XXII DOMENICA\B
(Dt 4,1-8; Sal 14; Gc 1,17-27;
Mc7, 1-23)
1. La liturgia della
Parola che abbiamo ascoltato nel mese di agosto, ci ha proposto una riflessione
sul tema dell’Eucaristia, facendoci ascoltare il capitolo sei del Vangelo di
Giovanni. Con questa domenica riprende la lettura continua del Vangelo di Marco
e ci mettiamo, allora, in ascolto di questa Parola per potere già da adesso
abitare nella casa del Signore, camminando senza colpa sulla strada che lui
oggi ci indica (Cfr. Sal 14).
2. La polemica di
Gesù con i farisei nel capitolo 7 del Vangelo di Marco, tocca un tema centrale
nella vita spirituale del cristiano: l’ipocrisia.
“Bene ha profetato Isaia
di voi, ipocriti, come sta scritto: ‘Questo popolo mi onora con le labbra, ma
il suo cuore è lontano da me’” (Mc 7,6).
L’ipocrisia
è esattamente questo e cioè il fare una cosa e pensarne un’altra, una
separazione tra la vita interiore e esteriore. Il tema è estremamente
importante perché ci pone dinanzi il pericolo costante di trasformare il culto in
tradizioni umane, imprigionando, così, la Parola di Dio in una serie di
precetti che con Dio non hanno nulla a che fare. Accade questo in noi quando vogliamo
mantenere la nostra bella apparenza davanti agli uomini e, allo stesso tempo,
non siamo disposti a rinunciare alle esigenze che la Parola di Dio ci indica.
Siamo, allora, costretti a condurre un’esistenza falsa, fatta di sotterfugi,
un’esistenza divisa tra esterno ed interno. Non esiste uomo o donna che non
senti il peso interiore della falsità che sta vivendo, dell’ipocrisia che
giorno dopo giorno sta devastando la sua vita. Il problema grave è che,
nonostante ci accorgiamo di ciò, della menzogna nella quale stiamo vivendo,
facciamo di tutto per non sentire, per trovare delle scuse e metterci il cuore
in pace. Partecipiamo al culto della Chiesa lodando Dio a squarcia gola e
dentro di noi coviamo pensieri negativi che poi si traducono in atti, che
contraddicono il culto celebrato. Anche perché è impossibile riuscire a
controllare in tutto la propria vita: prima o poi l’incoerenza emerge,
l’ipocrisia smaschera il nostro vero volto.
Gesù nel Vangelo che abbiamo appena ascoltato
ci dice che, quando viviamo in questo modo diviso, giungiamo a trascurare il
comandamento di Dio per osservare la tradizione degli uomini. Che cosa
significa ciò? Significa che l’ipocrita è colui che non vuole cambiare, non
vuole portare il peso di un cambiamento, perché non vuole lasciare la sua vita,
il suo progetto di vita. E allora si protegge da Dio, anticipando la sua Parola
con una serie di precetti umani, di tradizioni umane, per controllare la
propria religiosità e sentirsi buono, nonostante tutto
.
E così vado a Messa alla domenica e, una volta tornato a casa, non cambiano in
nulla i miei atteggiamenti negativi in famiglia e nelle relazioni aggressive o
di indifferenza con gli altri. Ancora. Partecipo di incontri formativi o di
ritiri spirituali, ma poi non sono disposto a compiere gesti concreti di
condivisione con le persone che soffrono vicino a me. Continuo imperterrito a
recitare rosari, ma se sento parlare di poveri o di extracomunitari, mi irrito
e vorrei che sparissero dalla faccia della terra.
Un culto così, che non trasforma
qualitativamente la nostra esistenza, non serve a nulla, anzi è peggio perché
scandalizza coloro che sono fuori dal culto, perché ci vedono così religiosi e,
allo stesso tempo, così mostruosi, sempre più egoisti e orgogliosi.
Che
cosa possiamo fare, allora, per uscire da questa vita ipocrita, che fa male a
noi e al mondo che ci circonda?
3. Ancora una volta
è la Parola di Dio che ci dà l’indicazione giusta per uscire da questo che
sembra essere un vicolo sempre più cieco.
“Dal di
dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive”
(Mc
7,21).
Possiamo
guarire dal cancro spirituale dell’ipocrisia, solamente se accettiamo di
smetterla di curare la nostra immagine esterna, solamente se la smettiamo di
preoccuparci di quello che gli altri pensano di noi, in altre parole se la
smettiamo di cercare la gloria degli uomini (Cfr. Gv12).
Gesù
ci offre un’indicazione stupendamente concreta per guarirci dalla nostra
malattia dell’anima: si parte dal cuore. Nella vita spirituale ci sono delle
priorità e, una di queste, è esattamente quella che Gesù ci indica oggi. Non
possiamo pensare di uscire da una condizione di vita falsa e ipocrita, basata
sui nostri bisogni, le nostre voglie, facendo di tutto perché gli altri pensino
meraviglie di noi, continuando a curare la nostra immagine esterna. Chi segue
questo percorso è destinato prima o poi a scoppiare, trovandosi con la vita
divisa in due, il cuore che va da una parte e gli atti che vanno per la loro
strada, senza nessuna connessione con l’anima.
Si esce dalla vita ipocrita e si entra nella
Verità solamente cominciando a curare il cuore, cioè la coscienza, lasciandola
plasmare lentamente, giorno dopo giorno,
dalla Parola di Dio. Può sembrare una proposta irreale, senza senso,
troppo “spirituale”, ma coloro che la
stanno percorrendo sanno benissimo che non esiste nel mondo proposta più vera e
reale. Come tutte le cose che vengono da Dio, anche questa non si presenta come
un’imposizione, ma solamente come una proposta, che fa leva sulla nostra
esperienza interiore, una proposta che
può essere solamente passata agli altri attraverso la testimonianza.
Gesù ci insegna oggi che la nostra felicità
è data da una vita unita, in cui gli
atti che compiamo sono il frutto di ciò che pensiamo. C’insegna anche che, per
raggiungere questa unità, fonte della vera felicità, dobbiamo percorrere il cammino
della vita interiore, della purificazione del cuore, dell’interiorizzazione
della Parola di Dio.
4. A questo punto
del discorso ci possiamo porre un’ultima domanda.
Va
bene, allora, iniziamo a curare la nostra anima, ma come facciamo a sapere se
questo metodo funziona o se invece non siamo caduti nell’intimismo religioso,
nell’individualismo egoistico?
E’
Gesù stesso che, nel Vangelo di oggi, ci suggerisce la risposta.
“Non c’è nulla fuori
dell’uomo che, entrato in lui, possa contaminarlo”
(Mc
7,15).
L’uomo, la donna, che segue il
Signore, che medita ogni giorno la sua Parola conformandosi ad essa, che
accoglie la sua grazia che riceve nei sacramenti, diventa impermeabile al male.
Se ci pensiamo bene, ci troviamo dinanzi
a qualcosa di veramente grande. Quante volte, infatti, ancora oggi, dopo tanti
anni di cammino, di eucaristie, di vita sacramentale, il male del mondo ci
sconvolge, ci lascia impietriti, provoca pensieri e sentimenti negativi di odio
e di morte!
Il Signore ci dice semplicemente questo:
il frutto della vita sacramentale, della vita in Lui è la resistenza al male
del mondo. Seguendo il Signore riusciamo a vivere nel mondo senza che questi
provochi in noi sentimenti negativi, attingendo la nostra anima per
distruggerla.
Chiediamo al Signore, in questa
Eucarestia domenicale, di donarci l’umiltà d’incamminarci con più serietà e
disponibilità sulla strada che oggi ci propone, per riuscire a vivere una vita
più autentica e per essere capaci di rispondere al male del mondo con il bene
che Lui pone nei nostri cuori.
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