Is
45,1.4-6; Sal 95; 1 Ts 1,1-5b; Mt 22,15-21
Paolo
Cugini
Continua anche oggi la
polemica di Gesù con i capi religiosi, polemica che ormai ci accompagna da due
mesi nei vangeli della domenica. In ogni modo, oggi c’è una novità. Infatti,
mentre nei vangeli ascoltati nelle domeniche precedenti era Gesù che prendeva
la parola con parabole che coinvolgevano i capi religiosi, oggi avviene il
contrario. Sono i farisei e gli erodiani che cercano Gesù per interrogarlo su
alcune questioni religiose, con l’unico obiettivo di coglierlo in fallo. Nel
Vangelo di Matteo, che stiamo ascoltando, la vita pubblica di Gesù inizia con l’evento
delle tentazioni, in cui il diavolo si manifesta come il tentatore, colui che
vuole ingannare e fare cadere Gesù (cfr. Mt 4, 1s). Ebbene, nella pagina di
oggi, l’evangelista Matteo pone la narrazione in modo tale da far apparire i
farisei nel ruolo di satana, il tentatore. Come vedremo, la situazione non si
volgerà a loro favore: Gesù non si lascia ingannare. Accompagniamo la
narrazione del brano di oggi.
In quel tempo, i farisei
se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei
suoi discorsi. Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a
dirgli. Il
dato interessante è che, dal punto di visata storico, farisei ed erodiano si
odiavano, erano nemici, Mentre i farisei, uomini pii della classe dirigente di
Israele, non sopportavano la presenza dei romani in terra giudaica, al
contrario gli erodiani li appoggiavano e facevano interessi con loro. L’obiettivo
comune di cogliere in fallo Gesù per denigrarlo dinanzi al popolo, provoca l’amicizia
dei nemici storici. Il quadro diventa, allora, sempre più chiaro. Da una parte,
infatti, abbiamo dei gruppi religiosi che hanno fatto della religione un motivo
di ascesa personale, e coltivano, dunque, i loro interessi; dall’altra c’è Gesù
con la sua proposta di una vita totalmente donata in modo disinteressato e
gratuito. Sono due mondi che si trovano totalmente agli antipodi ed è chiaro
che lo stile di Gesù, la sua proposta di amore disinteressato, provochi l’odio di
tutti coloro che hanno fatto della religione un motivo di guadagno personale.
Ma Gesù, conoscendo la
loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi
la moneta del tributo». Dinanzi
alle parole d’inganno piene di ipocrisia e di ideologia, Gesù pone in atto il
principio di realtà. La domanda dei farisei e degli erodiani era insidiosa, perché
era posta in modo tale che, in qualsiasi modo Gesù rispondesse, sarebbe caduto
nel loro tranello. Del resto, è lo stesso Gesù che, rispondendo loro ne
smaschera dinanzi al popolo l’ipocrisia, che significa che in loro non c’è la
ricerca della verità, che caratterizza, invece, la vita e la proposta di Gesù,
ma l’ostentazione dell’apparenza, la ricerca dell’immagine. Per questo motivo
Gesù sposta letteralmente il contenuto della disputa dal piano ideologico a
quello della realtà. La risposta di Gesù è un grande insegnamento per la
comunità cristiana, perché ci aiuta a prendere sul serio il principio di Incarnazione
da lui stesso inaugurato. Tutte le volte che rimaniamo sul piano delle teorie,
delle ideologie, che è un male tipico della cultura occidentale, scadiamo nelle
diatribe ideologiche, nelle schermaglie culturali, che non sono altro che uno
sfoggio di estetica culturale. Al contrario, Gesù ci insegna che è nella realtà
che si manifesta la verità. Chiedendo di vedere la moneta del tributo, Gesù
rivela che la realtà precede ed è più importante dell’idea, nel senso che è
possibile abbozzare un’idea su ciò che si vuole parlare, solamente quando si ha
la possibilità di accedere alla realtà delle cose.
Rendete dunque a Cesare
quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio. La conclusione di tutto il dibattito
polemico è un saggio d’intelligenza. Nella risposta che Gesù offre a coloro che
lo hanno provocato, c’è tutto il cammino che l’umanità deve compiere. Gesù,
infatti, nasconde il contenuto del proprio messaggio in una tipica espressione
semitica, in cui l’elemento principale è in secondo piano. La risposta, dunque,
dei suoi interlocutori non deve iniziare dalla domanda: che cosa dobbiamo a
Cesare, che coinvolgerebbe solamente il piano politico e sociale dell’interlocutore.
La vera domanda, che è la chiave di tutto il dibattito sta nella seconda parte della
frase di Gesù: che cosa dobbiamo dare a Dio? La risposta è di per sé banale: a
Dio dobbiamo dare tutto, perché tutto riceviamo da Lui. E allora, se a Dio
dobbiamo dare tutto, che cosa dobbiamo dare a Cesare? Seguendo la logica del
discorso verrebbe da rispondere: niente. In realtà non è così. Infatti, se a
Dio dobbiamo tutto, a Cesare, che è il simbolo della vita sociale e politica
dobbiamo dare Dio. È questo il senso della vita cristiana, di una comunità che
si riconosce nel Vangelo di Gesù. Ci alimentiamo ogni giorno di Lui, al punto
di fare della nostra vita una risposta alla sua Parola, affinché trasformi la
nostra mente e ci aiuti a discernere conforme la sua volontà, Ebbene, è proprio
questo che la comunità cristiana è chiamata a portare nel mondo: un modo
diverso di vivere, quel modo caratterizzato dall’amore gratuito e
disinteressato che Gesù ci ha insegnato e che si trova agli antipodi dello
stile di vita dei farisei e dei capi religiosi di Israele.
Ti renderò pronto
all'azione, anche se tu non mi conosci, perché sappiano dall'oriente e dall'occidente
che non c'è nulla fuori di me. Io sono il Signore, non ce n'è altri (Is 45,6). Le parole di Isaia che
abbiamo ascoltato nella prima lettura, prima di essere una proclamazione del
monoteismo più radicale, è la manifestazione della totalità di vita e di
pensiero che caratterizza chi segue il Signore e che troviamo indicata nella
risposta che oggi Gesù dà ai farisei e agli erodiani. Può affermare che non
esiste nulla fuori dalla proposta del Vangelo solamente chi l’ha trovato e sperimentato.
Prendiamo questa affermazione come l’indicazione che c’è speranza nel mondo, perché
c’è un contenuto che è in grado di riempire l’anima e la vita.
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