Paolo Cugini
Signore, ecco la tua
moneta d'oro, che ho tenuto nascosta in un fazzoletto; avevo paura di te, che
sei un uomo severo (Lc 19, 20-21).
C’è
una paura sottile, che serpeggia silenziosa nei cuori e nelle menti, capace di
spegnere i sogni prima ancora che trovino voce. È la paura che uccide la vita.
Non una minaccia concreta o un pericolo reale, ma una presenza invisibile che
lentamente erode la fiducia, il desiderio, la speranza. In un tempo in cui
tutto sembra misurato, valutato, classificato, la paura di vivere nasce come
figlia della paura di sbagliare. E così si spegne la scintilla della vita, come
una candela soffocata dal vento del dubbio. Alla radice della paura di vivere,
vi è la paura di sbagliare. In una società che innalza la cultura del merito a
regola suprema, l’errore non è più visto come parte integrante del cammino
umano, ma come una macchia indelebile sulla reputazione e sul valore personale.
Il messaggio è chiaro: chi sbaglia è fuori, chi cade resta indietro. Rinchiusi
in questa logica, impariamo presto a temere ogni passo falso, ad evitare ogni
rischio, a non metterci mai davvero in gioco. Così, la vita diventa un terreno
minato dove ogni decisione è carica d’ansia e ogni tentativo può trasformarsi
in condanna.
Quando
la paura prende il sopravvento, la prima vittima è il talento. Quanti doni
rimangono sepolti sotto la coltre della timidezza e dell’insicurezza? Quanti
sogni non trovano mai voce, soffocati dal timore del giudizio o dal rischio di
fallire? Così, invece di fiorire, ci chiudiamo in noi stessi, costruendo muri
che ci separano dagli altri e, soprattutto, da ciò che potremmo diventare. Non
sperimentiamo, non osiamo, non viviamo. È come se un albero si rifiutasse di
far nascere i suoi frutti per il timore che il vento li possa far cadere. Ma la
vera tragedia non è cadere, è non aver mai provato a salire.
C’è
un’antica verità che attraversa le epoche: la vita è dono. E il dono, per sua
natura, chiede di essere accolto, vissuto, trasformato. Restituire il dono
significa rinunciare a viverlo, significa dichiarare, magari senza parole, che
non ci sentiamo degni, che non desideriamo abbastanza. È come restituire alla
terra il seme, senza aver mai tentato di seminare. Dietro questa restituzione
si nasconde una mancanza di desiderio profondo, una fiducia smarrita nelle
possibilità della vita. Ma tradire il dono è l’offesa più grande che possiamo
fare alla nostra stessa esistenza. Il desiderio è il motore silenzioso che
spinge l’uomo oltre i suoi limiti. Dove c’è desiderio, c’è movimento, c’è
apertura, c’è speranza. Il desiderio sano è quello che ci invita a rischiare, a
esplorare, a provarci. Non nasce dall’arroganza, ma dalla consapevolezza
profonda che la vita, per essere davvero vissuta, va sperimentata in tutte le
sue sfumature. Rinunciare al desiderio, spegnerlo per paura di sbagliare, è
come scegliere di non respirare per paura di soffocare. C’è vita anche
nell’errore, c’è crescita anche nel fallimento. Forse più che altrove. Chi non
sbaglia, non vive. Chi non cade, non impara. Il fallimento non è la fine, ma un
passaggio, una porta aperta verso nuove possibilità. Nelle crepe dell’errore
germoglia la forza di ricominciare, la saggezza di chi ha osato. Solo chi
rischia conosce davvero la profondità della vita e sperimenta la gioia segreta
che nasce nel rialzarsi dopo una caduta.
La
paura che uccide la vita può essere vinta solo coltivando il coraggio di
rischiare, la volontà di sperimentare, la fede nelle possibilità custodite in
ogni giorno. Vivere pienamente non significa non sbagliare mai, ma concedersi
il lusso di cercare, di desiderare, di cadere e rialzarsi. La vera morte è la
rinuncia, l’apatia, il chiudersi in sé stessi. Osiamo, allora: affidiamoci al
desiderio, sperimentiamo i nostri talenti, accogliamo il dono della vita. Solo
così la paura diventa alleata, compagna di viaggio e non più il nostro
carceriere. La vita, quella vera, spetta a chi ha il coraggio di viverla.
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