mercoledì 27 aprile 2022

CHI SONO IO PER ANDARE DAL FARAONE? LA VOCAZIONE DI MOSE'

 

 



(dal diario spirituale del 2005)

 

Le 4 obiezioni domande di Mosè a Dio, all’inizio della sua vocazione:

1 Es 3,11: chi sono io per andare dal Faraone e per togliere gli Israeliti dall’Egitto?

 

È l’obiezione logica dinnanzi alla proposta di Dio che supera le mie aspettative, previsioni. Soprattutto supera l’idea che ho di me stesso. Questo è un dato importantissimo: crescendo nel tempo mi faccio un’idea di me stesso che nonostante tutto rimane al di qua dell’idea che Dio ha di me. L’idea che mi costruisco in contatto con il mio ambiente, la mia famiglia, gli amici, il lavoro è relativo a questo ambiente determinato. L’entrata di Dio nella mia storia spezza la scorza della mia identità che mi sono costruito e mi colloca su di un altro orizzonte, che non avevo previsto, pensato, collocato. Per certi aspetti nessuno è preparato ad accogliere una proposta del genere.

Se vogliamo riflettere, nella storia di Mosè c’erano già i segni del liberatore. Quando, per esempio, uccide l’Egizio perché stava maltrattando un ebreo, in questo episodio si può vedere in germe la vocazione del futuro liberatore. Con una grande differenza: qui è Mosè che prende l’iniziativa e, scontrandosi con la dura realtà, fugge per paura delle conseguenze. Nell’evento del roveto ardente l’iniziativa è di Dio. È Dio che lo chiama per nome e lo investe di una missione di liberazione del popolo d’Israele. Che cosa significa, allora, questo incarico di YHWH a Mosè? In primo luogo una fedeltà, una continuità. Il Dio che si manifesta a Mosè è lo stesso che si era rivelato ad Abramo, Isacco e Giacobbe: è il Dio dei padri! Dicendo così, Dio fa riferimento con una memoria storica, ad eventi che appartengono al popolo d’Israele: non è quindi un Dio sconosciuto, anonimo, impersonale. È il Dio della relazione, del dialogo personale. È il Dio libero che sceglie chi vuole. Abele invece di Caino, Giacobbe invece di Esaù, Efraim invece di Manasse, Giuseppe invece di Giuda. Abitare la scelta di Dio per vivere in pace. È il Dio che sceglie non secondo criteri e logiche umane, ma secondo criteri che sono nascosti. Certamente la scelta di Dio su un uomo per chiamarlo ad una missione non è secondo il merito o, tantomeno, le qualità personali. Queste sono caratteristiche che già sono presenti nell’apparizione di Dio a Mosè, ed è a questa storia, a questa identità che YHWH fa riferimento per manifestarsi e per auto presentarsi.

Attualizzando questo dialogo, questa prima domanda, che cosa si può dire? Che per avere la certezza che la chiamata viene da Dio e non è frutto di un mio desiderio o di una mia illusione o di altri desideri, ci vuole un minimo di conoscenza del passato del popolo d’Israele. Il Dio che chiama Mosè per liberare il suo popolo è questo: è il Dio di Isacco, Giacobbe Abramo, Giuseppe. Se è questo, vuole dire che non è un altro. La conoscenza della storia che Dio ha costruito e nel quale Dio stesso si è manifestato, distrugge gli altri dei, gli idoli che la mia fantasia ha costruito. Dio si fa presente nella mia storia e fa riferimento ad un passato. Questo è già un dato significativo. Il modo di Dio di presentarsi all’uomo e alla donna è delicato e attento affinché l’uomo non l’identifichi con un oggetto estraneo a sé. Guardando attentamente a come Dio si è presentato a Mosè, non c’è un’eccessiva sottolineatura della trascendenza, ma anche della storia, della sintonia di Dio con l’uomo, della delicatezza.

Mosè con il gregge di pecore entra nel deserto giungendo al monte di Dio, l’Oreb (che una tradizione identifica con il Sinai). Già qui ci sono vari dati interessanti. Il primo, è il fatto che se l’Oreb è chiamato “monte di Dio”, ciò significa che c’è già una tradizione, un costume che fa di questa montagna qualcosa di speciale. C’è dietro cioè, già una storia di incontri di Dio con l’uomo. Che tipo d’incontri la Bibbia tace, ma il semplice fatto di definire l’Oreb il monte di Dio, lo dice lunga sulla differenza di questa montagna dalle altre.

Il secondo dato interessante, è l’entrata di Mosè nel deserto. Schökel, nella Bibbia portoghese traduce: “transumando nel deserto”. È bello questo transumare, questo andare di Mosè per il deserto, quasi guidato dalle stesse pecore, segno di una libertà e di una spogliazione interna che lo predispongono al dialogo con Dio. Nel deserto, il luogo per antonomasia dell’incontro con Dio. Luogo di silenzio e solitudine in cui l’uomo è predisposto ad entrare in sé stesso, ascoltarsi e ascoltare il silenzio. È simpatico pensare che, preso per i suoi pensieri, in mezzo alla riflessione, Mosè si è lasciato guidare dalle pecore al monte di Dio, l’Oreb e poi Dio è apparso! È apparso con una delicatezza impressionante. È apparso in punta di piedi, per non turbare Mosè nei suoi pensieri. È apparso in un roveto ardente che, secondo una antica tradizione, è un arbusto selvaggio umile, disprezzato. Più silenzioso e delicato di così è impossibile! Lo ha distolto dai suoi pensieri con un arbusto inutile, selvaggio, disprezzato. Non è questo un versetto, un evento di sapore evangelico? Non si può dare a questo versetto un valore messianico? Il Dio dei padri, di Abramo, Isacco e Giacobbe è lo stesso che si è manifestato a Mosè in un roveto ardente ed è il medesimo che si manifesterà all’umanità in una Mangiatoia. Dio è grande nella semplicità. Per manifestarsi non ha bisogno della grandezza umana, ma fa grande l’uomo rivelandosi nella semplicità.

Un altro dato che mi chiama attenzione è che, l’incontro tra Dio e Mosè è frutto della sola volontà di Dio. Mosè non si è preparato per questo incontro. C’è una volontà assoluta di Dio che precede tutto. Mosè non si è preparato: ci ha pensato Dio. C’è una tradizione che divide la vita di Mosè in 3 momenti:

a)      0-40 anni: vita in Egitto fino all’uccisione dell’Egiziano

b)      40-80 anni vita nel deserto come pastore, sposo di Sefora

c)      80-120 anni dall’incontro con Dio nel deserto al viaggio nel deserto con il popolo d’Israele.

Ciò significa che Mosè aveva 80 anni quando Dio l’ha chiamato per compiere la sua missione. Non l’ha scelto nel fiore dell’età, ma alla fine. E poi, come sappiamo dai versetti successivi, non l’ha scelto per delle particolari doti oratorie: era balbuziente. Solo un dato è certo: Dio l’ha scelto e basta.

Con un passato così, con una storia così, la domanda di Mosè è pienamente giustificabile: “Chi sono io per andare dal faraone e per togliere gli israeliti dall’Egitto?” La chiamata personale di Dio getta immediatamente una luce sul passato di Mosè, sulla sua storia. Esiste una discrepanza infinita tra quello che lui pensa di essere (aveva 80 anni) e quello che Dio sa di Lui e vuole che lui sia.

Questa è vocazione: il mistero di una chiamata personale, di una scelta che mi supera. Ciò significa che se misuro la chiamata sulle mie forze, le me mie capacità, i miei pregi, i miei limiti, sono perduto. La chiamata di Dio non si basa sul merito, sulle qualità personali, sulla preparazione personali, ma è azione libera di Dio.

 

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