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(dal diario spirituale del 2005)
Le 4 obiezioni domande di Mosè a Dio,
all’inizio della sua vocazione:
1 Es 3,11: chi sono io per
andare dal Faraone e per togliere gli Israeliti dall’Egitto?
È l’obiezione
logica dinnanzi alla proposta di Dio che supera le mie aspettative, previsioni.
Soprattutto supera l’idea che ho di me stesso. Questo è un dato
importantissimo: crescendo nel tempo mi faccio un’idea di me stesso che
nonostante tutto rimane al di qua dell’idea che Dio ha di me. L’idea che mi
costruisco in contatto con il mio ambiente, la mia famiglia, gli amici, il
lavoro è relativo a questo ambiente determinato. L’entrata di Dio nella mia
storia spezza la scorza della mia identità che mi sono costruito e mi colloca
su di un altro orizzonte, che non avevo previsto, pensato, collocato. Per certi
aspetti nessuno è preparato ad accogliere una proposta del genere.
Se vogliamo riflettere, nella storia di Mosè
c’erano già i segni del liberatore. Quando, per esempio, uccide l’Egizio perché
stava maltrattando un ebreo, in questo episodio si può vedere in germe la
vocazione del futuro liberatore. Con una grande differenza: qui è Mosè che
prende l’iniziativa e, scontrandosi con la dura realtà, fugge per paura delle
conseguenze. Nell’evento del roveto ardente l’iniziativa è di Dio. È Dio che lo
chiama per nome e lo investe di una missione di liberazione del popolo
d’Israele. Che cosa significa, allora, questo incarico di YHWH a Mosè? In primo
luogo una fedeltà, una continuità. Il Dio che si manifesta a Mosè è lo stesso
che si era rivelato ad Abramo, Isacco e Giacobbe: è il Dio dei padri! Dicendo
così, Dio fa riferimento con una memoria storica, ad eventi che appartengono al
popolo d’Israele: non è quindi un Dio sconosciuto, anonimo, impersonale. È il Dio
della relazione, del dialogo personale. È il Dio libero che sceglie chi vuole.
Abele invece di Caino, Giacobbe invece di Esaù, Efraim invece di Manasse, Giuseppe
invece di Giuda. Abitare la scelta di Dio per vivere in pace. È il Dio che
sceglie non secondo criteri e logiche umane, ma secondo criteri che sono
nascosti. Certamente la scelta di Dio su un uomo per chiamarlo ad una missione
non è secondo il merito o, tantomeno, le qualità personali. Queste sono
caratteristiche che già sono presenti nell’apparizione di Dio a Mosè, ed è a
questa storia, a questa identità che YHWH fa riferimento per manifestarsi e per
auto presentarsi.
Attualizzando questo dialogo, questa prima
domanda, che cosa si può dire? Che per avere la certezza che la chiamata viene
da Dio e non è frutto di un mio desiderio o di una mia illusione o di altri
desideri, ci vuole un minimo di conoscenza del passato del popolo d’Israele. Il
Dio che chiama Mosè per liberare il suo popolo è questo: è il Dio di Isacco,
Giacobbe Abramo, Giuseppe. Se è questo, vuole dire che non è un altro. La
conoscenza della storia che Dio ha costruito e nel quale Dio stesso si è
manifestato, distrugge gli altri dei, gli idoli che la mia fantasia ha
costruito. Dio si fa presente nella mia storia e fa riferimento ad un passato.
Questo è già un dato significativo. Il modo di Dio di presentarsi all’uomo e
alla donna è delicato e attento affinché l’uomo non l’identifichi con un
oggetto estraneo a sé. Guardando attentamente a come Dio si è presentato a Mosè,
non c’è un’eccessiva sottolineatura della trascendenza, ma anche della storia,
della sintonia di Dio con l’uomo, della delicatezza.
Mosè con il gregge di pecore entra nel
deserto giungendo al monte di Dio, l’Oreb (che una tradizione identifica con il
Sinai). Già qui ci sono vari dati interessanti. Il primo, è il fatto che se l’Oreb
è chiamato “monte di Dio”, ciò significa che c’è già una tradizione, un costume
che fa di questa montagna qualcosa di speciale. C’è dietro cioè, già una storia
di incontri di Dio con l’uomo. Che tipo d’incontri la Bibbia tace, ma il
semplice fatto di definire l’Oreb il monte di Dio, lo dice lunga sulla
differenza di questa montagna dalle altre.
Il secondo dato interessante, è l’entrata di
Mosè nel deserto. Schökel, nella Bibbia portoghese traduce: “transumando nel
deserto”. È bello questo transumare, questo andare di Mosè per il deserto,
quasi guidato dalle stesse pecore, segno di una libertà e di una spogliazione
interna che lo predispongono al dialogo con Dio. Nel deserto, il luogo per
antonomasia dell’incontro con Dio. Luogo di silenzio e solitudine in cui l’uomo
è predisposto ad entrare in sé stesso, ascoltarsi e ascoltare il silenzio. È
simpatico pensare che, preso per i suoi pensieri, in mezzo alla riflessione,
Mosè si è lasciato guidare dalle pecore al monte di Dio, l’Oreb e poi Dio è
apparso! È apparso con una delicatezza impressionante. È apparso in punta di
piedi, per non turbare Mosè nei suoi pensieri. È apparso in un roveto ardente
che, secondo una antica tradizione, è un arbusto selvaggio umile, disprezzato.
Più silenzioso e delicato di così è impossibile! Lo ha distolto dai suoi
pensieri con un arbusto inutile, selvaggio, disprezzato. Non è questo un
versetto, un evento di sapore evangelico? Non si può dare a questo versetto un
valore messianico? Il Dio dei padri, di Abramo, Isacco e Giacobbe è lo stesso
che si è manifestato a Mosè in un roveto ardente ed è il medesimo che si
manifesterà all’umanità in una Mangiatoia. Dio è grande nella semplicità. Per
manifestarsi non ha bisogno della grandezza umana, ma fa grande l’uomo
rivelandosi nella semplicità.
Un altro dato che mi chiama attenzione è che,
l’incontro tra Dio e Mosè è frutto della sola volontà di Dio. Mosè non si è
preparato per questo incontro. C’è una volontà assoluta di Dio che precede
tutto. Mosè non si è preparato: ci ha pensato Dio. C’è una tradizione che divide
la vita di Mosè in 3 momenti:
a)
0-40
anni: vita in Egitto fino all’uccisione dell’Egiziano
b)
40-80
anni vita nel deserto come pastore, sposo di Sefora
c)
80-120
anni dall’incontro con Dio nel deserto al viaggio nel deserto con il popolo d’Israele.
Ciò significa che Mosè aveva 80
anni quando Dio l’ha chiamato per compiere la sua missione. Non l’ha scelto nel
fiore dell’età, ma alla fine. E poi, come sappiamo dai versetti successivi, non
l’ha scelto per delle particolari doti oratorie: era balbuziente. Solo un dato
è certo: Dio l’ha scelto e basta.
Con un passato così, con una
storia così, la domanda di Mosè è pienamente giustificabile: “Chi sono io per
andare dal faraone e per togliere gli israeliti dall’Egitto?” La
chiamata personale di Dio getta immediatamente una luce sul passato di Mosè,
sulla sua storia. Esiste una discrepanza infinita tra quello che lui pensa di
essere (aveva 80 anni) e quello che Dio sa di Lui e vuole che lui sia.
Questa è vocazione:
il mistero di una chiamata personale, di una scelta che mi supera. Ciò
significa che se misuro la chiamata sulle mie forze, le me mie capacità, i miei
pregi, i miei limiti, sono perduto. La chiamata di Dio non si basa sul merito,
sulle qualità personali, sulla preparazione personali, ma è azione libera di
Dio.
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