mercoledì 19 novembre 2025

La paura che uccide la vita

 




Paolo Cugini

 

Signore, ecco la tua moneta d'oro, che ho tenuto nascosta in un fazzoletto; avevo paura di te, che sei un uomo severo (Lc 19, 20-21).

C’è una paura sottile, che serpeggia silenziosa nei cuori e nelle menti, capace di spegnere i sogni prima ancora che trovino voce. È la paura che uccide la vita. Non una minaccia concreta o un pericolo reale, ma una presenza invisibile che lentamente erode la fiducia, il desiderio, la speranza. In un tempo in cui tutto sembra misurato, valutato, classificato, la paura di vivere nasce come figlia della paura di sbagliare. E così si spegne la scintilla della vita, come una candela soffocata dal vento del dubbio. Alla radice della paura di vivere, vi è la paura di sbagliare. In una società che innalza la cultura del merito a regola suprema, l’errore non è più visto come parte integrante del cammino umano, ma come una macchia indelebile sulla reputazione e sul valore personale. Il messaggio è chiaro: chi sbaglia è fuori, chi cade resta indietro. Rinchiusi in questa logica, impariamo presto a temere ogni passo falso, ad evitare ogni rischio, a non metterci mai davvero in gioco. Così, la vita diventa un terreno minato dove ogni decisione è carica d’ansia e ogni tentativo può trasformarsi in condanna.

Quando la paura prende il sopravvento, la prima vittima è il talento. Quanti doni rimangono sepolti sotto la coltre della timidezza e dell’insicurezza? Quanti sogni non trovano mai voce, soffocati dal timore del giudizio o dal rischio di fallire? Così, invece di fiorire, ci chiudiamo in noi stessi, costruendo muri che ci separano dagli altri e, soprattutto, da ciò che potremmo diventare. Non sperimentiamo, non osiamo, non viviamo. È come se un albero si rifiutasse di far nascere i suoi frutti per il timore che il vento li possa far cadere. Ma la vera tragedia non è cadere, è non aver mai provato a salire.

C’è un’antica verità che attraversa le epoche: la vita è dono. E il dono, per sua natura, chiede di essere accolto, vissuto, trasformato. Restituire il dono significa rinunciare a viverlo, significa dichiarare, magari senza parole, che non ci sentiamo degni, che non desideriamo abbastanza. È come restituire alla terra il seme, senza aver mai tentato di seminare. Dietro questa restituzione si nasconde una mancanza di desiderio profondo, una fiducia smarrita nelle possibilità della vita. Ma tradire il dono è l’offesa più grande che possiamo fare alla nostra stessa esistenza. Il desiderio è il motore silenzioso che spinge l’uomo oltre i suoi limiti. Dove c’è desiderio, c’è movimento, c’è apertura, c’è speranza. Il desiderio sano è quello che ci invita a rischiare, a esplorare, a provarci. Non nasce dall’arroganza, ma dalla consapevolezza profonda che la vita, per essere davvero vissuta, va sperimentata in tutte le sue sfumature. Rinunciare al desiderio, spegnerlo per paura di sbagliare, è come scegliere di non respirare per paura di soffocare. C’è vita anche nell’errore, c’è crescita anche nel fallimento. Forse più che altrove. Chi non sbaglia, non vive. Chi non cade, non impara. Il fallimento non è la fine, ma un passaggio, una porta aperta verso nuove possibilità. Nelle crepe dell’errore germoglia la forza di ricominciare, la saggezza di chi ha osato. Solo chi rischia conosce davvero la profondità della vita e sperimenta la gioia segreta che nasce nel rialzarsi dopo una caduta.

La paura che uccide la vita può essere vinta solo coltivando il coraggio di rischiare, la volontà di sperimentare, la fede nelle possibilità custodite in ogni giorno. Vivere pienamente non significa non sbagliare mai, ma concedersi il lusso di cercare, di desiderare, di cadere e rialzarsi. La vera morte è la rinuncia, l’apatia, il chiudersi in sé stessi. Osiamo, allora: affidiamoci al desiderio, sperimentiamo i nostri talenti, accogliamo il dono della vita. Solo così la paura diventa alleata, compagna di viaggio e non più il nostro carceriere. La vita, quella vera, spetta a chi ha il coraggio di viverla.

 

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