DOMENICA II
DI QUARESIMA
(Gen 15,5-12.17-18; Sal
27; Fil 3,17-4,1; Lc 9,28-36)
Paolo Cugini
1. Interpretando le letture di oggi a partire dal contesto liturgico nel
quale ci troviamo, possiamo affermare che il tempo di quaresima è un momento in
cui ci viene offerta la possibilità di uscire fuori ( cfr. Gen 15, 5s), di
salire verso l’alto (cfr. Lc 9 28s.). Sono questi, due
movimenti che indicano la stessa esigenza: per ascoltare la voce del Signore e
cogliere la sua volontà, è necessario portarsi fuori, cercarlo, fare la fatica
di salire verso Lui. É vero che in Gesù Dio si è rivelato, manifestato, si è dato a conoscere. Per comprendere, però, la verità di questa rivelazione, è necessario uno sforzo umano, che è la fatica del conoscere. Qualsiasi esperienza conoscitiva è faticosa, tanto più una conoscenza di tipo spirituale, che non è immediata. La quaresima, allora, in questa prospettiva, è un faticoso cammino di uscita da se stessi, dai propri
idoli, dalle proprie idee su Dio e la religione che con il tempo ci siamo fatti
e che necessitano di un confronto con Gesù, Il Verbo di Dio fatto carne. La Quaresima é un tempo
faticoso di salita, che richiede l’abbandono delle proprie sicurezze, di
qualsiasi tipo esse siano, l’abbandono soprattutto di uno stile di vita
essenzialmente materiale, basato sulle cose, nella ricerca quotidiana di una
realizzazione materiale. La quaresima ci invita ad alzarci dal letto delle
nostre comodità, delle nostre abitudini, per metterci alla ricerca di uno stile
di vita più autentico, più umano, quello stile di vita che Gesù ha manifestato
e che, per essere vero e visibile, deve essere incarnato. Il fatto che Dio
conduca Abramo fuori per rivelargli il contenuto dell’alleanza e che Gesù chiami
Pietro, Giacomo e Giovanni per salire la montagna e, così, manifestarsi nello
splendore della sua divinità, significa che la vita di fede é un continuo
cammino di uscita e di salita verso l’alto. La ricerca di Dio, la sete di Dio:
mi sembra che sia questo che la liturgia di oggi voglia farci riscoprire. E
allora mettiamoci in cammino, accettando la fatica del pellegrino desideroso di salire verso l’alto per scoprire che cosa c'è sopra e al di là della
montagna. Senza questo desiderio è difficile realizzare un’autentica esperienza
di fede.
2. “Mentre pregava il suo volto cambiò di aspetto e la sua veste divenne molto bianca e brillante” (Lc 9, 29).
Che cosa incontriamo sul monte? La rivelazione dell’identità di Gesù, il
quale è si uomo come noi, ma è vero Dio. Questa rivelazione di sé, Gesù non la offre per creare delle distanze ma,
al contrario, per indicare la nostra vera identità di figli di Dio e, in questo modo, stabilire un’approssimazione impressionante con Lui. Per questo è necessario compiere la fatica di uscire fuori dalle nostre mentalità, e fare la
fatica di salire là dove Dio desidera condurci, perché è troppo grande il
mistero e noi finiremmo per non crederci. Dio, inviandoci il suo Figlio Gesù,
ci vuole dire che il senso della nostra esistenza è di divinizzare la nostra
natura. Era quello che Pietro diceva in
una delle sue lettere: “Ci sono state
date le preziose e grandissime promesse affinché voi diventaste partecipi della
natura divina” (2 Pt 1,4).
Anche Paolo é dello stesso parere quando, in una sua lettera, afferma:
“Soffro affinché Cristo sia formato in
voi” (Gal, 4,19). Quella bontà, mansuetudine, quell'amore per i fratelli e le sorelle, quella sete di giustizia che conduceva
Gesù ad affrontare senza paura i potenti
ipocriti del tempo, quel desiderio di pace che lo condusse a perdonare i suoi assassini, quella ricerca profonda di Dio Padre che manifestava nelle notti in
profonda preghiera, tutto questo deve formarsi in noi. Tutto ciò che leggiamo
nel Vangelo di Gesù non serve appena per una conoscenza storica, ma è la
rivelazione di ciò che noi dobbiamo diventare. Per questo riceviamo il Suo
Spirito nel Battesimo e ci cibiamo del Suo corpo nell'Eucaristia: per divenire
come Lui. Gesù deve divenire giorno dopo giorno lo specchio della nostra anima
(cfr.
2 Cor 3,18).
3. Come é possibile questo cammino di trasfigurazione della nostra umanità? In
che modo Cristo, il suo stile di vita, il suo amore può plasmare la nostra
esistenza?
“Mentre pregava il suo volto cambiò di aspetto” (Lc 9,29). La vita cristiana è una imitazione di Gesù (non
solo, ma anche questo). Lo dice anche san Paolo nella seconda lettura di oggi:
“Siate miei imitatori” (Fil
3, 17). La nostra umanità si trasforma in quella di Gesù nella
preghiera. Il problema a questo punto è: che cos'è la preghiera? Com’era la
preghiera di Gesù? Nel Vangelo non incontriamo un trattato sulla preghiera, ma
degli episodi che mostrano il modo di pregare di Gesù. Tutte le volte che Gesù pregava, si isolava, cercava dei luoghi deserti. Prima di morire sappiamo che
Gesù si isolò nel monte degli ulivi. Altro dato interessante è che Gesù pregava
dedicando molte ore soprattutto di notte o all'alba (cfr Mc 1,35; Lc 4,42; Lc
6,12). Sarebbe interessante
prendere l’occasione di questa santa quaresima per rivoluzionare la nostra
preghiera, per uscire dai nostri infantilismi spirituali e salire verso una
forma di preghiera più adulta, quella di Gesù per l’appunto. Pregare come Gesù pregava è dedicare tempo al Signore e cioè stare con Lui, sentire il desiderio
e la gioia di passare del tempo con lui. E non i ritagli di tempo, ma i momenti
migliori come la notte o l’alba. Puó sembrare una proposta assurda, ma l’ho già vista fare non solo da monaci e monache, ma anche da uomini e donne, padri e
madri di famiglie. Il problema è capire che cosa vogliamo e che cosa per noi è davvero importante. Se durante questa quaresima il Signore ci aiuterà a capire
l’importanza della preghiera nella nostra vita personale, familiare e
comunitaria per la trasformazione della nostra umanità, allora tireremo su le
nostre maniche per fare un pó di ordine nelle nostre esistenze. Non si prega
perché non si vuole e non perché non si ha tempo. Non si prega perché non se ne
capisce il valore, l’importanza, il significato. Non si prega e non si insegna
a pregare, perché il nostro tempo è pieno di altro e questo altro lo abbiamo
lasciato entrare noi. Il tempo di quaresima è un tempo di grazia per
ridefinire gli obiettivi della nostra vita, per dirci davvero in faccia in che
cosa crediamo, al di là delle apparenze che vogliamo a tutti i costi salvare
per non dover cambiare.
4. “I
discepoli rimasero in silenzio e in quei giorni non dissero a nessuno
niente di ció che avevano visto” (Lc 9, 36).
Anche questo breve versetto è da prendere sul serio nel nostro cammino
spirituale. Apprendere ad interiorizzare, a meditare ciò che il Signore ci sta
dicendo senza buttarlo subito fuori, trasformandolo in materiale di
discussione. Fare silenzio su ciò che é importante nella vita per uscire dal mare
della banalità e superficialità nella quale nuotiamo tutti i giorni. Diventare
persone profonde, che hanno una parola differente da dire dalle altre, una
parola che viene dal silenzio e che è il frutto della nostra risposta personale ad un Dio che ci chiama e
ci vuole diversi, più uomini, più donne, in una parola: discepoli del Signore e
testimoni del suo amore.
A volte provo a pregare come descrivi nella tua riflessione sulle letture di oggi…. Per me è quasi impossibile "fare silenzio" nella mia mente per ascoltare Dio. Non ridete, è proprio così! I pensieri si sovrappongono continuamente in un caos inimmaginabile. Dopo un poco di continui tentativi, se va bene, per qualche attimo c'è silenzio... poi mi assopisco. Mi vergogno ma è così! "Come si prega?" è la domanda alla quale non ho ancora trovato risposta. Ammiro quindi chi riesce ad entrare in dialogo intimo con Lui; non li invidio, anzi, provo sincera gioia per chi ci riesce!
RispondiEliminaDa parte mia continuo a fasi alterne nel tentativo goffo di pregare sapendo che Lui mi accoglie così come sono, magari ridendoci sopra quando, per l'ennesima volta, mi assopisco.
Sono certo però che quanto proposto da te nella riflessione sia la verità!
«Per ogni cosa c’è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo [...] un tempo per tacere e un tempo per parlare» (Qoelet, 3, 1.7). Un caro amico, padre Antonio, abate del monastero benedettino di San Pietro di Sorres, nel nord della Sardegna, mi ha recentemente detto che sono sempre di più le richieste di alloggio per alcuni giorni, o anche per un’intera settimana, nei monasteri - in ltalia o nel resto d’Europa - da parte di uomini e donne “in carriera”, oberati dal lavoro e dagli impegni quotidiani e desiderosi di una sosta rigenerante, fatta di preghiera, di bellezza e, soprattutto, di silenzio.
RispondiEliminaAl giorno d’oggi risulta quasi paradossale parlare del silenzio e dello stare soli con se stessi e con Dio; nessuno vuole stare solo, né socialmente né mentalmente: abbiamo escluso il silenzio dalle nostre esistenze e ci consegniamo a tutti i tipi di occupazione e d’intrattenimento per sfuggire dalla nostra interiorità. Anche quando si dovrebbe sostare a riflettere e a meditare, a causa di un fatto particolarmente grave o di un lutto, non si riesce a non infrangere il silenzio; non lo si tollera e, spesso, in quei frangenti si ricorre a banali frasi di circostanza, oppure si preferisce far risuonare un applauso (!?). Ma quanto bene farebbe sostare un poco nel raccoglimento, per fare il punto della situazione e per cercare di raggiungere il centro del proprio essere, senza temere di trovarsi soli con se stessi, nell’interiorità del proprio cuore. Ho sempre apprezzato molto i momenti di silenzio durante la giornata, in particolare al primo mattino, quando tutto tace e ancora dorme, prima di intraprendere le tante attività frenetiche di ogni giorno. I padri del deserto hanno fatto del silenzio uno dei pilastri principali della loro vita eremitica ed ascetica e mi piace ricordare cosa dice san Benedetto nella sua Regola. Egli affronta l’importanza del silenzio nel sesto capitolo, benché non manchino riferimenti ad esso nel resto dell’opera.
Sull’argomento, il padre dei monaci d'Occidente fa eco alla tradizione monastica anteriore; il silenzio di cui parla San Benedetto, la taciturnitas , non è solo silenzio materiale, ma un’attitudine del cuore, indispensabile per ascoltare la Parola di Dio e prestare attenzione alle esigenze dei fratelli. Il silenzio non consiste nell’assumere un atteggiamento di mutismo orgoglioso e aggressivo, ma è totale disponibilità ad accogliere la Parola del Signore e umile attenzione alle necessità degli altri. Ecco perché il silenzio che la Regola benedettina impone può essere interrotto quando un atto di carità dovesse richiederlo.
Anche San Francesco ricordava spesso ai fratelli di trovare tempo per ritirarsi in disparte e fare esperienza di eremo e di silenzio. Nel silenzio c’è una forza di purificazione, di chiarificazione e di comprensione dell’essenziale: per questo il silenzio è fecondo. Un momento di silenzio, anche molto breve, è come una sosta santa, un riposo sabbatico, una tregua dalle preoccupazioni quotidiane. Il tumulto dei nostri pensieri può essere paragonato alla tempesta che colpisce la barca dei discepoli sul mare di Galilea, mentre Gesù stava dormendo. Come loro anche noi possiamo sentirci senza aiuto, pieni di ansietà ed incapaci di rasserenarci, ma Cristo è sollecito nel venire in nostro aiuto. Gesù rimprovera il vento e il mare e... li fa tacere: poi «ci fu una grande calma». Egli può donare calma al nostro cuore quando è agitato, a causa della paura e delle preoccupazioni. «Il nostro cuore è inquieto, Signore, finché non riposa in Te», scrive Sant’Agostino nelle Confessioni . Quando le parole ed i pensieri si fermano, Dio è lodato in un silenzio di stupore e ammirazione. Bellissimo è il brano del profeta Elia (1Re, 19) che, cercando Dio, pensò di doverlo trovare nel fuoco impetuoso, nel tuono e nella tempesta, ma il Signore non era in nessuno di quei potenti fenomeni della natura; quando tutto il rumore cessò, Elia udì «il mormorio di un vento leggero» e Dio gli parlò.
RispondiEliminaIn questo cammino quaresimale, da poco intrapreso, è necessario ripartire dal silenzio, da quella dimensione di calma interiore che consente alla voce di Dio di risuonare nella profondità del nostro spirito, dandoci la possibilità di andare incontro a Lui. Il nostro deve essere un tipo di silenzio che evita le risonanze aggressive e i risentimenti, che nasce dall’umiltà e risveglia l’amore verso tutti. Il silenzio ci apre alla totale disponibilità ad accogliere la Parola di Dio; ci insegna a guardare dentro noi stessi e ad essere attenti agli altri. Perché solo l’esperienza vissuta nella nostra solitudine interiore ci consente d’incontrare Dio e noi stessi, per poter favorire e sostenere i nostri gesti di carità verso i fratelli. Un silenzio che si apre al mistero, anzi... che ne diviene tempio e dimora. Buona Quaresima, carissimo don Paolo, a te, a me e a tutti coloro che si professano discepoli di Gesù!!
Credo di essere fortunata perché naturalmente amo cercare il silenzio e salire anche semplicemente su una piccola collina,cio'produce intimità e pace.Il silenzio nella ricerca di Dio e l'attesa portano all'apertura del cuore e della mente per conoscere meglio la Parola e purificarci.Questo dona gioia
RispondiEliminaIl nostro parroco oggi ci ha ricordato di assomigliare a Gesù mentre il suo volto si Trasfigura,i volti tristi,i musi lunghi non somigliano al volto di Gesù e ad alcune belle icone orientali che rappresentano la Trasfigurazione,ci ha indicato che c'è una Via per avere volti luminosi anche quando si è nella prova.
Come segno di Trasfigurazione abbiamo paragonato le nostre vite a una nocciola dal guscio duro ma dalla polpa tenera,lo schiaccianoci(paragonato alla Parola e alla preghiera) rompe la corazza esterna per mostrare il frutto.
Ringrazio Dio per aver avuto e per avere dei pastori che mi hanno indicato e mi indicano la Via per imparare a pregare... percorso lungo e mai interamente compiuto e a conoscere cosa ci trasmette il Vangelo,la vita di Gesù per poi mettere in pratica con l'esempio nel quotidiano con piccoli gesti di pazienza,riconciliazione,onestà,accoglienza,amore.
Un esempio di una bella esperienza che porta a meditare è il ritiro di Quaresima di oggi con don Matteo dove,dalla lavanda dei piedi alla Passione di Gesù raccontata da Giovanni,ho/abbiamo intravisto aspetti nuovi(almeno per me)dell'Amore profondo e liberante del Cristo verso i suoi discepoli che dubitano,rinnegano e tradiscono e verso sua Madre che è Madre dell'umanità intera,che dimostrano che solo perché siamo amati siamo credenti e in quanto amati diventiamo amanti