giovedì 16 gennaio 2025

VIII DOMENICA TEMPO COMUNE/C

 




L’uomo buono e il suo frutto

Lc 6, 39-45

Paolo Cugini 


Leggendo attentamente i vangeli ci si accorge che Gesù, più di insistere sulla relazione con Dio, insiste molto sulle relazioni tra i fratelli e le sorelle. Il cammino che Gesù compie con un gruppo di uomini e donne per le strade della Palestina, ha come elemento chiave proprio questo, aiutare u suoi nuovi amici e amiche ad imparare a perdonarsi, ad accogliersi, a considerare il fratello e la sorella non per qualità esterne o per titoli del mondo, ma per quello che sono, per la dignità con ogni persona ha di essere figlia e figlio di Dio. La proposta ha tutta una sua bellezza affascinante, perché è un invito ad un cammino nuovo, una proposta molto diversa da quella che incontriamo solitamente durante il cammino della vita. Proprio per questa novità, dentro questo cammino di umanizzazioni in cui veniamo invitati a migliorare le nostre relazioni umane, possiamo incappare in alcune situazioni che ci possono condurre nel cammino opposto, il cammino della disumanizzazione, Ciò avviene quando incontriamo personaggi strani, che si spacciano da maestri, che creano legami tossici con le persone, legami di dipendenza emozionale ed affettiva. Gesù ci ricorda che: “ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro”. La religione può divenire il campo in cui si creano relazioni di dipendenza, di sfruttamento; relazioni in cui si viene manipolati psicologicamente, condotti verso cammini loschi. Da una parte una parte, c’è una persona giovane desiderosa di approfondire la propria vita interiore. Dall’altra, a volte, in questo cammino spirituale, avvengono incontri che possono rovinare per sempre un’esistenza. A questo punto ci possiamo chiedere: ci sono criteri che ci possono aiutare a capire se abbiamo di fronte una persona autentica o un ciarlatano, una persona buona o un malvagio? Gesù nel vangelo di oggi ce ne offre una importante. “Perché guardi la pagliuzza che è nell'occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?”. Quando nel cammino incontriamo qualcuno che ci vuole insegnare come si vive, che non perde l’occasione per volerci imporre il suo volere, che fa di tutto per metterci in difficoltà anche davanti agli altri, è un grande campanello di allarme, che ci allerta che stiamo entrando in una relazione spirituale tossica, che tenderà a produrre dipendenza e a distruggere la nostra soggettività, annientando l’autostima. Infatti, se c’è un dato chiaro nelle relazioni impostate da Gesù è che il cammino di maturazione umana accompagna le persone ad essere libere, in grado di sviluppare le proprie potenzialità, capaci di volare da sole. Questo tipo di relazione lo si nota molto bene nel rapporto con Pietro. Gesù lo lascia libero di rinnegarlo, per poi recuperalo nelle apparizioni dopo la resurrezione, ponendogli domande che avrebbero permesso a Pietro di rinovare il proprio apostolato. Ogni tentativo di creare dipendenza, di ingabbiare la persona in una ragnatela di precetti, di doveri e di osservazioni negative, sono sintomi che ci troviamo nell’orizzonte di una persona malata, che ha bisogno della libertà degli altri per sopravvivere. “Ogni albero, infatti, si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo”. È questa, un’altra parabola del Vangelo di oggi, che può essere letta nella chiave di lettura che sto indicando. Da persone libere non possono che sorgere cammini di libertà e relazioni autentiche. Al contrario, le relazioni impastate di aggressività, di giudizi severi, di imposizioni assurde stanno indicando che la pianta è malata e va abbandonata al più presto. Non basta entrare in un ambito religioso per sentirci al sicuro dai lupi rapaci, che distruggono le giovani vite. Occorre stare attenti ai frutti buoni, che solo le buone persone possono produrre nella storia e, poi, metterci in cammino e andarle a cercare.