At
2,14a.22-33; Sal 15; 1 Pt 1,17-21; Lc 24,13-35
Paolo Cugini
L’evento della resurrezione
di Gesù che celebriamo nel tempo di Pasqua, ha provocato nella prima comunità
cristiana una serie di riflessioni che coinvolgono anche il nostro cammino
ecclesiale. C’è stato, prima di tutto,
una rilettura della vita di Gesù, della sua nascita, i suoi gesti e le sue
parole. In pochi decenni la comunità che si riunisce nel suo Nome, si rende
conto che la resurrezione di Gesù è un evento talmente straordinario da condurre
a identificarlo con Dio. Del resto, è proprio quello che abbiamo ascoltato
domenica scorsa quando Tommaso arriva a dire: “ Signore mio, Dio mio”. Ciò
significa che alla fine del primo secolo la comunità cristiana aveva già tirato
le somme, aveva cioè ben chiaro che quell’uomo che avevano conosciuto di nome
Gesù di Nazareth era Dio. Anche le letture di oggi ci forniscono alcune chiavi
di lettura importanti per comprendere il tipo di lavoro interpretativo messo in
atto nella prima comunità cristiana alla ricerca dell’identità di Gesù che
possono servire anche a noi nel nostro cammino di fede.
“Dice, infatti, Davide a suo
riguardo” (At 2, 25). Il primo lavoro interpretativo che la prima comunità
cristiana ha compiuto è stato quello di ricercare nell’Antico Testamento i
riferimenti a Gesù. Per meglio precisare il percorso compiuto bisogna dire che
la prima comunità ha preso Gesù e lo ha posto come chiave interpretativa di
tutto l’Antico Testamento, facendolo diventare chiave interpretativa della
storia della salvezza. Del resto è lo stesso tipo di analisi che Gesù propone
nel Vangelo di oggi: “E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò
loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui” (Lc 24, 27). La
lettura tipologica inizia, dunque, proprio a partire dalla percezione della
straordinarietà dell’evento della resurrezione, che provoca un primo movimento
di ricerca nel passato. In questo modo vengono individuati personaggi, eventi,
situazioni che, nella lettura che viene fatta che, in realtà, si tratta di una
rilettura, anticipavano già nel passato la presenza futura del messia, Gesù
Cristo. Questo cammino di ricerca storica è in sintonia con le intuizioni che
incontriamo in alcuni brani dell’AT, come, ad esempio, il salmo 85: “La
verità germoglierà dalla terra” (Sal 85, 10s). Se è vero che “La
giustizia si affaccerà dal cielo” (Sal 85,10) e che, di conseguenza, il
Figlio è un dono gratuito del Padre, è altrettanto vero che c’è una storia
dietro a Gesù, non solo nella linea genealogica, ma anche nel percorso che il
popolo d’Israele ha compiuto che in tanti momenti dice in anticipo qualcosa di
Gesù. La resurrezione getta una luce nuova sul passato del popolo, ma anche sul
nostro. La fede nel risorto ci aiuta a guardare in modo nuovo il nostro passato
e scoprire i momenti in cui Lui si è fatto vicino a noi. L’incontro del
risorto, allora, in questa prospettiva, diviene un momento fondamentale per la
nostra vita perché ci permette di coglierla e capirla in modo nuovo, sotto una
luce nuova.
Voi sapete che non a
prezzo di cose effimere, come argento e oro, foste liberati dalla vostra vuota
condotta, ereditata dai padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, agnello
senza difetti e senza macchia (1
Pt 1, 18-19). La prima comunità a partire dall’evento della resurrezione, non
solo fa un’opera di rilettura della storia della salvezza, ma cerca di
comprendere anche il senso della vita di Gesù in relazione all’umanità. Questa
operazione di risignificazione viene svolta con gli strumenti culturali del
tempo, per lo più cultuali. Ecco, allora, che la morte di Gesù inizia ad essere
interpretata come un sacrificio cultuale, identificando Gesù con l’agnello che
viene immolato per i nostri peccati. Questa rilettura cultuale, che a noi non
dice nulla perché non viviamo più in quel tipo di contesto cultuale, riesce
invece ad offrire significati e motivazioni alla prima comunità cultuale,
soprattutto ai fedeli, che erano la maggioranza, di provenienza ebraica. Personalmente
credo che questa rilettura sacrificale non vada assolutizzata, ma ricondotta all’ambiente
cultuale specifico. La comunità attuale è invece chiamata a pensare nuovi
significati della resurrezione di Gesù nel nuovo contesto culturale
post-cristiano e decisamente poco cultuale. Più che la linea sacrificale,
allora, occorrerebbe percorrere quella esistenziale e comprendere la passione e
morte di Gesù e la sua resurrezione come un cammino d’amore. La resurrezione di
Gesù dice della grandezza del suo amore per i suoi discepoli, per le sue
discepole e per il Padre. È questo amore che danno senso alle sue parole, ai
suoi gesti che diventano traccia di una cammino che anche noi siamo chiamati a
percorrere.
Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero (Lc 24, 31). Riuscire a riconoscere Gesù presente nell’eucarestia: è questo il senso del cammino pasquale. Abituati ai riti spesso ci dimentichiamo il centro del banchetto: l’incontro personale e comunitario con il Signore. I discepoli di Emmaus lo riconoscono perché c’è già una previa conoscenza di Lui, come emerge dalla narrazione, Mancava loro una comprensione più profonda che lo stesso Gesù offre. Anche oggi è così per noi. È possibile riconoscere Gesù presente nell’Eucarestia se c’è un desiderio di conoscere la sua Parola e se c’è qualcuno che lo conosce e ci spiega il senso di quello che leggiamo. Dovrebbe essere proprio questo il senso della chiesa, di una comunità cristiana: aiutare le persone, alla luce della Parola di dio, a riconoscere il Signore Gesù presente nella storia.
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