sabato 1 febbraio 2025

PRIMA DOMENICA DI QUARESIMA/C

 




Lc 4,1-11

Paolo Cugini


La prima domenica di quaresima, in tutti e tre i cicli liturgici, inizia con la pagina delle tentazioni di Gesù. Per cogliere la profondità del messaggio contenuto in questa narrazione, dovremmo provare a contestualizzarla. Che cosa significa, allora, leggere questa pagina in un contesto post-cristiano? In che modo il paradigma post-teista ci può aiutare a cogliere contenuti nuovi? C’è tutta una lettura religiosa e devozionale che per secoli ha orientato l’interpretazione di questa pagina sottolineando gli aspetti penitenziali e sacrificali, come se la penitenza e il sacrificio fossero strumenti indispensabili per meritarsi la vita eterna. In realtà l’esperienza umana di Gesù narrata in questa pagina è svuotata di qualsiasi elemento religioso. Gli eventi, infatti, non si svolgono in una sinagoga, in uno spazio sacro, ma nel deserto, che potremmo definire un non-spazio, nel senso che non s’identifica con alcun spazio particolare. Quello che Gesù vive nel deserto è un’anticipazione di ciò che vivrà durante la sua vita pubblica. Gesù è un uomo che non è mai stato attratto da desideri di gloria umana, di potere. Gesù è un uomo la cui libertà gli ha permesso di non lasciarsi intrappolare dalla forza degli istinti, che ha sempre saputo orientare nel fine da lui stabilito. È questa, in sostanza, la proposta che emerge dalla pagina delle tentazioni e che ci viene rivolta all’inizio della quaresima, che è un cammino per cogliere con maggior consapevolezza il mistero della vita piena, che si è manifestata nelle scelte di Gesù. È possibile vivere in modo libero e realizzato la propria umanità, senza lasciarsi attrarre da quelle proposte che, alla distanza, provocherebbero delle schiavitù interne e esterne. C’è una possibilità di vita piena, realizzata nel dono libero e gratuito di sé, una vita buona e giusta che è divenuta visibile nella vita di Gesù e, per questo, alla portata di tutti e tutte. 

Il problema, a questo punto, è riuscire a cogliere il metodo che ha permesso a Gesù di vivere in questo modo libero e pienamente realizzato nell’amore e nella giustizia. Nella pagina in questione ci sono delle indicazioni che ci possono aiutare. Gesù rimase “nel deserto per quaranta giorni”: ecco il primo dato. Per riuscire a vivere in modo libero occorre dedicare molto tempo alla propria interiorità, per dirla alla Socrate, occorre curare la propria anima. È questo un compito alla portata di tutti e non è specifico delle persone religiose: tutti abbiamo una dimensione interiore. Il fatto che questa esperienza avviene nel deserto è un altro dato importante, perché ci dice, come affermavo sopra, che non avviene in un ambito religioso. “Non mangiò nulla in quei giorni”. Non si tratta di un’indicazione penitenziale, ma esistenziale. Chiunque ha dedicato periodi prolungati per la meditazione e per la cura interiore, sa molto bene che la vita sobria e l’attenzione a non esagerare nel cibo, aiuta il percorso spirituale di contatto con la propria coscienza. “Tentato dal diavolo”: possiamo tradurre questa espressione con la percezione che la forza degli istinti esercitano su di noi, soprattutto quando siamo immersi nelle preoccupazioni quotidiane, poco attenti alla vita interiore e, quindi, maggiormente vulnerabili sul piano esistenziale. 

C’è una possibilità di vita autentica che ci viene proposta all’inizio del cammino quaresimale. Per entrare in questo cammino dovremmo liberarci dalle incrostazioni religiose che, nei secoli, hanno identificato la quaresima con azioni penitenziali, perdendo l’orizzonte vero della quaresima, che è l’umanità di Gesù, la sua libertà, la sua vita di amore gratuito e disinteressato. Dedicare tempo a questo messaggio, assimilando ogni giorno le pagine di Vangelo proposte, significa coltivare il desiderio di essere persone nuove, più autentiche, proprio come Gesù. Il mondo ha bisogno più che mai di persone così. Approfittiamo, allora del tempo di quaresima per scrollarci di dosso la polvere della religione e indossare l’abito nuovo del Vangelo di Gesù. 


giovedì 16 gennaio 2025

VIII DOMENICA TEMPO COMUNE/C

 




L’uomo buono e il suo frutto

Lc 6, 39-45

Paolo Cugini 


Leggendo attentamente i vangeli ci si accorge che Gesù, più di insistere sulla relazione con Dio, insiste molto sulle relazioni tra i fratelli e le sorelle. Il cammino che Gesù compie con un gruppo di uomini e donne per le strade della Palestina, ha come elemento chiave proprio questo, aiutare u suoi nuovi amici e amiche ad imparare a perdonarsi, ad accogliersi, a considerare il fratello e la sorella non per qualità esterne o per titoli del mondo, ma per quello che sono, per la dignità con ogni persona ha di essere figlia e figlio di Dio. La proposta ha tutta una sua bellezza affascinante, perché è un invito ad un cammino nuovo, una proposta molto diversa da quella che incontriamo solitamente durante il cammino della vita. Proprio per questa novità, dentro questo cammino di umanizzazioni in cui veniamo invitati a migliorare le nostre relazioni umane, possiamo incappare in alcune situazioni che ci possono condurre nel cammino opposto, il cammino della disumanizzazione, Ciò avviene quando incontriamo personaggi strani, che si spacciano da maestri, che creano legami tossici con le persone, legami di dipendenza emozionale ed affettiva. Gesù ci ricorda che: “ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro”. La religione può divenire il campo in cui si creano relazioni di dipendenza, di sfruttamento; relazioni in cui si viene manipolati psicologicamente, condotti verso cammini loschi. Da una parte una parte, c’è una persona giovane desiderosa di approfondire la propria vita interiore. Dall’altra, a volte, in questo cammino spirituale, avvengono incontri che possono rovinare per sempre un’esistenza. A questo punto ci possiamo chiedere: ci sono criteri che ci possono aiutare a capire se abbiamo di fronte una persona autentica o un ciarlatano, una persona buona o un malvagio? Gesù nel vangelo di oggi ce ne offre una importante. “Perché guardi la pagliuzza che è nell'occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?”. Quando nel cammino incontriamo qualcuno che ci vuole insegnare come si vive, che non perde l’occasione per volerci imporre il suo volere, che fa di tutto per metterci in difficoltà anche davanti agli altri, è un grande campanello di allarme, che ci allerta che stiamo entrando in una relazione spirituale tossica, che tenderà a produrre dipendenza e a distruggere la nostra soggettività, annientando l’autostima. Infatti, se c’è un dato chiaro nelle relazioni impostate da Gesù è che il cammino di maturazione umana accompagna le persone ad essere libere, in grado di sviluppare le proprie potenzialità, capaci di volare da sole. Questo tipo di relazione lo si nota molto bene nel rapporto con Pietro. Gesù lo lascia libero di rinnegarlo, per poi recuperalo nelle apparizioni dopo la resurrezione, ponendogli domande che avrebbero permesso a Pietro di rinovare il proprio apostolato. Ogni tentativo di creare dipendenza, di ingabbiare la persona in una ragnatela di precetti, di doveri e di osservazioni negative, sono sintomi che ci troviamo nell’orizzonte di una persona malata, che ha bisogno della libertà degli altri per sopravvivere. “Ogni albero, infatti, si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo”. È questa, un’altra parabola del Vangelo di oggi, che può essere letta nella chiave di lettura che sto indicando. Da persone libere non possono che sorgere cammini di libertà e relazioni autentiche. Al contrario, le relazioni impastate di aggressività, di giudizi severi, di imposizioni assurde stanno indicando che la pianta è malata e va abbandonata al più presto. Non basta entrare in un ambito religioso per sentirci al sicuro dai lupi rapaci, che distruggono le giovani vite. Occorre stare attenti ai frutti buoni, che solo le buone persone possono produrre nella storia e, poi, metterci in cammino e andarle a cercare. 


martedì 31 dicembre 2024

SGUARDO




Paolo Cugini


Ora voi avete ricevuto l'unzione dal Santo, e tutti avete la conoscenza (1 Gv 2,20).

 Il riferimento del versetto è al Battesimo e alla Cresima, che nella chiesa primitiva avvenivano nella stessa notte di Pasqua, dopo un percorso formativo che durava tre anni. L’unzione dello Spirito s’inseriva dunque, nella vita di una persona che aveva già fatto delle scelte, già orientato la propria vita in Cristo. Oltre a ciò, durante tre anni, il neofita aveva assimilato contenuti, fatto conoscenza del Vangelo e dei principali punti fondamentali della Chiesa. Come ci ricorda il Vangelo di Giovanni, “il Paraclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto” (Gv 14,28). Il cammino cristiano è fatto di conoscenza, prodotta dall’amore a Lui: più lo amiamo, più desideriamo conoscerlo. 

C’è, allora, un desiderio di conoscenza del Mistero che dovrebbe animare la nostra vita, un desiderio che ci porta a cercare, approfondire, a voler conoscere sempre di più il mistero che è venuto verso di noi donandoci vita, luce, giustizia e pace. In che modo Gesù ha vissuto la sua conoscenza del Mistero con noi? Mostrando ad ognuno di noi gli aspetti positivi della vita e, in questo modo ci ha trasmesso il valore della nostra vita, ci ha donato dignità. Più conosciamo il Mistero che si è manifestato nella persona di Gesù, più ci dirigiamo alle persone che incontriamo aiutandole a vedere il bene che c’è in loro, toccando, cioè, quelle corde umane che possono risvegliare la dignità della persona. 

Del resto, è proprio questo che Gesù ha fatto con i suoi discepoli e le sue discepole e continua a farlo con noi: non ha guardato ai loro e nostri peccati, ma ha mostrato ad ognuno e ognuna la possibilità di amore e giustizia che vedeva nelle loro anime e nelle nostre. Chi viene accolto da uno sguardo di amore e speranza inizia un cammino che non si fermerà mai. 


lunedì 30 dicembre 2024

IL MONDO PASSA

 




Paolo Cugini


Non amate il mondo, né le cose del mondo! Se uno ama il mondo, l'amore del Padre non è in lui; perché tutto quello che è nel mondo - la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita - non viene dal Padre, ma viene dal mondo. E il mondo passa con la sua concupiscenza; ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno! (1 Gv 2,12s).

 Versetti che rivelano la profondità del cammino spirituale evangelico. È autentico quel cammino che non sente l’attrazione della proposta del mondo, non viene disturbato dalle sue sollecitazioni. La concupiscenza è la prevalenza della materia sullo spirito, che provoca la passione irresistibile. La proposta del mondo agisce sui sensi che, in un’anima protesa verso il Signore, ne coglie i benefici e rimane libera dalle sue pretese. Il mondo esige risposte immediate, mentre la vita spirituale apprende a orientarsi nel tempo. 

La dinamica del mondo è la fretta, quella dello spirito è la pazienza. Il mondo passa, lo spirito rimane. Allenare la propria vita interiore alla dimensione spirituale della vita, significa apprendere a non perdersi nelle dinamiche del mondo. Abitare nel mondo pur non essendo del mondo: è questa la dinamica della vita spirituale, che è la forza della persona che ha scoperto la vita interiore. Vivere nel mondo senza lasciarsi dominare da esso: è il proposito quotidiano di una persona che cerca il bene nella propria vita. 

Il mondo di cui parla Giovanni, non è il cosmo, ma è tutta quella realtà materiale, che non s’interessa della dimensione spirituale e che si alimenta con la schiavitù delle persone, Per questo, per poter ottenere ciò che vuole, vale a dire, il potere sulle persone, fa leva sugli istinti facendo pressione con l’apparenza, esigendo risposte immediate, che non prevedono la mediazione della ragione. Al contrario, la vita spirituale, che lavora sugli obiettivi proposti dal Vangelo, esige tempo, pazienza, riflessione, meditazione. In questa prospettiva risulta chiara l’opposizione mondo e spirito: sono due proposte diverse, che prospettano visioni antropologiche opposte. La persona che ha scoperto la vita interiore e la bellezza della vita spirituale, ha il compito di non vivere sui risultati raggiunti, ma d’impegnarsi ogni giorno a rivolgere il proprio sguardo verso ciò che dura nel tempo. Il contatto quotidiano con il Vangelo, la sua interiorizzazione e l’applicazione nella vita quotidiana di ciò che si medita, sono gli strumenti necessari per vivere in modo differente, per dare un sapore alla vita e puntare tutto su ciò che rimane per sempre.



martedì 24 dicembre 2024

NATALE: MESSA DELLA NOTTE

 




Paolo Cugini

Dipende sempre da dove vediamo le cose, con che occhiali le guardiamo, che punto di vista scegliamo. Così è anche per il presepio. Se infatti, lo guardiamo da dove siamo adesso, dal nostro presente, e scegliamo come punto di osservazione il nostro oggi, allora il presepio ci sembra una cosa del passato, anzi peggio, una fiaba per bambini che non ha nessunissima incidenza sulla vita reale e, spesso e volentieri, non dice più nulla alla vita concreta che viviamo tutti i giorni. E, infatti, i presepi che costruiamo e che visitiamo nelle chiese, sono esattamente la rappresentazione religiosa di come stiamo guardando il mondo, di come stiamo guardando quel mondo, quell’evento che è la nascita di Gesù: come un evento del passato, come una fiaba per bambini, come la narrazione di una storia che non ha più nulla da dire a noi.

Se invece cambiamo di prospettiva, se un giorno decidiamo di guardare quello stesso presepio, se decidiamo di osservare quell’evento da un’altra prospettiva, da quella giusta, e cioè dalla prospettiva di come è venuto fuori, di come è apparso nella storia, di come è stato pensato da Dio, di come è stato annunciato dai profeti sin dal quattordicesimo secolo, ci accorgeremo che c’è qualcosa che non va, che il presepio è tutto sbagliato, un vero e proprio obbrobrio. E infatti, ci possiamo tranquillamente chiedere: se Dio ha preparato l’ingresso del messia nella storia con tantissimo tempo d’anticipo, se lo ha profetizzato con secoli di anticipo, perché allora è entrato nella storia così male, in questo modo così brutto, come se nessuno lo aspettasse, come se fosse un intruso, come se nessuno lo sapesse? E’ davvero molto strano il presepio visto dalla parte della storia. Se Dio aveva iniziato a parlarne sin dai tempi della Genesi, sin dalla benedizione di Giacobbe e aveva continuato a parlarne al tempo di Davide e poi aveva mandato diversi profeti che avevano annunciato la venuta del messia, perché una volta che decise di venire, venne in quel modo veramente disastroso? Avrebbe avuto tutto il tempo a disposizione, anche perché se l’era preso per fare nascere il messia in una casa decente, in una città decente e potremmo aggiungere, da una famiglia decente. E invece no. Nasce a Betlemme, a 11 Km da Gerusalemme e una volta arrivato a Betlemme non c’è nemmeno una casa per accoglierlo al punto da dover nascere in una mangiatoia. Il messia sembra nato in fretta, di sorpresa, senza nessuna preparazione, mentre noi sappiamo benissimo che era stato preparato, che era stato annunziato per tempo, anzi, per molto tempo. Forse riusciamo a capirci qualcosa se poniamo attenzione ad un dettaglio, che è molto più che un dettaglio, ma una vera e propria sorpresa. E infatti, in tutte le profezie non era mai stato detto che a nascere, che a venire al mondo, che ad entrare nella storia non sarebbe stato semplicemente il messia, ma Lui stesso! Questa è la cosa sbalorditiva: Dio stesso si è fatto presente, e cioè quel bambino nato nella mangiatoia è Dio stesso. E’ sbalorditivo perché non l’aveva mai detto nessuno, non l'aveva mai profetizzato nessuno. Nelle tante profezie che leggiamo e abbiamo ascoltato nel tempo di avvento dove si annuncia la nascita di un messia, un salvatore, mai era stato detto e annunciato che questo messia sarebbe stato Lui stesso, Dio.

Si capisce allora, che se è Dio ad essere in quella culla, tutto ciò che lo circonda, il modo nel quale è venuto al mondo, non è casuale. E’ strano per come sono state preparate le cose e cioè in modo minuzioso, non è più strano il perché sia entrato in quel modo. E’ una vera e propria rivelazione. Se Lui è Dio, se Lui è la Vita, se Lui è il Significato di tutto allora il suo ingresso nella storia diventa, si trasforma in un giudizio implicito e impietoso di quella vita costruita indipendentemente da lui nella quale viviamo; la Sua presenza nella storia manifesta il vuoto nel quale l’umanità vive. E allora, il bambino Gesù con la sua presenza discreta si trasforma in un processo di smascheramento delle menzogne nella quale il mono è avvolto. La sua presenza inquieta tutti coloro che fanno della loro vita uno spazio di tranquillità, che hanno fatto della loro vita una terra di riposo, un anestetico contro ogni forma di dolore, di sofferenza, di tragedia. 

Se il bambino nella culla è Dio allora tutto ciò che realizza è il senso della storia. Se appena pone i suoi piedini nel mondo la sua vita è costellata di drammi, ciò significa che il dramma, la tragedia, sono elemento costitutivo della vita umana. E’ questa, forse, una delle primissime rivelazioni del Natale, anzi la più grande e profonda rivelazione della nascita dal salvatore. Gesù ci salva dalla vita artefatta e ci apre gli occhi sul senso autentico della vita che è tragica, drammatica, piena di problemi. Gesù rivela all’umanità che il senso della vita non è fuggire dalle tragedie, schivarle, nasconderle, mascherarle, ma assumerle, viverle, berle fino in fondo. Gesù è nato per bere il calice amarissimo della croce. Ha iniziato a prepararsi a questo dal primo vagito. Gesù a Natale c’insegna che l’uomo, la donna è colui, colei che apprende ad abitare il dramma, ad abitare la tragedia e non a fuggire.

C’è anche un insegnamento spirituale nel presepio, ed è questo. Sin dal primo passettino sulla terra, sin dalle prime mosse il bambino Gesù, il Dio fatto uomo, o meglio, bambino distrugge la religione degli uomini, la destruttura dal di dentro. Se, infatti, valgono le considerazioni fatti poco sopra, e cioè che Dio venendo al mondo mostra che il dramma, la tragedia fanno parte della condizione umana, allora Gesù, il Figlio di Dio, abitando la tragedia umana c’insegna che la vera religione, non insegna a fuggire ai problemi, ma a viverli, a portare il peso delle tragedie. Tutta quella religione, quelle preghiere, quelle devozioni, quelle candele, processioni e roba simile, fatte con l’esclusivo scopo di togliere i problemi, di risolvere i problemi, sono la negazione del Natale, vanno per la strada opposta di quella che Dio ha scelto e mostrato venendo al mondo. L’uomo e la donna religiosi, la vita religiosa che apprendiamo dal presepio è quella che c'insegna a vivere nel dramma, ad abitare la tragedia: è questo il vero miracolo. Solitamente si spaccia per miracolo quando avviene qualcosa che ci toglie il dolore, che ci toglie un peso, che ci risolve un problema. Il presepio c’insegna che il vero miracolo si trova esattamente dall’altra parte, dalla parte opposta, e cioè che il vero miracolo che Dio compie per l’uomo, il vero miracolo che Di fa alla donna, non è quello di risolvergli i problemi, di togliergli dei pesi, ma di aiutarlo a portarli con dignità, di portarli senza cercare fughe, sotterfugi, senza nascondersi. Questo è il Natale,il senso profondo del Natale, il messaggio autentico del Natale. Provarlo a vivere è il nostro compito.



venerdì 6 dicembre 2024

ABITARE LA CONTRADDIZIONE

 





Paolo Cugini


Gli umili si rallegreranno di nuovo nel Signore,

i più poveri gioiranno nel Santo d'Israele.

Perché il tiranno non sarà più, sparirà l'arrogante,

saranno eliminati quanti tramano iniquità,

quanti con la parola rendono colpevoli gli altri,

quanti alla porta tendono tranelli al giudice

e rovinano il giusto per un nulla (Is 29,19s).

Tempo di avvento, tempo di speranza: speranza per cosa? Ce lo suggerisce il profeta Isaia, che esprime il desiderio dell’umanità afflitta, che anela ad un mondo di giustizia, in cui non ci saranno più tiranni che maltrattano i poveri. C’è sete di giustizia nei poveri, perché è dura passare la vita umiliati, maltrattati dagli arroganti di turno. I versetti di Isaia esprimono la conoscenza e l’esperienza di una malvagità che pensa il male, pensa inganni e come rovinare il giusto. È terribile quando nella nostra vita incontriamo persone così, senza scrupoli. Isaia ci ricorda che, nonostante tutto, c’è speranza, vale la pena aspettare e lottare per un mondo più giusto. È come se ci fosse un equilibrio spezzato, che lentamente si ricompone. 

Abitare il disequilibrio provocato dall’arroganza dell’uomo è il segno di una grande spiritualità. Abitare le contraddizioni, resistere nelle situazioni di ingiustizia, non permettere al male di attingere l’anima: è questo il senso di una vita che coltiva l’interiorità, che fa spazio alla luce dello Spirito. Infine, è proprio questo il senso profondo della spiritualità dell’avvento che incontriamo nei brani del profeta Isaia di questi giorni. 


venerdì 22 novembre 2024

IO, GIOVANNI, UDII

 




Paolo Cugini


Io, Giovanni, udii una voce dal cielo (Ap 10,8). 

C’è un udito che va ben al di là del dato fisico. Quelle, infatti, che Gesù ascolta non sono parole umane, che esigono l’attenzione di un orecchio fisico, ma parole che vengono da altrove. Il testo pala di cielo come provenienza dei suoni che Giovanni capta. Senza dubbio si tratta di una metafora che allude ad una realtà che sfugge ai dati sensibili. Perché, infatti, solo Giovanni capta questi suoni, questa voce che viene dal cielo? C’è un udito che dev’essere allenato ad un certo tipo di suono e di voce. È l’orecchio, per così dire, di una coscienza allenata ad orientare il proprio udito verso significati non sensibili, che dicono di qualcos’altro, che ricercano qualcosa d’altro: la voce del Mistero. 

Una voce così profonda e dalle qualità indicibili che attrae coloro che la cercano. Era quello che, solo per fare un esempio, accadeva con Gesù. Dice, infatti, il Vangelo: “tutto il popolo pendeva dalle sue labbra nell’ascoltarlo” (Lc 19,48). Perché il popolo pendeva dalle labbra di Gesù, dalle parole che lui pronunciava? Perché avevano un significato profondo, che rivelava qualcosa di vero alle persone che lo ascoltavano, cioè, a quelle persone che erano alla ricerca di parole significative. Perché i farisei che ascoltavano le stesse parole, non ne erano attratti? Esattamente per il motivo detto sopra, perché non ricercavano parole nuove, perché erano già soddisfatti delle parole che avevano e trovavano nelle loro tradizioni. 

Solamente chi ricerca contenuti nuovi, più veri e autentici riesce ad udire suoni nuovi, che richiedono un udito affinato dalla ricerca e pronto all’ascolto. 


giovedì 21 novembre 2024

ESULTA FIGLIA DI SION!

 



Paolo Cugini


Rallegrati, esulta, figlia di Sion,

perché, ecco, io vengo ad abitare in mezzo a te.

Oracolo del Signore (Zc 2,14). 

Quanto bello è questo versetto! Esprime un desiderio profondo del Mistero di incontrare l’umanità e, questa umanità è felice per questo annuncio, perché percepisce il Mistero come una benedizione. Questa profezia di Zaccaria si realizza con Gesù che, di fatto, come ci ricorda il Vangelo di Giovanni: “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14). La cosa strana è che invece di essere un’esperienza positiva, questo venire del Mistero ad abitare in mezzo all’umanità si è trasformato in un dramma. “I suoi non l’hanno accolto” (Gv 1,11). Quello che i profeti avevano annunciato come un evento carico di gioia, si trasforma in una tragedia. Come mai? Il Mistero manifesta il senso della vita e ella storia, il significato profondo dell’essere creati a sua immagine e somiglianza.

 La sua presenza in mezzo a noi mostra in modo eclatante la deformazione della nostra umanità e la distanza rispetto al progetto iniziale. La luce che il Mistero porta nel mondo illumina la realtà di tenebre nella quale l’umanità è immersa. Chi si abitua a vivere nelle tenebre odia la luce, gli dà fastidio: non la sopporta. Per questo il mondo ha fatto di tutto per spegnerla alla svelta. Come sappiamo, la luce del Mistero non si spegne mai ed è passata dall’esterno all’interno. Tutti coloro che la desiderano la possono accogliere gratuitamente. “Io vengo ad abitare in mezzo a te”. 

La profezia si realizza nello Spirito Santo, in linea con l’altra profezia di Geremia (Ger 31,31s) che annunciava una Nuova Alleanza, non più scritta nella pietra, ma nei nostri cuori, nelle nostre coscienze. Non siamo soli nel cammino di fede, perché il Mistero abita in noi, la luce irradia le nostre coscienze. 


mercoledì 20 novembre 2024

IO, GIOVANNI, VIDI

 





Paolo Cugini 


Io, Giovanni, vidi: ecco, una porta era aperta nel cielo. La voce, che prima avevo udito parlarmi come una tromba, diceva: «Sali quassù, ti mostrerò le cose che devono accadere in seguito (Ap 4,1). 

È interessante questo “vedere” di Giovanni, che lo pone in linea con le visioni dei profeti. Che cosa significa questo vedere? In primo luogo, rivela un’anima aperta verso il Mistero. Non tutti, infatti, sono in grado di vedere al di là dei dati materiali, al di là del presente. Solo una coscienza abituata a cercare il senso delle cose riesce a penetrare al di là del tempo, a vedere quello che umanamente è impossibile vedere, perché l’anima è intorbidita dai residui istintuali, che ne bloccano lo slancio in avanti. In secondo luogo, il vedere di Giovanni dice della relazione di amore con il Maestro, Gesù. Del resto nel Vangelo, Giovanni è chiamato il discepolo amato. Giovanni vede il Maestro ovunque Lui si trovi: lo ama così tanto che non ci sono barriere che tengano. Ci sono amori tossici, che chiudono gli individui in circoli chiusi e angoscianti, al punto da provocare la rottura con le relazioni parentali e amicali, giungendo al soffocamento interno; ed esistono amori che aprono il respiro all’infinito, che accendono luci, che aprono ponti. È questo l’amore che provoca Gesù in coloro che lo incontrano con il cuore aperto e disponibile al cammino con Lui. Un amore non soffocante e protettivo allo sfinimento, ma un amore che, per chi l’accoglie, diventa cammino di libertà, di possibilità infinita. Un amore, dunque, quello di Gesù e per Lui, che non chiude lo sguardo piegandolo sul proprio ombelico, ma lo rivolge al futuro permettendogli di vedere cose straordinarie e, soprattutto, di percepire la dimensione eterna della propria vocazione alla vita. Quello che Giovanni vede e comunica nella pagine del libro dell’Apocalisse è il cammino dell’amore, che tutti siamo invitati a percorrere. 


sabato 9 novembre 2024

XXXIII DOMENICA TEMPO COMUNE B

 




Dn 12,1-3; Sal 16; Eb 10, 11-14.18; Mc 13,24-32



Paolo Cugini


Ci avviciniamo alla fine dell'anno liturgico e le letture ci offrono la possibilità di fare un bilancio del cammino di fede di quest'anno. Il Signore deve diventare sempre più il nostro rifugio, la nostra eredità, il nostro destino, come ci ricorda il Salmo 16, che proclameremo. Forse, non tutto questo è frutto del nostro pellegrinaggio, ma deve essere presente almeno lo sforzo di mettere il Signore e il suo disegno d'amore al centro dei nostri desideri. Solo così potremo guardare al nostro passato non con l'orgogliosa rigidità che ci porta a detestare noi stessi, a causa della nostra incapacità di seguire il Signore, ma con quello sguardo misericordioso che è frutto dello Spirito Santo, che dona pazienza e, allo stesso tempo, una grande forza per continuare il cammino. E questo è ciò che conta.

 «Allora vedrete il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria» (Mc 13,26).

La pagina del Vangelo di oggi è una di quelle che più facilmente vengono fraintese. Quante volte abbiamo ascoltato sermoni che, basandosi su questi versetti, proclamano la fine del mondo, la morte di tutti, provocando negli ascoltatori sentimenti di panico e disagio. In realtà, questi versetti, letti con il desiderio di penetrare i misteri del Regno di Dio, più che suscitare curiosità malsane, rivelano una Parola piena di conforto e di speranza. Dio non vuole gettare nel panico nessuno; al contrario, esprime tutto affinché nessuno vada perduto (cfr Gv 17). Per le persone che amano il Signore, che hanno goduto e assaporato la Parola di Dio per tutta la vita, che si sono sforzate di partecipare alla realizzazione del Suo Regno, non c'è niente di meglio che sapere che il Figlio dell'Uomo verrà con grande potenza e gloria. Il suo arrivo non è motivo di stupore, ma di grande gioia. Inoltre, la sua potenza e la sua gloria indicano un’indicibile pienezza di vita. Non si tratta, infatti, del potere e della gloria umana che, per manifestarsi, sopprime gli altri. La gloria di Dio si è manifestata in Gesù che, affinché potessimo avere la vita eterna, si è lasciato massacrare. È da questa vita che vogliamo rifornire la nostra anima, affinché anche noi possiamo dare la vita ai nostri amici, che il Signore metterà sul nostro cammino. La potenza del Signore non è fatta di armi che uccidono, ma di una Parola che dona la vita. Il Vangelo, infatti, è la forza di Dio «per la salvezza di chiunque crede» (Rm 1,16). Se la potenza e la Gloria di Dio manifestano la qualità della Sua vita, nella Sua Parola e nel Suo modo di essere, che senso hanno i cataclismi che il Vangelo annuncia come manifestazioni esterne di questo evento?

Ancora una volta, chi si accosta alla Parola di Dio in modo materiale e istintivo, non potrà raggiungere la profondità del messaggio di Gesù. Infatti, con queste espressioni di carattere apocalittico, Gesù unisce le grandi predicazioni profetiche dei secoli passati nella storia di Israele, predicazioni che si preoccupavano di ammonire il popolo a non allontanarsi dalla via della Legge, con il desiderio di vedere il popolo di Dio appassionato del proprio Creatore e non perso nel fango del peccato, come purtroppo spesso è accaduto. È da questo sfondo apocalittico di carattere profetico che Gesù usa per avvisare i suoi “Eletti” della sua futura venuta. Niente, dunque, di così sorprendente e terrificante, come molti ancora oggi amano presentare il messaggio di Gesù che, al contrario, è pieno di comprensione e di misericordia verso di noi. Inoltre, vale la pena notare che Gesù non ha mai fatto la testa a nessuno e non ha mai spaventato nessuno inducendolo a seguirlo. Al contrario, la sua unica arma era una proposta libera, basata sul dialogo e sulla testimonianza personale.

 «Egli manderà gli angeli ai quattro angoli della terra e radunerà gli eletti di Dio da un'estremità all'altra della terra» (Mc 13,27).

Per Dio siamo noi gli eletti che vuole proteggere da ogni pericolo, per questo invierà gli angeli ai quattro angoli della terra per venirci a prendere. Eletto è ogni uomo, ogni donna che risponde alla chiamata di Dio proposta da Gesù nello Spirito Santo, con una vita dignitosa e senza peccato (cfr Ef 1,1-15). Ciò significa che queste parole spesso presentate come “stupefacenti” sono in realtà un invito implicito di Gesù a prendere più sul serio la sua Parola, il nostro Battesimo, affinché possiamo vivere sempre con Lui, insieme al Padre e allo Spirito Santo, perché non ci lasciamo confondere dalle parole deboli del mondo, dalle sue proposte illusorie, e così camminiamo sempre con fermezza, con lo sguardo fisso su Cristo, che è morto e ha dato la sua vita per noi. Così ci ricorda oggi la lettera agli Ebrei: «Cristo, dopo aver offerto un solo sacrificio per i peccati, si è seduto alla destra di Dio per sempre. Non gli resta altra scelta che attendere che i suoi nemici siano messi sotto i suoi piedi» (Eb 10,12-13).

 Non è qualcosa di fantastico sapere che Gesù ci aspetta? Ha creato il cammino dell’amore affinché tutti potessimo percorrerlo con più determinazione. È un'attesa non rassegnata, ma piena di speranza, perché il Verbo di Dio si è fatto uomo e ha sperimentato in una carne come la nostra non il peccato, ma le sue conseguenze. Possiamo, dunque, ora fidarci della sua proposta, della sua Parola, accogliere il suo Spirito, per affrontare con coraggio il cammino della luce in questo mondo di tenebre, nella certezza che, con il tempo, impareremo a vivere nella luce. È Lui, infatti, che ha sconfitto le tenebre e solo accogliendo la sua luce possiamo vivere come figli della luce (cfr Ef 3).


«Le mie parole non passeranno» (Mc 13,31).

Solo chi si metterà umilmente sulle orme del Signore, lasciandosi guidare dallo Spirito, potrà assaporare la verità di questo stupendo versetto. L'Eucaristia di questa XXXII domenica dell'anno B ci aiuti a scoprire il mistero dell'eternità della Parola di Dio.