giovedì 20 dicembre 2018

NATALE OVVERO L'ADDIO ALLA VERITÀ




(omelia della Vigilia di Natale 2018)

Paolo Cugini


È bello riascoltare i vangeli dell’infanzia, soprattutto quelli narrati da Luca, perché ci aiutano a ritornare al punto zero, all’inizio di una storia che ha molto da dire a noi e alla nostra civiltà. È bello riascoltarla e rivisitare il presepio per capire se l’abbiamo visto bene o se ci è sfuggito qualcosa. Siamo così abituati a vedere le cose che spesso il nostro guardare è così filtrato dalle nostre pre-comprensioni, che non riusciamo più a cogliere la novità, a guardare l’oggetto per quello che è e non per quello che pensiamo già di sapere. Credo che capiti la stessa cosa con il Natale di Gesù, una festa così farcita da tradizioni da non permetterci più di coglierne la novità. Proviamo, allora, a mettere da parte ciò che sappiamo, ciò che crediamo di sapere e avviciniamoci ad osservare il presepio, per lasciarci consegnare qualcosa che questo evento ha voluto dire e continua ad ispirarci.

Mi avvicino allora, al presepio e vedo il bambino Gesù nella mangiatoia. Quel bambino non è solo il figlio di Giuseppe, che viene dalla dinastia di Davide, realizzando in questo modo le profezie messianiche ascoltate nel tempo dell’avvento. Gesù è anche il figlio di Maria che è gravida per opera dello Spirito Santo. Quel bambino che giace nella mangiatoia non porta a compimento solamente un processo storico, che lo fa simile ad ogni uomo e ad ogni donna, che hanno dietro di loro una genealogia, ma è anche il dono del cielo. Quel Bambino è Dio. Come sappiamo questo dato, che chiamiamo incarnazione, è l’aspetto più originale del cristianesimo, che ancora oggi fa tanta fatica ad essere accolto e vissuto come un dono. Gesù è il dono di Dio per l’umanità e rivela che Dio smette di essere un’idea astratta – il dio dei filosofi – e diventa il Dio con noi, che è in mezzo a noi. Che cosa vuole dire?

Se questo è vero, quel bambino è portatore di alcune novità che bisogna tener conto. A partire da Gesù, l’essere di Dio non è più in un’idea astratta, uguale per tutti, che può essere definita in modo oggettivo e compresa con la ragione, ma è un evento. Se l’essere di Dio è in quell’evento che si chiama Gesù, allora il suo essere può venire colto da sguardi differenti e in modi differenti. Con Gesù, Dio cessa di essere un’idea assoluta, astratta, oggettiva, ma diviene evento, soggetto storico, persona percepibile ai sensi e, quindi, interpretabile. A partire dall’evento Gesù, per dire Dio occorre sempre declinare il punto di vista a partire da cui lo osservi e, quindi, lo comunichi. Ecco perché, a mio avviso, i vangeli dell’infanzia insistono nel contestualizzare l’evento. “In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse un censimento” (Lc 2,1s). Se l’essere di Dio entra nella storia e si consegna all’evento, significa che per coglierlo devo conoscere il contesto storico e culturale. Non è possibile dire la verità di Dio in Gesù senza le coordinate storiche e culturali. È stato Dio a consegnarsi in questo modo e, quindi, va rispettato. Quali sono le conseguenze di questo nuovo modo di pensare Dio?

In primo luogo, se l’essere di Dio è in un evento, acquistano valore i sensi: lo vedo, lo ascolto, lo tocco. Vengono alla mente le parole di Giovanni quando, nella prima lettera inizia il prologo affermando: “Quello che abbiamo visto e udito e le nostre mani hanno toccato, noi lo annunciamo a voi” (1 Gv 1, 1s). L’evento Gesù non può più essere narrato come una teoria, un concetto filosofico. Non può più essere comunicato come si comunica una dottrina, vale a dire qualcosa d’imparaticcio appreso a memoria. Con l’evento del Natale posso dire Dio solamente attraverso un’esperienza storica, filtrata dai miei sensi, vale a dire un’esperienza personale. I vangeli sono la consegna di Dio attraverso l’esperienza di persone concrete che hanno visto il Signore, che sono stati con Lui. I vangeli non sono una dottrina, ma la comunicazione di un’esperienza personale che invitano chi l’ascolta a fare lo stesso tipo di esperienza, vale a dire ad incontrare il Signore, ad ascoltarlo, vederlo, sentirlo. La prima conseguenza immediata dell’evento del Natale è che per conoscere Dio occorre incontrarlo, ascoltarlo, vederlo, toccarlo. Dopo Gesù, l’essere di Dio non si dona in un’idea astratta, che esige il pensiero per coglierlo, ma in una persona che richiede il coinvolgimento dei sensi, compreso il sentimento e, senza dubbio, anche la ragione per formalizzare l’esperienza e poterla narrare a qualcuno. È quello che esprime il grido di Andrea che si dirige pieno di gioia a suo fratello Pietro dicendo: “abbiamo trovato il messia!” (Gv 1,41). È lo stesso che disse Filippo a Natanaele incredulo: “Vieni e vedi” (Gv 1, 46).  Molto più forte è l’espressione dei discepoli che, dopo aver visto il Signore risorto, dicono a Tommaso: “Abbiamo visto il Signore” (Gv 20,25). Il Natale ci consegna un Dio che non si può più apprendere come una teoria filosofica, perché non sta più in cielo, ma è vivo in mezzo a noi: è una persona.

A questo punto si comprende molto bene come l’essere di Dio si affida all’interpretazione di qualcuno che ha visto l’evento. A partire da Gesù non è più possibile dire Dio, narrarlo, in un modo univoco. Non esiste un’unica narrazione di Gesù, perché è un evento che si è donato all’esperienza sensibile di ogni persona. Ecco perché i Vangeli sono quattro e non uno. Ogni narrazione sull’evento non escluda l’altra, ma tutte sono necessarie perché ognuna coglie un aspetto di Dio. La comunità cristiana che pone al centro l’evento di Gesù Cristo, si riconosce dal fatto che fa di tutto affinché le persone possano incontrare l’evento Gesù e poi crea le condizioni affinché le persone possano esprimere le loro narrazioni, le loro interpretazioni, quello che hanno visto, udito, toccato. La comunità cristiana è lo spazio in cui si sperimenta la pluralità delle opinioni e in cui si rispetta ogni narrazione.

Potremmo infine affermare che a Natale Dio abbandona la verità, perlomeno quella intesa in senso metafisico, per consegnarci la persona del suo Figlio Gesù. L’incarnazione è il farsi storia del Figlio di Dio, che ci libera dalla verità, determinando le condizioni in cui non si può più pensare la verità come oggettività metafisica, come rappresentazione fedele e perciò autorevole del modo in cui stanno le cose (G. Vattimo). È stato questo modo d’intendere Dio, che è la negazione di ciò che ci è stato donato nell’incarnazione, ad essere motivo di guerre e di morte. È perché s’intende la verità in modo metafisico, come una verità assoluta uguale per tutti, che non solo si pretende d’insegnare, ma la si vuole difendere ad ogni costo. Chi pensa la verità come un assioma apodittico, astratto fuori dalla storia, non accetta le interpretazioni diverse, ma anzi fa di tuto per annichilirle. La storia della Chiesa passata e recente, è purtroppo piena di queste situazioni d’intolleranza. È dal modo in cui ci avviciniamo al mistero di Dio che possiamo diventare persone terribili o buone. Lo stesso Gesù è stato vittima dell’intolleranza e della cattiveria degli uomini della religione metafisica, dell’idea di Dio astratta, un’idea unica da difendere ad ogni costo. Il Dio che è presente nella persona di Gesù ha smascherato l’arroganza dell’idolo, la violenza esigita dalla verità univoca che non accetta e non ammette differenze.


6 commenti:

  1. In un mondo sempre più virtuale come questo...come risulta difficile narrare...sembra tempo perso, una cosa per bambini del secolo scorso che non sapevano come ingannare il tempo...e il narrare, come l'evento implica i sensi..chi racconta sa che occorre rapire gli occhi dell'ascoltatore, usare il corpo per far passare messaggi che riguardano l'anima, occorre narrare e non plagiare e allora la voce non deve dar forza a quel che vogliamo noi ma al senso del racconto...ma oggi i bambini e i grandi si fa forza della esperienza dell'Areopago di Atene: su questa cosa ti ascolteremo un'altra volta..e il cantastorie diventa triste perché un racconto non ascoltato e non condiviso non serve a niente e a nessuno...ma per fortuna quella notte lontana i pastori davanti alla luce e al canto (elementi sensoriali) degli angeli han prestato attenzione...dando vita a quel racconto vero che è il Natale...Grazie amico Paolo di questa riflessione che mi rinforza nel mio essere povero nomade e menestrello nei sentieri della verità.Buon Natale ..Anto

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  2. “Nella storia irrompi tu: io ti accolgo mio Signor!”.
    Da “Emmanuel, tu sei”, di don Francesco Buttazzo.
    https://youtu.be/OT-OoN-ONSc

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  3. Troppo difficile Paolo !questa volta non riesco capire ,troppo alto e non comprendo. Buona notte
    .

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  4. Forse, a ben vedere, il senso lo si potrebbe “riassumere” così: Gesù non è una statuina del presepio, ne’, banalmente, il protagonista di alcuni “racconti” che - originalità dei quattro diversi autori! - hanno lo stesso titolo. Gesù di Nazareth è una persona in carne ed ossa... come il “pe” Paolo e come ciascuno di noi; un uomo che ha camminato lungo le strade polverose della Palestina di duemila anni fa, ma che ancora cammina sulle nostre vie e desidera incontrare ciascuno di noi... ciascuna donna e ciascun uomo del nostro tempo. “Impossibile!”, direte... ma anche no, perché c’è un “piccolo” particolare da prendere in considerazione e da tenere ben presente: Lui è Dio! Un Dio incarnato e che ama... non quello di Aristotele, “motore immobile dell’Universo”, ne’ quello di Cartesio, garante della bontà delle nostre percezioni sensibili... e neppure il dio degli Illuministi, entità sommamente razionale e grande architetto dell’intero Creato. Ecco perché per conoscere Gesù e, di conseguenza, conoscere Dio, non basta sentirne parlare o leggere quello che riportano i Vangeli. Per conoscere davvero Gesù bisogna incontrarlo, farne esperienza, accettare la sua amicizia... non quella “virtuale”, beninteso! Lui non è una questione da “social”: è necessario sperimentare la sua presenza e la sua reale vicinanza. E poiché ogni incontro è qualcosa di originale, unico ed irripetibile, ecco che la “narrazione” di chi ha fatto questa vivificante esperienza non può che essere altrettanto originale, irripetibile ed unica. Chi Lo ha conosciuto è ben consapevole che non basta un racconto, per “trasmettere” agli altri ciò che si è provato e si prova: le parole non potrebbero restituire che un ‘pallido resoconto’ di quello straordinario evento... allora non si può evitare di amare le sorelle e i fratelli, tentando di fare loro percepire il grande Amore che Gesù, nel personale incontro, ha effuso ed elargito.
    Se qualcuno ci dicesse che una narrazione particolare di questo incontro personale ha più diritto di autenticità rispetto alle altre, mente! A volte in buona fede; più spesso subdolamente, sapendo di mentire. Ogni individuale “restituzione” dell’evento è una parte del tutto, non meno vera delle altre e, per la sua quota, concorre a delineare il quadro dell’intero “mistero”... E il luogo dell’incontro e della condivisione di queste originali narrazioni è la comunità cristiana, dove ciascuno di noi può contribuire ad illuminare una porzione della totalità.
    Certo: il “Tutto” rimane in gran parte sconosciuto e ancora da scoprire, in quel rapporto che, incessantemente, si alimenta della reciproca presenza... ma è pur sempre vero che stiamo facendo esperienza di Dio!

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  5. Natale è passato e ,con ritardo,ho riletto più volte ciò che scrivi caro don Paolo.
    Dici : per conoscere Gesù bisogna incontrarlo,farne esperienza e che la narrazione di Gesù non è unica,ma tante.Mi colpisce positivamente quando scrivi che la comunità cristiana è il luogo dell'incontro e delle condivisioni delle narrazioni verso la conoscenza del Mistero e che ciascuno di noi può contribuire all'illuminazione condividendo ciò che di Gesù ha conosciuto o che ha intuito di conoscere.
    C'è bisogno però di profeti,di maestri e di guide ad aiutare questo popolo,nonché di tanto impegno personale verso la ricerca e l'incontro di Dio fatto Uomo.Tu sperimenti la Sua Presenza e ce la trasmetti.
    Teresa

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