DOMENICA 9 GIUGNO 2013 -
X/C DEL TEMPO COMUNE
(1 Re 17,17-24; Ps 29;
Gal 1,11-19; Lc 7,11-17)
Paolo Cugini
1. Dopo le tante domeniche solenni che abbiamo celebrato
in questi ultimi mesi del periodo di Pasqua e Pentecoste , la liturgia ritorna
al Tempo Comune e ci rimarrà per alcuni mesi, sino al Tempo d’ Avvento che
avverrà alla fine di novembre. In questo Tempo Comune avremo l'opportunità di
riflettere sui temi significativi del nostro camminare quotidiano, scoprendo i
significati che la Parola di Dio dà ai contenuti sui quali lavoriamo giorno
dopo giorno. In questa domenica, che è la decima del tempo comune, tempo che era
iniziato subito dopo il tempo di Natale, il tema che ci viene proposto é quello
della vita. Sia la prima lettura che il Vangelo ci parlano della resurrezione
di una persona giovane. Nella prima lettura si parla della resurrezione di un
bambino, mentre nel Vangelo è narrata la risurrezione di un ragazzo. In tutti i
due i casi un giovane morto viene restituito vivo alla propria madre. La domanda
che potremmo rivolgerci è questa: che insegnamento riceviamo da queste
narrazioni di risurrezione?
2. Un morto dal punto di vista spirituale potremmo
indicarlo come colui che ha rotto il proprio legame con la vita e, siccome la
vita viene da Dio, é morto colui che non vive in Dio, che ha tagliato il
proprio legame con Dio. In entrambe le narrazioni sono le madri le protagoniste
dell’intervento divino. Nel primo caso la madre si arrabbia con il profeta per
la morte del proprio bambino, quasi colpevolizzando Elia per l’accaduto. Elia
entra in azione con una preghiera con la quale chiede l’intervento di Dio. É la
preghiera del profeta, dell’uomo di Dio che è ascoltato dal Padre. Affinché la
preghiera sia ascoltata e la morte si trasformi in vita bisogna essere profeti,
uomini e donne di Dio, persone che hanno fatto della propria vita un dono al
Signore, qualsiasi sia la vocazione. Per fare ciò dovremmo prendere sempre più
seriamente il nostro battesimo, viverlo come un dono, trasformando la nostra
vita in dono. La preghiera di Elia è la preghiera di un uomo che ha fatto della
propria vita un totale servizio al Signore.
3. Nel Vangelo è Gesù che sente compassione per la madre vedova che perde l’unico figlio ed
entra decisamente in azione. É la situazione che provoca l’entrata di Dio nella
storia. Il Dio che si è rivelato nella persona di Gesù Cristo non sopporta la
sofferenza dei piccoli, dei poveri, degli oppressi. E infatti che cosa c’è di piú piccolo, povero e disperato di una
madre vedova che ha perso il suo unico figlio? É in questo Dio che crediamo,
nel Dio che ascolta il grido dei sui piccoli ed entra nella storia degli uomini
e delle donne per dare vita, per trasformare situazioni di morte in vita.
4. “Ragazzo, dico a te, alzati!”. Mi ha fatto impressione questa
espressione di Gesù. Oggi incontriamo molti giovani morti nel significato sopra
accennato e cioè senza Dio. Quanti giovani vivono oggi senza nessun riferimento
al Vangelo, alla proposta di Gesù, nell’illusione di poter vivere senza di Lui!
Eppure da sempre la maggior parte dei giovani che incontriamo sono passati
dalle nostre sale di catechismo. E allora perché se ne sono andati? Perché oggi
vivono come se Dio non esistesse, pur avendolo conosciuto, por avendo ascoltato
per molto tempo la sua Parola? Come potrebbe la Chiesa oggi dirigere le parole
di Gesù ai giovani che incontra “morti” sul proprio cammino?
5. “Tutti furono
presi da timore e glorificavano Do”. Il mondo riconosce la presenza di Dio
nella storia quando avviene una trasformazione, un passaggio dalla morte alla
vita. Glorificare Dio significa credere in Lui. Il prodigio provoca la fede del
mondo. La Chiesa é chiamata a compiere questo prodigio per aiutare il mondo a credere
in Dio, ma come può fare ciò?
Sono due le indicazioni che ci sono state consegnate
dalle letture. La prima é che solamente una Chiesa profetica, e cioè una Chiesa
che vive e si alimenta del Signore é in grado di rivolgere al Padre una
preghiera di supplica. La Bibbia c’insegna che Dio Padre ascolta sempre la preghiera
dei suoi servi e serve. Se ci premono i giovani e la loro vita dovremmo
convertirci una volta per tutte al Signore, uscire dai nostri egoismi e
metterci al Servizio del Signore. La morte spirituale dei giovani deve
provocare la nostra conversione.
La seconda indicazione la troviamo nel Vangelo. Gesù
tocca la bara. Fino a quando la nostra disperazione si ferma alle parole dette
e scritte non succederà nulla nell’ottica della fede. Bisogna toccare la bara!
Fino a quando il padre di famiglia va al bar o non smette di lavorare e non
trova mai il tempo per parlare con il
proprio figlio/a, continua a costruire lentamente la sua bara. Sino a quando la
madre si preoccupa solamente dei vestiti e dell’esterno e non prova mai ad
abbozzare un minimo dialogo sui problemi dei propri figli, sta semplicemente
martellando i chiodi delle loro bare. Bisogna avere umiltà di sentire la
puzza di morte che esce dalla bara. Bisogna che un giorno arriviamo ad avere
il coraggio di prendere il martello per togliere i chiodi alla bara, di fermare
il corteo di gente che sta portando tanti giovani al cimitero della vita. E poi
c’è la Chiesa, la comunità di cristiani che deve poter toccare le bare dei
giovani che incontra, non facendo la corsa con il mondo e cioè, non offrendo in
un modo più masticato e ripulito quello che il mondo già offre, ma avendo il
coraggio di proporre quello che é chiamata a proporre: Gesù Cristo. Una Chiesa
creativa che pensa al modo per poter parlare de Gesù ai giovani, senza
provocare sensazioni di disagio, ma di fame di Dio. Per fare questo la Chiesa
dovrebbe avere il coraggio di abbandonare una volta per tutte la logica mondana
di offrire la proposta del Vangelo come se fosse obbligatoria, come una
proposta scolastica che deve essere fatta. Quando la Chiesa avrà il coraggio di
presentare ai giovani il Vangelo di Gesù per quello che è e cioè, una proposta
di vita che esige un’adesione personale libera e non un obbligo o
un’imposizione, forse in questo modo
potrà trovare la forza per dire ai giovani che incontra: ragazzo/a, dico a te:
alzati!
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