lunedì 14 aprile 2025

La canna Incrinata (lunedì santo)

 



Paolo Cugini

Non griderà né alzerà il tono,

non farà udire in piazza la sua voce,

non spezzerà una canna incrinata,

non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta (Is 42,2).

Lo stile del Servo de Jahvé annunciato da Isaia è lo stesso che s’intravede nella vita di Gesù. Ha portato, infatti il diritto e la giustizia alle nazioni non scegliendo i punti importanti dal punto di vista del mondo, come palazzi, castelli, ma quelli che contano dal punto di vista del Mistero. E così, lo troviamo annunciare il Regno di Dio per le strade della Galilea, sulle rive del Lago, nei piccoli paesini come Cafarnao. Lo troviamo nelle case dei pubblicani e peccatori, ma anche dei farisei come Simone. Gesù propone il Regno di Dio non con argomenti astratti, ma con parabole, con parole alla portata di tutti e tutte. E poi si ferma per spiegare, affinché il messaggio possa essere compreso. 

Gesù ha annunciato il diritto alle Nazioni con la sua stessa vita, condividendo la situazione d’indigenza del popolo, schierandosi sempre dalla parte di color che erano perseguitati, allontanati dalla comunità, come i lebbrosi, considerati impuri come la donna che perdeva sangue. Gesù ci ha mostrato che il diritto, la giustizia non son concetti che vanno insegnati dalla cattedra, ma modi di essere al mondo che vanno condivisi. Gesù è entrato a contatto con un’umanità molto fragile e stanca dei soprusi dei potenti, un’umanità incrinata e Lui con delicatezza l’ha raddrizzata. È venuto a porre una mano per proteggere dal vento quella parte di umanità che era come uno stoppino dalla fiamma smorta. Dove c’era sofferenza e dolore, Gesù ha portato il balsamo del suo amore. 

È proprio su questo metodo che vale la pena riflettere, per tentare di cambiare le dinamiche di aggressività che dominano le nostre relazioni, in uno stile di vita segnato dalla mansuetudine e dall’attenzione all’altro per andare incontro all’umanità stanca e sofferente, con delicatezza. 


giovedì 10 aprile 2025

DOMENICA X/C DEL TEMPO COMUNE

 




1 Re 17,17-24; Ps 29; Gal 1,11-19; Lc 7,11-17


Paolo Cugini

1. Dopo le tante domeniche solenni che abbiamo celebrato in questi ultimi mesi del periodo di Pasqua e Pentecoste, la liturgia ritorna al Tempo Comune e ci rimarrà per alcuni mesi, sino al Tempo d’ Avvento che avverrà alla fine di novembre. In questo Tempo Comune avremo l’opportunità di riflettere sui temi significativi del nostro camminare quotidiano, scoprendo i significati che la Parola di Dio dà ai contenuti sui quali lavoriamo giorno dopo giorno. In questa domenica, che é la decima del tempo comune, tempo che era iniziato subito dopo il tempo di Natale, il tema che ci viene proposto é quello della vita. Sia la prima lettura che il Vangelo ci parlano della resurrezione di una persona giovane. Nella prima lettura si parla della resurrezione di un bambino, mentre nel Vangelo é narrata la risurrezione di un ragazzo. In tutti i due i casi un giovane morto viene restituito vivo alla propria madre. La domanda che potremmo rivolgerci é questa: che insegnamento riceviamo da queste narrazioni di risurrezione?

2. Un morto dal punto di vista spirituale potremmo indicarlo come colui che ha rotto il proprio legame con la vita e, siccome la vita viene da Dio, é morto colui che non vive in Dio, che ha tagliato il proprio legame con Dio. In entrambe le narrazioni sono le madri le protagoniste dell’intervento divino. Nel primo caso la madre si arrabbia con il profeta per la morte del proprio bambino, quasi colpevolizzando Elia per l’accaduto. Elia entra in azione con una preghiera con la quale chiede l’intervento di Dio. É la preghiera del profeta, dell’uomo di Dio che é ascoltato dal Padre. Affinché la preghiera sia ascoltata e la morte si trasformi in vita bisogna essere profeti, uomini e donne di Dio, persone che hanno fatto della propria vita un dono al Signore, qualsiasi sia la vocazione. Per fare ció dovremmo prendere sempre più seriamente il nostro battesimo, viverlo come un dono, trasformando la nostra vita in dono. La preghiera di Elia é la preghiera di un uomo che ha fatto della propria vita un totale servizio al Signore. 

 3. Nel Vangelo é Gesù che sente compassione per la madre vedova che perde l’unico figlio ed entra decisamente in azione. É la situazione che provoca l’entrata di Dio nella storia. Il Dio che si é rivelato nella persona di Gesù Cristo non sopporta la sofferenza dei piccoli, dei poveri, degli oppressi. E infatti che cosa  c’é di più piccolo, povero e disperato di una madre vedova che ha perso il suo unico figlio? É in questo Dio che crediamo, nel Dio che ascolta il grido dei sui piccoli ed entra nella storia degli uomini e delle donne per dare vita, per trasformare situazioni di morte in vita. 

4. “Ragazzo, dico a te, alzati!”. Mi ha fatto impressione questa espressione di Gesù. Oggi incontriamo molti giovani morti nel significato sopra accennato e cioè senza Dio. Quanti giovani vivono oggi senza nessun riferimento al Vangelo, alla proposta di Gesù, nell’illusione di poter vivere senza di Lui! Eppure da sempre la maggior parte dei giovani che incontriamo sono passati dalle nostre sale di catechismo. E allora perché se ne sono andati? Perché oggi vivono come se Dio non esistesse, pur avendolo conosciuto, por avendo ascoltato per molto tempo la sua Parola? Come potrebbe la Chiesa oggi dirigere le parole di Gesù ai giovani che incontra “morti” sul proprio cammino?

5. “Tutti furono presi da timore e glorificavano Do”. Il mondo riconosce la presenza di Dio nella storia quando avviene una trasformazione, un passaggio dalla morte alla vita. Glorificare Dio significa credere in Lui. Il prodigio provoca la fede del mondo. La Chiesa é chiamata a compiere questo prodigio per aiutare il mondo a credere in Dio, ma come può fare ciò?

Sono due le indicazioni che ci sono state consegnate dalle letture. La prima é che solamente una Chiesa profetica, e cioè una Chiesa che vive e si alimenta del Signore é in grado di rivolgere al Padre una preghiera di supplica. La Bibbia c’insegna che Dio Padre ascolta sempre la preghiera dei suoi servi e serve. Se ci premono i giovani e la loro vita dovremmo convertirci una volta per tutte al Signore, uscire dai nostri egoismi e metterci al Servizio del Signore. La morte spirituale dei giovani deve provocare la nostra conversione. 

La seconda indicazione la troviamo nel Vangelo. Gesù tocca la bara. Fino a quando la nostra disperazione si ferma alle parole dette e scritte non succederà nulla nell’ottica della fede. Bisogna toccare la bara! Fino a quando il padre di famiglia va al bar o non smette di lavorare e non trova mai il tempo  per parlare con il proprio figlio/a, continua a costruire lentamente la sua bara. Sino a quando la madre si preoccupa solamente dei vestiti e dell’esterno e non prova mai ad abbozzare un minimo dialogo sui problemi dei propri figli, sta semplicemente martellando i chiodi delle loro bare. Bisogna avere l’umiltà di sentire la puzza di morte che esce dalla bara. Bisogna che un giorno arriviamo ad avere il coraggio di prendere il martello per togliere i chiodi alla bara, di fermare il corteo di gente che sta portando tanti giovani al cimitero della vita. E poi c’é la Chiesa, la comunità di cristiani che deve poter toccare le bare dei giovani che incontra, non facendo la corsa con il mondo e cioè, non offrendo in un modo più masticato e ripulito quello che il mondo già offre, ma avendo il coraggio di proporre quello che é chiamata a proporre: Gesù Cristo. Una Chiesa creativa che pensa al modo per poter parlare de Gesù ai giovani, senza provocare sensazioni di disagio, ma di fame di Dio. Per fare questo la Chiesa dovrebbe avere il coraggio di abbandonare una volta per tutte la logica mondana di offrire la proposta del Vangelo come se fosse obbligatoria, come una proposta scolastica che deve essere fatta. Quando la Chiesa avrà il coraggio di presentare ai giovani il Vangelo di Gesù per quello che é e cioè, una proposta di vita che esige un’adesione personale libera e non un obbligo o un’imposizione,  forse in questo modo potrà trovare la forza per dire ai giovani che incontra: ragazzo/a, dico a te: alzati!


venerdì 28 marzo 2025

PREPARATE LE PAROLE

 



Preparate le parole da dire e tornate al Signore (Os 14,3). 

Preparare le parole significa un invito ad una riflessione che viene dopo una presa di coscienza di un cammino intrapreso che non è andato nella direzione giusta. Trovare le parole che possano esprimere sentimenti, stati d’animo di una situazione che ha complicato la vita, ma che, allo stesso tempo, si è trasformata in nuova possibilità. Preparare la Parole per raccontare non solo un cammino sbagliato, ma anche il proposito di cose nuove. 

Questo è uno dei significati profondi della richiesta di perdono: mentre ci rendiamo conto dell’errore commesso, allo stesso tempo abbiamo capito per dove avremmo dovuto andare. Nella richiesta di perdono, nella ricerca di parole di riconciliazione c’è la presa di coscienza di sapere finalmente dove andare, che strada percorrere, per quale cammino immettersi. È questo uno degli aspetti più affascinanti del cammino cristiano: non si è mai persi definitivamente, ma c’è sempre una possibilità. Per questo Gesù nel Vangelo ripeteva di perdonare sempre, che tradotto significa: non chiudiamo la strada a nessuno; non permettiamo che qualcuno si avvilisca a causa della durezza del nostro cuore. 

Nessuno è così marcio da non avere nel fondo del proprio intimo un barlume di luce per ripartire. Non chiudiamo con la durezza del nostro cuore la strada del ritorno a chi ci chiede scuda. E allora, prepariamo le parole da dire per tornare al Signore. 

giovedì 20 marzo 2025

PUO' DIO SCRUTARE LA MENTE E I CUORI?

 


Paolo Cugini


Io, il Signore, scruto la mente e saggio i cuori, per dare a ciascuno secondo la sua condotta, secondo il frutto delle sue azioni (Ger 17,10). 

Questo versetto è strano. Indica un dio che controlla le coscienze delle persone e, questo, non è in linea con il Dio presentato da Gesù, che stimola la libertà e la coscienza personale. Oltre a ciò, è un versetto che rafforza la dottrina del merito di sapore veterotestamentario, dottrina agli antipodi della proposta di Gesù, che rivela la gratuità del Padre. Che cosa fare con versetti di questo tipo? È importante non perdere di vista la chiave di lettura evangelica: tutto della Bibbia deve essere riportato a Cristo e verificato alla luce del suo Vangelo. 

Un Dio che scruti i cuori è un dio che fa paura, che provoca cammini di ribellione per sfuggire dal suo sguardo punitivo. Non è un caso che queste parole siano pronunciate dal profeta Geremia, che spesso invoca Dio affinché distrugga i nemici, annienti coloro che sparlano contro di lui. Ben diverse le parole di Gesù che invita ad amare i nemici e a pregare per coloro che ci insultano. Ancora una volta: è il Vangelo il criterio per verificare la bontà di una Parola e capire se viene davvero da Dio o se proviene dal cuore umano. 

Del resto, è proprio questo tipo di lavoro ermeneutico che ci viene chiesto dal Concilio Vaticano II, nel documento Dei verbum al numero 12: Perciò, dovendo la sacra Scrittura esser letta e interpretata alla luce dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta, per ricavare con esattezza il senso dei sacri testi, si deve badare con non minore diligenza al contenuto e all'unità di tutta la Scrittura, tenuto debito conto della viva tradizione di tutta la Chiesa e dell'analogia della fede.

martedì 18 marzo 2025

CERCATE LA GIUSTIZIA

 




Paolo Cugini


«Lavatevi, purificatevi,

allontanate dai miei occhi il male delle vostre azioni.

Cessate di fare il male,

imparate a fare il bene,

cercate la giustizia,

soccorrete l'oppresso,

rendete giustizia all'orfano,

difendete la causa della vedova» (Is 1,16).

Quando penso ai profeti e alle loro parole di condanna, mi viene in mente questo passaggio durissimo di Isaia. C’è una presa di coscienza sottesa di un male che sta devastando il popolo e che sembra implacabile. Il male che si manifesta come ingiustizia verso i poveri, gli oppressi, gli orfani, le vedove. Quando si arriva a questo punto, vale a dire, a trattare male le fasce più bisognose della società, significa che il livello di malvagità è giunto al colmo: è ora di cambiare rotta. C’è qualcosa che ogni persona può fare contro il male. Isaia sollecita il popolo a cambiare rotta, a smettere di fare il male, di seguire il sentiero della giustizia, per porre azioni giuste. C’è la presa di coscienza di una volontà positiva che può essere realizzata. C’è qualcosa che tutti possiamo fare per interrompere il fiume di ingiustizia: è questo il senso del grido del profeta Isaia. C’è un tempo in cui l’ingiustizia è così pesante da rendere la vita dei poveri e degli oppressi insopportabile. Ingiustizia che si tocca con mano nelle situazioni di vita quotidiane. Ebbene, ci vuole qualcuno che sappia gridare lo scandalo di un’ingiustizia divenuta pane amaro quotidiano, che tolga il velo dell’ipocrisia e dell’impostura, che svegli i l popolo dal torpore e che indichi il cammino di una presa di posizione netta. Questa volontà di cambiare, di togliere il peso dell’ingiustizia sui poveri è alla portata di tutti. Per questo, nella seconda parte dell’invettiva, Isaia invita al dialogo, 

Su, venite e discutiamo

- dice il Signore.

Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto,

diventeranno bianchi come neve.

Se fossero rossi come porpora,

diventeranno come lana (Is 1,19).

Ci deve essere un tempo per dialogare, soprattutto in quei momenti in cui il clima sociale è divenuto troppo pesante, insostenibile. È interessante notare che, per Isaia, il peccato di cui si è macchiato il popolo, coincide con l’ingiustizia e, questa, è determinata dalla relazione con i poveri. Peccato è trattare male i poveri e può essere perdonato nel momento in cui si inverte la rotta, se si cominciano a porre dei cammini di giustizia nella vita della comunità. Cercare la giustizia, ci dice Isaia, significa soccorrere i poveri, difendere la causa della vedova, rendere giustizia all’orfano. È questo il cammino da compiere. 


lunedì 3 marzo 2025

UNA SOLA COSA TI MANCA




 Paolo Cugini


«Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!» (Mc10).

 Nella logica del Regno inaugurata da Gesù ciò che importa non è l’osservanza della pratica, del precetto, o la partecipazione ai riti, ma la condivisione con i fratelli e le sorelle. La verità della relazione con Dio la si vede nel modo in cui viviamo la relazione con coloro che incontriamo sul nostro cammino, ma soprattutto con i più poveri, gli esclusi. La domanda del Vangelo di oggi è: fino a che punto siamo disposti a condividere ciò che abbiamo con coloro che non hanno nulla? La logica del vangelo è contrari alla teoria dell’accumulo individuale, perché distrugge la logica del Regno che è la condivisione, la possibilità che è data ad ogni persona di poter usufruire dei beni. 

Tutto dev’essere fatto per vivere la logica dell’uguaglianza. Vieni e seguimi: è possibile seguire il Signore sulle strade del Vangelo solamente se si è disposti a condividere e ad uscire dalla logica egoistica del pensare solo a se stessi. 

mercoledì 19 febbraio 2025

LO CONDUSSE FUORI DAL VILLAGGIO

 




Allora prese il cieco per mano, lo condusse fuori dal villaggio e, dopo avergli messo della saliva sugli occhi, gli impose le mani (Mc 8,23). 

Bello questo gesto di Gesù che conduce fuori dal villaggio il cieco pe curarlo. Perché lo porta fuori: che cosa significa? Nel Vangelo si Marco il villaggio è il luogo della tradizione, che non accetta la novità e, di conseguenza, resiste alla novità del Vangelo. Dentro al villaggio, a contatto con una mentalità tradizionale è molto difficile passare dall’oscurità alla luce, compiere, cioè, un cammino di conversione, di cambiamento. È necessario uscire. È Gesù che conduce fuori il cieco. È il contatto con la luce di Gesù che veniamo condotti fuori dai villaggi esistenziali, per poter compiere un cammino di trasformazione, che ci permette di cogliere la cecità che la cultura della tradizione mette dentro di noi. È fuori dai contesti quotidiani, che possiamo cogliere la verità di cui viviamo e, allo stesso tempo, l’urgenza di compiere un cammino, che è graduale, nel senso che non si guarisce dalla cecità causata dalla tradizione da un giorno all’altro: ci vuole tempo. 

E lo rimandò a casa sua dicendo: Non entrare nemmeno nel villaggio

È bellissima questa indicazione di Gesù. Chi ha intrapreso un cammino fuori dal villaggio, fatto di persone con la mente chiusa, di coloro che non riescono ad uscire dalla comodità letale di una vita in cui “si è sempre fatto così”, non può ritornare tra le persone dalla mente fasciata: non lo accetterebbero. E allora, bisogna avere il coraggio di prendere le distanze con il passato, per guardare avanti, per fare spazio allo Spirito del Signore, disponibili a camminare su nuovi sentieri: è il fascino della vita secondo lo Spirito. 

sabato 8 febbraio 2025

VI DOMENICA TEMPO ORDINARIO/C

 




Ger 17,5-8; Sale 1; 1Cor 15, 12.16-20;Lc 6,17.20-26



Paolo Cugini

 Riuscire a non turbare una liturgia della Parola come questa non è facile. Per commentare questa Parola in modo che penetri nel cuore delle persone con tutta la forza di cui Essa è costituita, è necessario camminare in modo molto coerente con il contenuto del testo. Perché il pericolo costante del predicatore è quello di diluire il contenuto della Parola secondo i propri limiti, cioè di non lasciare che la Parola dica quello che voleva dire, ma trascinarla dalla propria parte, giustificando così la propria mancanza di fede, l’incapacità di seguire Gesù con quella coerenza di vita che il Vangelo esige. In questo modo, non solo il predicatore non si converte, ma anche il popolo di Dio, soprattutto quello più debole nella fede, che non si sforza di informarsi leggendo e sfogliando il testo della Scrittura, ma si lascia trascinare dal discorso del predicatore. Infatti, di fronte alle Parole appena ascoltate, possiamo riflettere entrando in noi stessi e pensando: “Come mai gli uomini, le donne di fronte ad una Parola come questa, continuano a mantenere lo stesso sistema corrotto che si nutre di ignoranza e pigrizia? ".

 «Beati voi poveri, perché vostro è il Regno di Dio. Beati voi che ora avete fame... Beati voi che ora piangete... Beati voi quando gli uomini vi odieranno... a causa del Figlio dell'uomo (Lc 6,20s). 

Parole impressionanti che richiedono una pausa di riflessione. In realtà, queste sono parole che contraddicono ciò che viviamo quotidianamente, dove i poveri vengono sminuiti, umiliati e massacrati. I poveri soffrono, soprattutto, perché sono umiliati nella loro dignità: sono degradati, considerati come persone di seconda fascia. Ecco perché i poveri non si piacciono e spesso cercano di mascherare la propria condizione sociale, per sentirsi accolti come persone e non rifiutati come qualsiasi altro animale. È questa persona umiliata, calpestata nella sua dignità che Dio pone al suo fianco, come suo primo erede. Il padrone del Regno di Dio non sarà uno dei potenti di questo mondo, ma, al contrario, uno tra gli esclusi, gli affamati, gli assetati, cioè tutti coloro che, in questo mondo, hanno sperimentato disaccordi a causa dell'ingiustizia umana. Questo è l'altro lato della storia. Dal punto di vista di Dio, nessuno è povero perché lo ha voluto, né perché Dio lo ha voluto. Se ci sono tanti poveri, non è a causa del disegno di Dio, ma a causa della malvagità dell'uomo, che non si accontenta di ciò che ha, ma vuole sempre di più. La povertà non è solo un problema sociale che gli uomini non possono risolvere: è soprattutto un problema spirituale. È lo stesso profeta Geremia che, nella prima lettura, ci fornisce il materiale per comprendere il punto di vista di Dio:

Maledetto l'uomo che confida nell'uomo e fa consistere nella carne umana la sua forza (Ger 17,5).

Questo è il problema: una vita confidando nelle proprie forze, nella ricerca dell'autosufficienza, dell'autonomia, che porta lontano dalle vie di Dio. Un uomo così, una donna così, che confida solo in se stesso e guarda solo il proprio ombelico, è maledetto da Dio, perché i frutti che produce sono frutti di morte. Chi bada solo al proprio interesse non si preoccupa dei problemi dei fratelli e delle sorelle che Dio mette sul suo cammino.

È una vita egocentrica, alla continua ricerca del proprio interesse, del soddisfacimento del proprio egoismo che, di conseguenza, provoca situazioni di tremenda ingiustizia e disuguaglianza.. I problemi che affrontiamo ogni giorno sono problemi sociali che hanno un'origine spirituale, cioè, sono stati tutti generati da persone egoiste, che hanno fatto e continuano a fare di tutto per trarre il massimo dalle situazioni in cui si sono trovate. Di fronte a questa situazione travolgente, Gesù esprime l'opinione di Dio, che non resta né silenzioso né neutrale di fronte al massacro dei suoi figli e figlie, ma assume una posizione molto chiara che deve condurre i cristiani sulla stessa strada. Pertanto, di fronte a questa pagina chiarissima, che non ha nemmeno bisogno di spiegazioni, potremmo chiederci: chi stiamo adulando? Su chi contiamo nel nostro presente e nel nostro futuro? Cosa e chi stiamo cercando? Non ha senso parlare continuamente di Dio, entrare in chiesa ogni domenica, mangiare il Corpo di Cristo se poi, nella vita concreta di tutti i giorni, il Corpo di Cristo viene lasciato indietro, perché cerchiamo i favori dei politici corrotti del mondo ogni giorno. 

Guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione! (Lc 6,24).

Con una Parola forte e chiara come questa, non c’è bisogno di chiarire da che parte sta Dio. Sì, perché la verità è questa: Dio, in Gesù, ha preso posizione, ha chiarito una volta per tutte che la ricchezza è sinonimo di ingiustizia, che, se c'è povertà è perché qualcuno è troppo egoista e a Dio non piacciono gli egoisti. Inoltre, queste parole forti e chiare ci spingono a cercare la nostra consolazione non in ciò che perisce, come la ricchezza, il denaro, l'accumulo di terre, ma in ciò che è imperituro, che dura per sempre. Per questo siamo qui e vogliamo nutrire le nostre anime con queste Parole e con il Corpo di Cristo, per rifornire la nostra vita dell'amore di Dio che si è manifestato in Cristo, che si è spogliato di tutto per donarci la propria vita. La vita di Gesù è l'opposto dell'egoismo, la sua strada è dalla parte opposta dei ricchi di questo mondo, il suo atteggiamento dischiude il significato autentico della vita umana e indica la strada che deve essere seguita da tutta l'umanità: l'amore. Cristo, infatti, non è morto solo per se stesso, per un semplice destino, ma per darci un esempio (1Pt 1,4s), affinché, interiorizzando la sua vita e le sue Parole, sappiamo guardare il mondo come Dio lo guarda e come Dio lo vuole e, ricolmi del suo amore, riuscire ad affrontare gli arroganti di questo mondo, che in ogni momento non perdono l'occasione di ingannare gli uomini e le donne con le loro vuote promesse.

Rallegratevi in questo giorno ed esultate, perché la vostra ricompensa sarà grande nei ciel (Lc 6,23).

Il Vangelo è un balsamo per le nostre orecchie, una delizia per i nostri occhi: è un invito continuo a non perdersi mai d'animo, perché Cristo stesso ha già percorso questa strada. Sta a noi riempire il nostro tempo non con parole vuote, ma con quella Parola che dà senso alla nostra esistenza. Il Vangelo, da un lato, si presenta come una Parola dura, dall'altro indica la via verso la salvezza, che comporta un cambiamento radicale di vita. Chiediamo a Dio che questa Santa Eucaristia possa essere un passo avanti nella ricerca di uno stile di vita diverso, più umano ed evangelico.


mercoledì 5 febbraio 2025

L'IGNORANZA INVINCIBILE

 



Paolo Cugini

Non è costui il falegname, il figlio di Maria? (Mc 6,2). C’è una conoscenza religiosa che. Invece di avvicinare al Mistero, allontana. È quella conoscenza superficiale, assimilata nell’infanzia e mai approfondita che. Con il tempo, diviene mero ricordo, una nozione come tante, che crea solamente presunzione. È quel tipo di conoscenza che non permette la ricerca autentica e che, ad un certo punto distorce i contenuti. È il caso del brano in questione, quando gli interlocutori chiamano Gesù il: figlio di Maria. Affermazione strana, quasi offensiva, in un contesto patriarcale come era quello ebraico, in cui ogni figlio era riconosciuto come figlio del padre, perché era il padre che dava l’identità della parentela. Indicando Gesù come il figlio di Maria, si vuole alludere in modo sarcastico, che Gesù non era altro che un bastardo, la cui identità paterna era sconosciuta. 

C’è un implicito riferimento ad una diceria che si era diffusa già al tempo di Gesù e riportata dal filosofo Celso che diceva che, in realtà, Maria aveva avuta una relazione con un romano chiamato il Pantera. Ancora una volta: quando la conoscenza del Mistero rimane al livello delle nozioni ricevute nell’infanzia, e non accompagna lo sviluppo cognitivo personale, diventa fonte di falsità, capace di raccogliere e divulgare ogni forma di spazzatura nozionistica, pur di non compiere la fatica della ricerca personale. Contro questo tipo di persone non c’è nulla che si possa fare. Lo stesso Gesù non perde tempo con loro: E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità (Mc 6,5). 

Dinanzi alla durezza dei cuori e delle menti c’è poco da fare: bisogna andare altrove. C’è una forma di ignoranza radicale che cresce con il tempo, contro la quale non c’è argomento che tenga. 

sabato 1 febbraio 2025

PRIMA DOMENICA DI QUARESIMA/C

 




Lc 4,1-11

Paolo Cugini


La prima domenica di quaresima, in tutti e tre i cicli liturgici, inizia con la pagina delle tentazioni di Gesù. Per cogliere la profondità del messaggio contenuto in questa narrazione, dovremmo provare a contestualizzarla. Che cosa significa, allora, leggere questa pagina in un contesto post-cristiano? In che modo il paradigma post-teista ci può aiutare a cogliere contenuti nuovi? C’è tutta una lettura religiosa e devozionale che per secoli ha orientato l’interpretazione di questa pagina sottolineando gli aspetti penitenziali e sacrificali, come se la penitenza e il sacrificio fossero strumenti indispensabili per meritarsi la vita eterna. In realtà l’esperienza umana di Gesù narrata in questa pagina è svuotata di qualsiasi elemento religioso. Gli eventi, infatti, non si svolgono in una sinagoga, in uno spazio sacro, ma nel deserto, che potremmo definire un non-spazio, nel senso che non s’identifica con alcun spazio particolare. Quello che Gesù vive nel deserto è un’anticipazione di ciò che vivrà durante la sua vita pubblica. Gesù è un uomo che non è mai stato attratto da desideri di gloria umana, di potere. Gesù è un uomo la cui libertà gli ha permesso di non lasciarsi intrappolare dalla forza degli istinti, che ha sempre saputo orientare nel fine da lui stabilito. È questa, in sostanza, la proposta che emerge dalla pagina delle tentazioni e che ci viene rivolta all’inizio della quaresima, che è un cammino per cogliere con maggior consapevolezza il mistero della vita piena, che si è manifestata nelle scelte di Gesù. È possibile vivere in modo libero e realizzato la propria umanità, senza lasciarsi attrarre da quelle proposte che, alla distanza, provocherebbero delle schiavitù interne e esterne. C’è una possibilità di vita piena, realizzata nel dono libero e gratuito di sé, una vita buona e giusta che è divenuta visibile nella vita di Gesù e, per questo, alla portata di tutti e tutte. 

Il problema, a questo punto, è riuscire a cogliere il metodo che ha permesso a Gesù di vivere in questo modo libero e pienamente realizzato nell’amore e nella giustizia. Nella pagina in questione ci sono delle indicazioni che ci possono aiutare. Gesù rimase “nel deserto per quaranta giorni”: ecco il primo dato. Per riuscire a vivere in modo libero occorre dedicare molto tempo alla propria interiorità, per dirla alla Socrate, occorre curare la propria anima. È questo un compito alla portata di tutti e non è specifico delle persone religiose: tutti abbiamo una dimensione interiore. Il fatto che questa esperienza avviene nel deserto è un altro dato importante, perché ci dice, come affermavo sopra, che non avviene in un ambito religioso. “Non mangiò nulla in quei giorni”. Non si tratta di un’indicazione penitenziale, ma esistenziale. Chiunque ha dedicato periodi prolungati per la meditazione e per la cura interiore, sa molto bene che la vita sobria e l’attenzione a non esagerare nel cibo, aiuta il percorso spirituale di contatto con la propria coscienza. “Tentato dal diavolo”: possiamo tradurre questa espressione con la percezione che la forza degli istinti esercitano su di noi, soprattutto quando siamo immersi nelle preoccupazioni quotidiane, poco attenti alla vita interiore e, quindi, maggiormente vulnerabili sul piano esistenziale. 

C’è una possibilità di vita autentica che ci viene proposta all’inizio del cammino quaresimale. Per entrare in questo cammino dovremmo liberarci dalle incrostazioni religiose che, nei secoli, hanno identificato la quaresima con azioni penitenziali, perdendo l’orizzonte vero della quaresima, che è l’umanità di Gesù, la sua libertà, la sua vita di amore gratuito e disinteressato. Dedicare tempo a questo messaggio, assimilando ogni giorno le pagine di Vangelo proposte, significa coltivare il desiderio di essere persone nuove, più autentiche, proprio come Gesù. Il mondo ha bisogno più che mai di persone così. Approfittiamo, allora del tempo di quaresima per scrollarci di dosso la polvere della religione e indossare l’abito nuovo del Vangelo di Gesù. 


giovedì 16 gennaio 2025

VIII DOMENICA TEMPO COMUNE/C

 




L’uomo buono e il suo frutto

Lc 6, 39-45

Paolo Cugini 


Leggendo attentamente i vangeli ci si accorge che Gesù, più di insistere sulla relazione con Dio, insiste molto sulle relazioni tra i fratelli e le sorelle. Il cammino che Gesù compie con un gruppo di uomini e donne per le strade della Palestina, ha come elemento chiave proprio questo, aiutare u suoi nuovi amici e amiche ad imparare a perdonarsi, ad accogliersi, a considerare il fratello e la sorella non per qualità esterne o per titoli del mondo, ma per quello che sono, per la dignità con ogni persona ha di essere figlia e figlio di Dio. La proposta ha tutta una sua bellezza affascinante, perché è un invito ad un cammino nuovo, una proposta molto diversa da quella che incontriamo solitamente durante il cammino della vita. Proprio per questa novità, dentro questo cammino di umanizzazioni in cui veniamo invitati a migliorare le nostre relazioni umane, possiamo incappare in alcune situazioni che ci possono condurre nel cammino opposto, il cammino della disumanizzazione, Ciò avviene quando incontriamo personaggi strani, che si spacciano da maestri, che creano legami tossici con le persone, legami di dipendenza emozionale ed affettiva. Gesù ci ricorda che: “ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro”. La religione può divenire il campo in cui si creano relazioni di dipendenza, di sfruttamento; relazioni in cui si viene manipolati psicologicamente, condotti verso cammini loschi. Da una parte una parte, c’è una persona giovane desiderosa di approfondire la propria vita interiore. Dall’altra, a volte, in questo cammino spirituale, avvengono incontri che possono rovinare per sempre un’esistenza. A questo punto ci possiamo chiedere: ci sono criteri che ci possono aiutare a capire se abbiamo di fronte una persona autentica o un ciarlatano, una persona buona o un malvagio? Gesù nel vangelo di oggi ce ne offre una importante. “Perché guardi la pagliuzza che è nell'occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?”. Quando nel cammino incontriamo qualcuno che ci vuole insegnare come si vive, che non perde l’occasione per volerci imporre il suo volere, che fa di tutto per metterci in difficoltà anche davanti agli altri, è un grande campanello di allarme, che ci allerta che stiamo entrando in una relazione spirituale tossica, che tenderà a produrre dipendenza e a distruggere la nostra soggettività, annientando l’autostima. Infatti, se c’è un dato chiaro nelle relazioni impostate da Gesù è che il cammino di maturazione umana accompagna le persone ad essere libere, in grado di sviluppare le proprie potenzialità, capaci di volare da sole. Questo tipo di relazione lo si nota molto bene nel rapporto con Pietro. Gesù lo lascia libero di rinnegarlo, per poi recuperalo nelle apparizioni dopo la resurrezione, ponendogli domande che avrebbero permesso a Pietro di rinovare il proprio apostolato. Ogni tentativo di creare dipendenza, di ingabbiare la persona in una ragnatela di precetti, di doveri e di osservazioni negative, sono sintomi che ci troviamo nell’orizzonte di una persona malata, che ha bisogno della libertà degli altri per sopravvivere. “Ogni albero, infatti, si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo”. È questa, un’altra parabola del Vangelo di oggi, che può essere letta nella chiave di lettura che sto indicando. Da persone libere non possono che sorgere cammini di libertà e relazioni autentiche. Al contrario, le relazioni impastate di aggressività, di giudizi severi, di imposizioni assurde stanno indicando che la pianta è malata e va abbandonata al più presto. Non basta entrare in un ambito religioso per sentirci al sicuro dai lupi rapaci, che distruggono le giovani vite. Occorre stare attenti ai frutti buoni, che solo le buone persone possono produrre nella storia e, poi, metterci in cammino e andarle a cercare.