Paolo Cugini
Io, Giovanni, udii una voce dal cielo (Ap 10,8).
C’è un udito che va ben al di là del dato fisico. Quelle, infatti, che Gesù ascolta non sono parole umane, che esigono l’attenzione di un orecchio fisico, ma parole che vengono da altrove. Il testo pala di cielo come provenienza dei suoni che Giovanni capta. Senza dubbio si tratta di una metafora che allude ad una realtà che sfugge ai dati sensibili. Perché, infatti, solo Giovanni capta questi suoni, questa voce che viene dal cielo? C’è un udito che dev’essere allenato ad un certo tipo di suono e di voce. È l’orecchio, per così dire, di una coscienza allenata ad orientare il proprio udito verso significati non sensibili, che dicono di qualcos’altro, che ricercano qualcosa d’altro: la voce del Mistero.
Una voce così profonda e dalle qualità indicibili che attrae coloro che la cercano. Era quello che, solo per fare un esempio, accadeva con Gesù. Dice, infatti, il Vangelo: “tutto il popolo pendeva dalle sue labbra nell’ascoltarlo” (Lc 19,48). Perché il popolo pendeva dalle labbra di Gesù, dalle parole che lui pronunciava? Perché avevano un significato profondo, che rivelava qualcosa di vero alle persone che lo ascoltavano, cioè, a quelle persone che erano alla ricerca di parole significative. Perché i farisei che ascoltavano le stesse parole, non ne erano attratti? Esattamente per il motivo detto sopra, perché non ricercavano parole nuove, perché erano già soddisfatti delle parole che avevano e trovavano nelle loro tradizioni.
Solamente chi ricerca contenuti nuovi, più veri e autentici riesce ad udire suoni nuovi, che richiedono un udito affinato dalla ricerca e pronto all’ascolto.
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