Paolo
Cugini
Prima lettura: Dt 8, 2-3. 14-16
Mosè
parlò al popolo dicendo: «Ricordati di tutto il cammino che il Signore, tuo
Dio, ti ha fatto percorrere in questi quarant'anni nel deserto, per umiliarti e
metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore, se tu avresti
osservato o no i suoi comandi. Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare
la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri
non avevano mai conosciuto, per farti capire che l'uomo non vive soltanto di
pane, ma che l'uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore. Non
dimenticare il Signore, tuo Dio, che ti ha fatto uscire dalla terra d'Egitto,
dalla condizione servile; che ti ha condotto per questo deserto grande e
spaventoso, luogo di serpenti velenosi e di scorpioni, terra assetata,
senz'acqua; che ha fatto sgorgare per te l'acqua dalla roccia durissima; che
nel deserto ti ha nutrito di manna sconosciuta ai tuoi padri».
Commento
Perché la
liturgia ci fa leggere questo brano nel giorno in cui celebra la solennità del
Corpus Christi? Non sarebbe stato meglio leggere il brano di Es 12, che ricorda
la prima Pasqua ebraica? Anche il Vangelo di questa liturgia non riporta la
narrazione dell’ultima cena di Gesù, ma Gv 6, che è uno dei significati dell’eucaristia.
Quindi, anche questo testo del
Deuteronomio vuole offrire un contenuto d’interpretazione del rito, ed è in
questa prospettiva che lo leggiamo. Ricordati di tutto il cammino che il
Signore, tuo Dio, ti ha fatto percorrere in questi quarant'anni nel deserto
(Dt 8,2).
Prima di
tutto ci dev’essere un ricordo di un cammino, che è il cammino della nostra
vita che non è casuale, ma che è guidato dalla mano provvidenziale del Signore.
Si entra nell’assemblea della domenica con questo ricordo, con la percezione di
essere in un cammino che, per sua natura è lungo. Viene detto anche che il
cammino si compie nel deserto e ciò significa che non è rettilineo, non è una
progressione veloce verso una meta visibile, ma un cammino in cui spesso ci si
perde, perché nel deserto non ci sono indicazioni, non s’intravede la meta. Nel
deserto l’unica certezza che si ha è quello che si ha nel cuore, per questo diventa
importante il versetto successivo: per umiliarti e metterti alla prova, per
sapere quello che avevi nel cuore. Non si può far parte dell’assemblea
eucaristica se non si ha il contatto con il proprio cuore, con la propria
coscienza, con la consapevolezza di quello che siamo, delle nostre fragilità, di
quello che abbiamo nel cuore. Tra le cose che troviamo nel cuore c’è anche il
nostro modo di cogliere Dio, di pensarlo. Il cammino nel deserto della vita
dovrebbe condurci a distruggere gli idoli che ci simo costruiti, le fantasie su
di Lui, per fare spazio alla sua manifestazione, a come Lui desidera presentarsi
a noi., Per questo il tempo di deserto, che è il senso del cammino della nostra
vita, è tempo di umiliazioni, perché dovremo accettare che ci siamo sbagliati
su di Lui, che abbiamo lasciato spazio affinché gli altri ci convincessero
della loro religione, quella religione sociale che troviamo a buon mercato sin
dalla nascita; quella religione di comodo che nessuno mette in discussione,
sino a quando nel deserto della vita scopre che il dio di quella religione corrisponde
solo ad interessi umani, tremendamente umani. Questo tipo di umiliazione
diviene fondamentale per lasciare spazio al pane di vita, che è il Vangelo, la
Parola del Signore, che è la vera vita, la luce, l’amore di cui siamo plasmati
e che è il senso profondo della nostra vita, del nostro cammino.
Vangelo: Gv 6, 51-58
In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane
vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane
che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui
darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi
dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue,
non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la
vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Perché la mia carne è vero
cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue
rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io
vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il
pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono.
Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
Commento
Chi mangia la mia carne e beve il
mio sangue rimane in me e io in lui.
È comoda pensare che il rito, la sua
partecipazione, risolva tutti i problemi della vita cristiana. Lo si è visto
molto bene nelle settimane in cui molti cattolici (molti, ma non tutti)
esigevano la riapertura delle chiese per poter celebrare il culto domenicale.
Come se nel culto si risolvesse la vita cristiana, Sventrare il culto per
cogliere l’essenza del messaggio che contiene: è il senso della liturgia di
oggi.
Di che cosa sta parlando Gesù? Di che
sangue e di che carne sta parlando? Certamente non stava mettendo il discorso
sul piano materiale, cioè non stava parlando delle sue fibre muscolari, del suo
plasma, piastrine, dei suoi globuli rossi e bianchi, così come probabilmente
intendevano i suoi interlocutori. E allora di cosa parlava, a cosa alludeva? La
sua carne è la sua persona, il suo stile, il suo modo di stare nel mondo in
mezzo agli altri; le sue scelte, la sua sete del Padre. Mangiare la sua carne
vuole dire, allora, assimilare questo specifico stile di essere presente al
mondo nella storia degli uomini e delle donne, masticarlo, ruminarlo, che vuole
dire pensarlo, assimilarlo, meditarlo, dedicare tempo per farlo proprio.
E cosa vuole dire Gesù quando invita
gli ascoltatori a bere il suo sangue? Che cosa simbolizza il sangue nella
tradizione giudaica? La vita. Quanto sangue vedevano gli israeliti quando
andavano al tempio! Il Sangue di Gesù è la sua vita donata gratuitamente. Bere
il suo sangue significa questo: pensare a come ha donato la vita, amando i suoi
che erano nel mondo sino alla fine; amando sino al punto da lasciarsi
consegnare al nemico da uno dei suoi discepoli. Bere il suo sangue significa
questo, vivere in modo gratuito e disinteressato, donando la vita per le
sorelle e i fratelli, soprattutto i più bisognoso, per coloro che non contano
nulla, per lo meno per la società.
Più che moltiplicare delle messe e
azzannarci per riavere a tutti i costi i nostri riti, anche a scapito della
salute degli altri, si tratta di aiutarci a vivere ciò che riceviamo nella
celebrazione eucaristica: un pane, una vita spezzata per noi e un sangue
versato per amore di tutti, affinché tutti possano avere la possibilità di
uscire dai torbidi cammini religiosi per entrare umilmente nel cammino del
Signore. Dietro a Lui.
Sangue dalla flagellazione,Sangue e sudore sul lino della Veronica,Sangue dalla fronte e dal capo di Gesù causato dalla corona di spine,Sangue dai piedi e dalle mani causate dai chiodi in croce,Sangue dal costato insieme all'acqua.Pane come carne di Gesù,Sangue come vera bevanda di vita dal Calice dell'ultima cena,Prezioso come l'Acqua che lava vicendevolmente i piedi dei discepoli e che concretizza il significato della vita dei cristiani che si nutrono del Signore vivendo a sua imitazione.
RispondiEliminaBuona festa del Corpo e del Sangue di Gesù.