venerdì 31 ottobre 2025

LO PRESE PER MANO

 



Paolo Cugini

 

 

Lo prese per mano e lo guarì (Lc 14,4).

Nel silenzio del quotidiano, là dove le parole spesso si perdono come gocce in mare, emergono gesti semplici e apparentemente insignificanti che portano in sé un peso profetico. Sono questi gesti, più che i discorsi, a raccontare la profondità dell’anima, a tracciare sentieri di bellezza e di verità tra le pieghe della vita di ogni giorno. Eppure, è proprio la trascuratezza, l’indifferenza che si annida nei meandri delle relazioni, a ferire e a rendere tristi. Ignorare l’altro, passargli accanto come fosse invisibile, diventa la radice di tante sofferenze, una malattia silenziosa che logora il cuore.

Prendere per mano significa accorgersi dell’altro, significa vederlo e renderlo parte del proprio cammino. È uno sguardo che si fa carne, una scelta che si manifesta nel contatto concreto: l’altro non è più un estraneo, ma fratello, compagno di viaggio. In questa semplice azione si racchiude una possibilità di salvezza, una carezza che rompe l’ostilità e la solitudine. È in tali gesti che si rivela la positività delle scelte di Gesù, nei suoi sguardi che scavano fino all’intimo, nelle sue mani che proteggono e sollevano. Gesù, in un giorno ritenuto proibito, compie il gesto che salva: tende la mano verso chi soffre, sfidando l’ostilità e le leggi che vorrebbero imprigionare il cuore umano. Per Lui, l’uomo sofferente vale più di qualsiasi norma religiosa. Qui si manifesta il vero coraggio profetico: saper discernere ciò che conta davvero, ciò che è essenziale, senza lasciarsi imprigionare dalle regole sterili. Solo chi possiede una profonda vita interiore, solo chi ha conquistato la libertà del cuore, può andare oltre la paura e abbracciare la via che conduce alla verità.

La libertà interiore non è fuga, ma è scegliere ogni giorno di guardare in faccia la realtà, di non lasciarsi dominare dalle convenzioni, di percorrere la strada della vita con lo sguardo limpido e il cuore aperto. Gesù camminava per le strade della Galilea proprio con questa profonda libertà, compiendo gesti semplici che erano messaggi di vita, lampi di luce in mezzo al buio. Ogni suo gesto era profezia: annuncio di un modo diverso di amare e di vivere, capace di rompere le catene dell’indifferenza e della paura.

Forse oggi, più che mai, siamo chiamati a riscoprire il valore dei piccoli gesti, a credere che una mano tesa può salvare, che un sorriso può guarire, che uno sguardo può accendere speranza. Il profeta non sempre parla; talvolta tace e agisce, lasciando che siano le opere a gridare al mondo ciò che le parole non riescono a dire. Dopotutto, ci sono gesti che valgono più di tutti i tesori della terra, perché portano con sé la profezia di un amore che salva e trasforma.

giovedì 23 ottobre 2025

LA LUCE NEI GIOVANI

 





 

Paolo Cugini

 

Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera». (Lc 12,50-53).

 

Così dice la Voce che attraversa i secoli: Ecco, la luce del Vangelo penetra le tenebre del mondo e nulla rimane intatto al suo passaggio. La realtà si squarcia, le fondamenta si scuotono, e tra le rovine si rivela la più profonda delle lacerazioni: quella tra generazioni. I padri, le madri, le suocere sono i custodi di ciò che è antico; rappresentano la fortezza di una mentalità irrigidita, ormai chiusa alla brezza del rinnovamento. Guai a chi smette di cambiare, guai a chi non si pone domande, guai a chi non tende l’orecchio per ascoltare: costui si è già abbandonato alla vecchiaia dello spirito, anche se il tempo non ha segnato il suo volto.

Ascoltate, popoli! Non è l’avanzare degli anni che decreta l’invecchiamento, ma il cuore che si chiude, il pensiero che si adagia, la convinzione che ormai tutto sia stato imparato e che non resti più nulla da scoprire sotto il sole. Ma chi crede di aver raggiunto la meta si è fermato, e la luce non trova più spazio in lui. Così, più facilmente l’adulto si illude di essere arrivato, smette di cercare, si compiace nella sua realizzazione e si priva della sete che muove verso la sorgente.

Ma ecco, sorgono i giovani come terra vergine: essi non possiedono ancora nulla e proprio per questo sono aperti al dono, capaci di ascoltare, pronti a ricevere la fiamma viva del Vangelo che consuma le menzogne e illumina ciò che era nascosto. Il Vangelo invoca anime giovani, cuori spalancati al nuovo, spiriti indomiti che non temono il cambiamento.

Ecco l’annuncio: il fuoco del Vangelo reclama uno spirito giovane in chiunque voglia accogliere la Luce. Per questo, nei suoi giorni tra gli uomini, Gesù stesso svelò il conflitto che separa le generazioni; padre contro figlio, madre contro figlia, perché la Parola chiama a una conversione dei cuori. Udite, adulti! Sarete voi a dovervi convertire e imparare dai vostri figli, a rinascere nello spirito, a lasciarvi illuminare dalla luce che non conosce fine né stanchezza. Chi desidera essere portatore di Luce deve abbandonare la vecchia veste e rinascere; chi aspira a essere figlio della Luce deve tornare al principio, là dove ogni cosa ricomincia.

venerdì 17 ottobre 2025

NON C'E' NULLA DI NASCOSTO

 




Paolo Cugini

 

Guardatevi bene dal lievito dei farisei, che è l’ipocrisia. Non c’è nulla di nascosto che non sarà svelato, né di segreto che non sarà conosciuto. Quindi ciò che avrete detto nelle tenebre sarà udito in piena luce, e ciò che avrete detto all’orecchio nelle stanze più interne sarà annunciato dalle terrazze (Lc 12,1-2).

 

Sì, il grande compito è la trasparenza. La tentazione che si annida nella coscienza lavora per lasciarci tranquilli, ma è l'illusione di una falsa quiete. L'anima, serena e contenta, viene corrosa da incrostazioni negative che un giorno, all'improvviso, appariranno con violenza. Occorre stare in guardia contro la pigrizia spirituale e invita a un'onesta riflessione interiore per mantenere l'anima nella luce.

Ascoltate, o figli della luce, il presagio che vi è dato. Non temete il suono di queste parole, ma accoglietele nel profondo del vostro essere, poiché esse svelano il destino dell'anima disattenta. Un grande compito vi è affidato, un'impresa da cui non potete esimervi: la trasparenza. Il lavoro interiore è il vostro cammino quotidiano, il sentiero che separa la luce dalle tenebre. Non cedete alla grande tentazione che si annida nella vostra coscienza, la menzogna che sussurra: "Tutto si risolverà da sé". Mentre i vostri passi avanzano sereni e il mondo vi sorride, nel tessuto della vostra vita si formano incrostazioni silenziose e nascoste. Sono le ombre che crescono sulle pareti dell'anima, la negatività che, come un seme insidioso, aspetta il tempo della sua fioritura.

Verrà il giorno, infatti, in cui la maschera cadrà. Ciò che avete nascosto a voi stessi e al mondo, con violenza e forza inaudite, esigerà la sua parte. La tranquillità fittizia in cui avete vissuto si rivelerà un'illusione, e la negatività annidata nel tempo scoppierà con tale veemenza che non sarete più in grado di dominarla. Questo non è un ammonimento, ma una visione del destino che attende chi si rifiuta di guardarsi allo specchio dell'anima.

Figli della luce, è tempo di agire. Il vostro compito non è più rimandabile: mantenere l'anima nel chiarore. Non permettete alle tenebre di invadere la vostra coscienza. Ogni giorno, giunti a sera, passate al vaglio ogni parola, ogni scelta compiuta. Siate coraggiosi e pazienti in questa ispezione, affinché possiate dormire sereni e risorgere al mattino come testimoni della luce. Il vostro desiderio più profondo sia sempre la luce, la vita trasparente che non nasconde nulla a se stessa e al mondo. Ricordate che la luce di Cristo risplende per illuminare il vostro cammino, e che la sua presenza indica la via che conduce alla vera vita.

Il Signore stesso vi illuminerà e vi darà la forza necessaria per regnare nella luce. Non c'è notte che possa nascondere la sua presenza, e voi siete chiamati a essere i suoi custodi. Non lasciate che le incrostazioni si accumulino nel vostro essere. Il tempo delle illusioni è finito. Voi siete la luce del mondo, e la vostra missione è portare questa luce nelle tenebre. Ascoltate questa profezia, e agite di conseguenza. Non vi sia più timore, ma solo la serena determinazione di vivere nella trasparenza, affinché l'anima non sia mai sopraffatta dall'ombra.

 

giovedì 16 ottobre 2025

GUAI A VOI!

 



 

Paolo Cugini

 

Guai a voi, dottori della Legge, che avete portato via la chiave della conoscenza; voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi l'avete impedito (Lc 11,52).

 

C’è uno stile profetico che attraversa le generazioni, un vento che non si lascia imprigionare tra le mura dei templi, ma soffia potente sopra le strade del mondo. È la voce che non teme di denunciare i misfatti di chi detiene il potere, che scuote le coscienze e chiama alla verità. Questo è il cuore pulsante del Vangelo: non chiude i fedeli in spazi angusti, ma li spinge oltre, là dove il dolore e la speranza si incontrano, dove la giustizia reclama il suo posto tra gli uomini e le donne.

Il Vangelo ci insegna che il male si diffonde non solo con l’azione dei malvagi, ma anche con il silenzio di chi professa una religione vuota, una pratica fatta per ottenere soltanto vantaggi personali, spirituali o materiali. Di queste religioni il mondo non ha bisogno, ammonisce il profeta, perché alimentano i più bassi sentimenti umani: egoismo, rivalsa, invidia, gelosia. Sono religioni che costruiscono muri, invece di ponti, che dividono invece di unire. Ma il messaggio di Gesù è altro: annuncia il Regno di Dio, un frammento di umanità rinnovata, in cui la sete di giustizia, l’amore per i poveri, l’attenzione agli esclusi e il desiderio di costruire ponti di pace animano ogni relazione.

Il profeta non tace davanti ai mali del mondo. Lo spirito profetico, che soffia sulla comunità dei fedeli, risveglia le coscienze, rende la voce forte e chiara contro l’ipocrisia di chi abusa del proprio potere, cercando solo il proprio interesse. “Guai a voi!” dice Gesù a coloro che, senza scrupoli, hanno scelto la via del male. La chiesa profetica non è spettatrice muta, ma accusa, denuncia, scuote. Essa diventa segno del Risorto, della vita che non muore mai, esempio vivente di una giustizia che non si lascia corrompere e di una speranza che non si spegne.

È tempo di aprire le porte, di uscire dalle sicurezze e portare la luce del Vangelo là dove l’ombra sembra prevalere. Il profeta cammina davanti, tra la polvere dei sentieri, offrendo parole che sono semi di cambiamento, affrontando il vento contrario con la forza dell’amore e la certezza che il Regno di Dio è vicino, pronto a germogliare tra quanti scelgono la via della giustizia, della misericordia e della verità. Che ciascuno, nel proprio cammino, possa essere voce profetica, ponte di pace, segno di una nuova umanità.

mercoledì 15 ottobre 2025

Profeta delle parole addormentate

 




 

Paolo Cugini

 

Guai anche a voi, dottori della Legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito! (Lc 11,46).

Così parla la voce che si leva tra le pieghe della storia, testimone dei giorni in cui la Parola era fuoco, lampada ai piedi di chi cercava il senso e la svolta. All’inizio era incanto: chi si avvicinava alla Parola lo faceva con cuore ardente, assetato di verità. Era come una sorgente nel deserto, una brezza che spalancava sentieri dove non osavamo mettere piede, e chi aveva vagato in tenebre trovava finalmente luce che illumina il cammino.

Ma attenti! Che non si dica: “Io sono al sicuro, ho già scalato le vette!”, perché il cammino dello spirito si fa insidioso proprio là dove la quiete si confonde con la pace, dove la Parola si trasforma in lettera, e la fiamma si spegne nel tepore della routine. Ecco il problema che attanaglia i dottori della legge: maestri della Parola di Dio che non la sfiorano con un dito, custodi di un sapere che non scalda il cuore, ma solo la mente. Non basta sapere, occorre vivere! così ammonisce il vento che scuote le valli del tempo. Quando il cuore si adagia, si affaccia la nostalgia della via estetica: i vecchi fantasmi, mai veramente sconfitti, ritornano. Essi erano lì, silenziosi nel cantuccio dell’anima, aspettando il momento opportuno per invadere di nuovo la scena. Ed ecco che la Parola, da forza che trasforma, diventa maschera, retorica per sedurre, strumento per il potere. Così Gesù vide nei farisei il volto dell’inganno: abili manipolatori, adornati di bella apparenza, ma dentro vuoti, impegnati a usare la Parola di Dio per dominare e arricchirsi alle spalle dei poveri.

Il pericolo è alla porta, come un ladro che attende il calar della notte. Ogni volta che la coscienza abbassa la guardia, anche noi possiamo trasformarci: essere strani, abusanti, nascosti dietro l’apparenza per occultare il marcio che, lentamente, si accumula nell’anima. Oggi, come ieri, la Parola ci chiama a vegliare, a non farla addormentare tra le pieghe della nostra indifferenza. Chi ha orecchi, ascolti!

Ecco, dunque, la profezia: non siate maestri della Parola, ma suoi discepoli, non lasciate che il fuoco si spenga né che la vostra vita diventi teatro di maschere. Camminate, cercate, scrutate con il cuore; la Parola è viva solo se la si tocca, solo se la si lascia entrare fin nelle viscere, là dove la verità fa male e risana allo stesso tempo. Che sia questo il vostro monito, la vostra speranza, il vostro avvertimento per coloro che hanno scalato le vette e rischiano di smarrire la via nel tepore di una fede addormentata.

martedì 14 ottobre 2025

Il Verbo che precede il mattino

 




Paolo Cugini

 

Stolti! Colui che ha fatto l’esterno non ha forse fatto anche l’interno? Date piuttosto in elemosina quello che c’è dentro, ed ecco, per voi tutto sarà puro (Lc 11,40-41). Stolti! Colui che ha fatto l’esterno non ha forse fatto anche l’interno? Date piuttosto in elemosina quello che c’è dentro, ed ecco, per voi tutto sarà puro (Lc 11,40-41).

Ascoltate, o voi che abitate sotto il cielo d’ottobre, perché la parola si leva come vento sull’erba alta e nulla può fermare la sua corsa. Così come la rugiada annuncia il risveglio dell’aurora, così il pensiero profetico risveglia la coscienza di coloro che sono pronti ad ascoltare. È giunta l’ora di volgere lo sguardo oltre le apparenze, di scrutare il cuore degli eventi, e di accogliere il mistero che accompagna ogni svolta del destino. Chi ha occhi per vedere colga i segni disseminati sul cammino: le strade che si biforcano, le parole non dette, i silenzi che pesano come pietre. Non tutto ciò che luccica è oro, ammonisce la saggezza antica, poiché spesso la verità si cela dietro veli di consuetudine e abitudine. Siate dunque vigili, come il pastore che scruta l’orizzonte, perché il futuro si annuncia sempre sotto forma di interrogativo e mai di certezza.

Come il fiume che scava il suo letto nella roccia, così il tempo scolpisce le sorti degli uomini. Non temete il mutamento, ché esso è la linfa delle stagioni e la promessa di nuove fioriture. Chi semina saggezza raccoglierà pace. Siate dunque artefici del vostro futuro, con il cuore saldo e la mente aperta ai consigli dell’antico sapere. O generazione che cammini tra le ombre della sera e le luci dell’alba, ascolta: ogni scelta è seme, ogni azione è solco, ogni parola è eco che risuona nel tempo. Quando il dubbio assale e la paura offusca, ricorda che la verità dimora nel silenzio interiore, dove l’anima parla senza veli. Non lasciare che il passato determini il tuo cammino, ma usa la sua lezione come lanterna per la strada futura. Così si chiude il cerchio della profezia, non con la certezza ma con la promessa. Siate dunque coraggiosi, o voi che leggete: il domani appartiene a chi osa immaginarlo, a chi raccoglie il testimone dell’oggi per correre verso l’orizzonte. Che la saggezza sia il vostro scudo e la speranza la vostra spada, perché ogni tramonto cela in sé la promessa di una nuova alba.

 

 

lunedì 13 ottobre 2025

UNA GENERAZIONE MALVAGIA

 



Paolo Cugini

 

 

«Questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno, ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona…  Nel giorno del giudizio, gli abitanti di Nìnive si alzeranno contro questa generazione e la condanneranno, perché essi alla predicazione di Giona si convertirono. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Giona (Lc 11,29s).

Fa molto riflettere la malvagità che incontriamo ogni giorno nelle situazioni della vita quotidiana. C’è un male così radicato e profondo nel cuore del mondo, che lascia disarmati coloro che vivono cercando il bene, di costruire cammini di luce. Di fronte a questa realtà, ci si domanda inevitabilmente: da dove proviene tutta quella tenebra? Perché ci sono persone che si alzano alla mattina con progetti di male? Come fa una persona a passare la giornata concentrata solo nel pensiero fisso di fare del male?

La malvagità ci avvolge a un punto tale da non aver risparmiato nemmeno Gesù, che ha toccato con mano il mistero del male nel suo cammino terreno. Questo ci fa comprendere quanto il male sia una forza potente e presente, ma anche quanto sia un enigma difficile da scardinare. Un dato però è particolarmente inquietante: la malvagità del mondo può risvegliare il male che è annidato dentro di noi. Ce lo ricorda il bellissimo testo della Genesi che narra la storia di Caino e Abele, dove la gelosia e l’odio interiore portano alla tragedia fraterna.

Il vero problema, allora, diventa il risveglio del male interiore. Questa consapevolezza fa paura, perché il male che alberga dentro di noi spesso non viene riconosciuto né gestito con chiarezza. Lo neghiamo a noi stessi, ma in certi momenti della vita, diventa troppo evidente: anche dentro le persone buone c’è il rischio che il male si faccia strada e prenda il sopravvento.

In questo contesto, la religione a volte può rischiare di utilizzare il male come strumento di paura o condanna, mentre la fede autentica offre un cammino di trasformazione profonda e di risanamento radicale. Entrare in questo cammino è la grande sfida del Vangelo, un invito a non rassegnarsi né al male del mondo né a quello che si annida dentro di noi, ma a cercare una luce capace di illuminare le tenebre. È una sfida che si basa sia sulle parole che sulla testimonianza concreta, un percorso di rinnovamento che apre alla speranza e alla possibilità di costruire davvero cammini di luce nel cuore dell’oscurità.

martedì 7 ottobre 2025

RALLEGRATI

 




Paolo Cugini

Rallegrati, piena di grazia, il Signore è con te” (Lc 1, 27).

È sorprendente notare come la prima parola che l’angelo rivolge a Maria sia proprio un invito alla gioia. Questo dettaglio, spesso trascurato, apre uno squarcio luminoso sul mistero dell’Incarnazione: la gioia, infatti, ne è la nota dominante e il filo conduttore. Tutto il mistero della redenzione si avvolge di questo annuncio gioioso, come se, con Gesù, la gioia stessa facesse irruzione nel mondo per abbracciarlo e trasformarlo. Con la venuta di Cristo, la gioia non è più un sentimento da rincorrere o una mera speranza, ma diventa una realtà concreta. In Lui si compie la pienezza della vita, una completezza che rende superfluo ogni altro grande desiderio. Si potrebbe dire che, come all’alba della creazione una parola di gioia ha dato origine a tutto – “Dio vide che era cosa buona” – così l’inizio della redenzione fa risuonare un nuovo eco di letizia, capace di illuminare le tenebre dell’umano vivere.

La gioia si manifesta ogni volta che si passa dal buio alla luce, quando il cuore si apre a ciò che è vivo: acqua, aria, alberi, animali, ogni elemento della natura canta questa esultanza originaria. Tutto è gioia per chi sa riconoscere nei doni della vita la presenza benevola del Creatore. In questa visione, la tristezza non è altro che la perdita di quella luce iniziale, la distanza dall’annuncio gioioso che accompagna i primi istanti dell’esistenza. Seguendo la narrazione evangelica dell’annunciazione, si comprende che la tristezza si insinua nel cuore quando viene meno il ricordo del saluto iniziale, quando le preoccupazioni quotidiane ci avvolgono e oscurano la coscienza. È come se, dimenticando la prospettiva di gioia donata dal Vangelo, ci lasciassimo imprigionare dalle ombre delle nostre ansie, perdendo di vista il significato autentico della buona notizia.

Non a caso, “Vangelo” significa proprio “buona notizia”: è buona perché spalanca cammini di vita vera, donando senso anche alle fatiche di ogni giorno. È buona perché chi la accoglie con cuore sincero sperimenta una felicità nuova, profonda, che si riflette nelle scelte e nelle relazioni quotidiane. Questa parola, così semplice eppure carica di significato, diventa un seme di eternità: cresce silenziosamente in chi la custodisce, portando frutti di gioia che nulla può togliere. Accogliere il Vangelo significa, dunque, lasciarsi contagiare da questa letizia originaria. È uno stile di vita che trasforma le giornate, dona colore anche ai momenti grigi e restituisce senso alle fatiche. Così, la gioia del Vangelo diventa esperienza viva e concreta, una luce che nessuna tenebra può spegnere, una promessa che accompagna ogni passo dell’uomo nel viaggio della vita.

Chi vive la gioia del Vangelo, la condivide naturalmente con chi incontra, come un dono che si moltiplica nel donarsi. E forse proprio in questa semplicità risiede la forza silenziosa dell’annuncio cristiano: una gioia che nasce da una parola – la Parola – e che continua a germogliare laddove trova cuori pronti ad accoglierla.

lunedì 6 ottobre 2025

COME LEGGI?

 



 

Paolo Cugini

 

Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi? (Lc 10,27).

 

Nel Vangelo, Gesù pone una domanda apparentemente semplice: “Come leggi?”. Non chiede solo cosa si legge, ma soprattutto come si affronta il testo, quale atteggiamento si assume di fronte alla parola. Questa domanda è il cuore del problema ermeneutico: interpretare significa andare oltre la superficie, cogliere il senso profondo, interrogare il testo e lasciarsi interrogare. L’ermeneutica, quindi, non è un esercizio astratto, ma un cammino di responsabilità, che coinvolge il lettore, la sua sensibilità e il suo contesto. Leggere non è semplicemente decifrare parole; è comprendere, entrare in dialogo con il testo. La differenza tra leggere e capire è cruciale, soprattutto quando si tratta di testi sacri come la Bibbia. Una comprensione profonda richiede attenzione, ascolto e apertura: il lettore deve superare la tentazione della fretta e dell’abitudine, lasciando spazio alla meditazione.

Molti si avvicinano ai testi biblici con una lettura letterale, convinti che il senso sia evidente e immediato. Tuttavia, questo approccio presenta limiti significativi. Un’interpretazione superficiale rischia di ridurre la ricchezza del messaggio, ignorando i livelli simbolici, poetici e spirituali che attraversano la Scrittura. La lettera uccide, lo spirito vivifica: la fedeltà al testo non significa rigidità, ma capacità di cogliere il dinamismo della Parola. Il rischio maggiore è scambiare il proprio punto di vista per la verità assoluta, dimenticando che ogni parola nasce in un tempo, in una cultura, in una storia. La Bibbia è figlia di un mondo lontano, ricca di modi di dire, immagini e sensibilità che spesso sfuggono al lettore moderno. Ignorare il contesto storico e culturale porta a fraintendimenti e distorsioni. Comprendere la mentalità dell’autore, le situazioni sociali, le tradizioni religiose è essenziale per cogliere il senso autentico. Lo studio delle lingue originali, delle usanze e delle condizioni politiche aiuta a superare le barriere e ad avvicinarsi al nucleo del messaggio.

L’ermeneutica è l’arte di interpretare, di mettere in dialogo il testo con il lettore e il suo mondo. Lo studio approfondito permette di distinguere il significato originario dalle interpretazioni successive, di evitare letture arbitrarie e personali. Attraverso strumenti storici, linguistici e teologici, lo studioso si fa pellegrino alla ricerca della verità, consapevole che ogni parola è ponte, non muro. La lettura consapevole è esercizio di umiltà: si tratta di accogliere il testo, lasciarsi provocare, accettare la pluralità dei sensi e delle prospettive. Quando si ignora la complessità del testo sacro, si rischia il fondamentalismo: la rigidità interpretativa che trasforma la Parola in arma di divisione, confusione o violenza. La storia è testimone delle tragedie nate da letture errate, dal fanatismo religioso alla manipolazione ideologica. Una lettura distorta può generare conflitti, esclusioni e sofferenze. La responsabilità del lettore è grande: la Parola è dono, non possesso; è chiamata, non pretesto.

“Come leggi?” rimane una domanda aperta, che interpella ogni credente, studioso e lettore. L’interpretazione ermeneutica dei testi sacri è un viaggio che richiede rispetto, intelligenza e cuore. Solo una lettura consapevole, attenta al senso profondo, al contesto e alla pluralità delle voci, può custodire la verità senza tradirla. In un mondo che cerca risposte semplici, la Parola invita a cercare, interrogare e meditare: perché, come dice un antico adagio, “chi cerca trova”, ma solo chi cerca con umiltà trova davvero.

mercoledì 1 ottobre 2025

PRIMA, PERO’

 



 

Paolo Cugini

 

 «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima… Ti seguirò, Signore; prima però (Lc 9, 57s).

 

Nel cammino cristiano, la prontezza nel rispondere alla chiamata divina costituisce il primo segno della verità della sequela. Questo atteggiamento, tutt’altro che scontato, rivela la profondità e la sincerità del nostro incontro con il Mistero di Dio. Le titubanze, che spesso emergono nel cuore umano, infatti, sono indice di un legame ancora forte con i propri progetti e le proprie sicurezze. Il non voler mollare ciò che ci appartiene è umano, ma è anche il termometro che misura il livello del nostro percorso spirituale. Eppure, nel contesto della fede, questa apertura all’ignoto è il primo passo verso il vero incontro. Nella storia cristiana, chi incontra il Signore lo fa in modo totalizzante. Non si tratta di un semplice cambiamento di rotta, ma di una trasformazione che coinvolge tutto l’essere. L’incontro con Dio è, in definitiva, un incontro d’amore: quell’amore che, come afferma il Cantico dei Cantici, è forte come la morte. La totalità dell’amore è la cifra della vera sequela: quando l’amore invade la persona, non lascia più spazio ad altro, riempie completamente l’anima e dà un senso nuovo e pieno all’esistenza.

Tra le pagine del Vangelo, l’incontro tra Gesù e Maria Maddalena nel giorno della Resurrezione è emblematico. Nel dialogo intenso e semplice  “Maria” … “Rabbunì!”  si cela tutto il mistero di un amore che riempie e trasforma. Maria Maddalena, chiamata per nome, risponde con tutto sé stessa; in quell’istante, la sua vita cambia per sempre. È il segno che l’amore autentico non conosce mezze misure: quando è vero, coinvolge la persona nella sua interezza. Il Vangelo stesso è, prima di tutto, parola d’amore. Non è un semplice codice morale, ma l’annuncio di una relazione che dà senso totale all’esistenza. Ogni titubanza che affiora di fronte alla chiamata di Dio racconta una storia: quella di uno spazio interiore che ancora non si è lasciato riempire dal Signore. È come se il cuore fosse una casa dove ancora non si è fatto abbastanza ordine per accogliere l’Ospite più importante. Ed ecco il significato profondo della preghiera. Non è solo una serie di parole o gesti, ma un vero e proprio allenamento quotidiano a svuotarsi di sé. La preghiera diventa, allora, il processo lento e paziente di fare spazio alla Parola, preparare la propria interiorità affinché il Signore possa trovare dimora, non per un momento fugace, ma per sempre. In questa prospettiva, la preghiera si fa esercizio di disponibilità, di apertura, di abbandono fiducioso.

In definitiva, la verità della sequela si manifesta nella prontezza della risposta. Dove c’è titubanza, c’è ancora attaccamento; dove c’è apertura, si rivela l’incontro autentico con il Mistero. L’amore, forte come la morte, è la chiave di volta che trasforma la vita e la rende piena. E il cammino cristiano, sull’esempio di Maria Maddalena, diventa allora una storia d’amore in cui ogni giorno si impara a fare spazio affinché il Signore trovi posto e dimora, per sempre.