popolo mandano avanti il teologo, lo
scriba esperto della Parola di Dio. La domanda che pone a Gesù è chiaramente un
trabocchetto, perché il primo di tutti i comandamenti per un ebreo osservante è
il sabato, considerato il compimento della legge a tal punto che, chi lo
trasgredisce, è reo di morte. L’osservanza del sabato equivale all’osservanza
di tutta la legge ed è il il comandamento che anche Dio osserva: ecco perché è
così importante e centrale nella mentalità ebraica. Ed è proprio il sabato il
problema centrale della diatriba tra i farisei e Gesù, scandalizzati a più riprese
dal modo libero di viere questo precetto da parte di Gesù, incuranti se nel
giorno di sabato Gesù curava delle persone. Questo è, allora, il punto del
problema: Dio si manifesta nell’osservanza cieca dei comandamenti o nell’attenzione
alle persone?
Gesù rispose: «Il primo è: "Ascolta, Israele!
Il Signore nostro Dio è l'unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con
tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con
tutta la tua forza". Il secondo è questo: "Amerai il tuo prossimo
come te stesso". Non c'è altro comandamento più grande di questi».
La
risposta di Gesù è geniale, perché non cita nessuno dei dieci comandamenti,
come invece si aspettava lo scriba, ma conduce l’interlocutore all’origine di
tutto, al principio fondamentale della spiritualità ebraica che è lo shemà
Israel, la preghiera del libro del Deuteronomio (Dt 6,4) che ogni ebreo
recita ogni giorno alla mattina e alla sera e il cui testo è appeso agli
stipiti delle porte. Lo shemà Israel invita ad una relazione con Dio non
formale, non basata sui riti e sacrifici ed esterni, ma dev’essere tale da coinvolgere
tutta la persona. La verifica dell’amore dell’uomo e nella donna a Dio, la verità
di questo amore totalizzante e personale secondo Gesù sta nel modo in cui ci
relazioniamo con il prossimo, perché l’uomo e la donna sono creati ad immagine di
Dio. Gesù, dunque, compie un’operazione dci sintesi letterari unendo un baro del
libro del Deuteronomio, con uno del Levitico (Lv 19,18). Ciò mostra il lavoro d’interpretazione
di Gesù, che non prende la Parola alla lettera, ma ne coglie lo spirito. Non a
caso nel Vangelo di Giovanni, nel contesto dell’ultima cena Gesù dice: “vi
lascio un comandamento nuovo, che vi amiate gli uni gli altri” (Gv 13,34).
Lo
scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico
e non vi è altri all'infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta
l'intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più
di tutti gli olocausti e i sacrifici». Vedendo che egli aveva risposto
saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno
aveva più il coraggio di interrogarlo.
Finalmente
anche lo scriba riconosce l’autorità di Gesù chiamandolo Maestro e manifestando
l’importanza del suo insegnamento. Perché Gesù afferma: non sei lontano dal
Regno di Dio e non gli dice che è vicino? Perché per entrare nel Regno di Dio
occorre la conversione, che comporta condivisione, la disponibilità al servizio umile nei
confronti dei fratelli e delle sorelle, proprio come aveva mostrato Gesù durante
la sua vita, simbolizzato dal gesto della lavanda dei piedi fatta ai discepoli.