mercoledì 28 agosto 2024

SEPOLCRI IMBIANCATI

 




 

Paolo Cugini

 

Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che assomigliate a sepolcri imbiancati: all’esterno appaiono belli, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni marciume. Così anche voi: all’esterno apparite giusti davanti alla gente, ma dentro siete pieni di ipocrisia e di iniquità (Mt 23, 27-28).

 Versetti pesantissimi come, del resto, tutto il capitolo 23 di Matteo. Gesù colpisce duramente il modo di fare dei farisei ma, più in generale, colpisce in modo durissimo l’atteggiamento religioso. Qual è il cuore della religione? È la ricerca dell’apparenza per salvare la propria mediocrità, per non dovere cambiare e continuare la propria vita. Gesù entra nel cuore della questione.

C’è una religione che allontana da Dio, perché invece di produrre un cammino di conversione interiore, si muove alla ricerca di garantire se stessi, di proteggersi da Dio e dalla sua Parola. La verità dell’uomo religioso, smascherata da Gesù in questa durissima invettiva, è che non vuole cambiare, vuole rimanere così e, in questo modo, usa letteralmente la religione per darsi un tono, per apparire quello che non è. I gesti che compie la persona religiosa sono pura esteriorità, sono parole che escono dalla bocca, ma che non provengono dal cuore.

Era questa, del resto, l’accusa che i profeti facevano al popolo d’Israele e, soprattutto ai capi religiosi, che avevano portato alla distruzione il popolo proprio perché invece d’insegnare la Parola di Dio insegnavano le loro tradizioni. C’è tutto un percorso religioso che serve per imbiancare l’esterno e mantenere inalterato l’interno: è il cammino dell’ipocrisia e dell’inautenticità. Gesù, invece, è venuto per liberarci dalla falsa religione per divenire persone autentiche.

lunedì 26 agosto 2024

L’AMORE STA CRESCENDO

 




 

Paolo Cugini

 

Dobbiamo sempre rendere grazie a Dio per voi, fratelli, come è giusto, perché la vostra fede fa grandi progressi e l’amore di ciascuno di voi verso gli altri va crescendo (2 Ts 1,2).

Avere lo sguardo positivo di Paolo sul cammino delle comunità. Che cosa Paolo osserva? Due elementi su tutti: la fede e l’amore. La fede, come ci ricorda nella lettera ai Romani 10,17 dipende dalla predicazione della Parola di Dio e, di conseguenza, quello che paolo osserva nella comunità di Tessalonica, è una predicazione costante della Parola che sta producendo una conoscenza sempre più profonda dei misteri di Dio manifestati nella vita di Gesù. In secondo luogo, l’amore nella comunità, che si manifesta nelle relazioni che avvengono nel vissuto quotidiano e che manifestano l’autenticità della fede. Se è vero, infatti, che per Paolo la fede è un dono gratuito di Dio che nessuno può meritare, ma solo accogliere (cfr. Rom 1-3), è altrettanto vero che l’autenticità della fede nel Signore risorto si manifesta nel cambiamento di atteggiamenti nei confronti dei fratelli e delle sorelle della comunità.

Paolo con queste parole, sta verificando il Cammino che lo Spirito del Signore sta realizzando nei cuori delle persone, che va oltre le manifestazioni apparenti, oltre gli atteggiamenti esterni. È questo il pericolo delle liturgie celebrate che, se non sono ben fondate nella Parola di Dio, possono rischiare di divenire rappresentazioni esterne, in cui si cerca più l’effetto che la possibilità di passare il messaggio evangelico.

Ancora una volta le parole di Paolo vanno nella direzione della profondità, della spiritualità, del cammino interiore, l’unico capace di trasformare le nostre coscienze e produrre scelte in linea con il Vangelo ascoltato e interiorizzato.

 

venerdì 23 agosto 2024

POTRANNO QUESTE OSSA RIVIVERE?

 





Paolo Cugini

«Figlio dell'uomo, potranno queste ossa rivivere?». Io risposi: «Signore Dio, tu lo sai». Egli mi replicò: «Profetizza su queste ossa e annuncia loro: "Ossa inaridite, udite la parola del Signore (Ez 37, 3-4).

Bellissima immagine che permette di riflettere su diverse situazioni. Prima di tutto, è una rivelazione sullo sguardo del Mistero sull’umanità, per lo meno un primo sguardo. Non siamo altro che un mucchio di osso inermi, senza vita,

Del resto, è lo stesso sguardo dell’autore della seconda narrazione del libro della Genesi: un mucchio di polvere. Siamo questo, niente di più. Siamo questo sino a quando non viene soffiato in noi lo Spirito di Vita, che dà senso alla nostra inerzia, che provoca il movimento, la vita, in altre parole: una storia. È interessante la narrazione di Ezechiele perché ci dice come arriva a noi lo spirito vivificante: attraverso la parola, la parola profetica. Questo aspetto dà valore al dialogo, all’attenzione alle situazioni che sembrano di morte esistenziale, ma che in realtà rivelano solo la necessità di una parola, un incoraggiamento, qualcuno che mostri una via d’uscita ad una situazione che sembra finita: appunto, una profezia.

Avere parole profetiche per le donne e gli uomini che incontriamo privi di vita, di voglia di vivere, che si sono persi nei meandri della vita, forse per ricorrere ideali troppo alti o semplicemente perché non hanno trovato nulla da rincorrere e si sono seduti, addormentati. A volte, come in questo caso, basta una parola, una parola profetica e ciò che sembrava morto riprende vita, acquisisce un senso, si rimette in cammino.

mercoledì 21 agosto 2024

CERCHERO’ LE MIE PECORE

 



 

Paolo Cugini

 

Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e le passerò in rassegna. (Ez 34, 11).

Leggo e rileggo il capitolo 34 di Ezechiele. Capisco il contesto storico e le problematiche da lui sollevate. Non si può prendere questo testo come critica generalizzata al ministero pastorale. Ci sono delle responsabilità oggettive per coloro che assumono il compito di pastore, de leader di una comunità. Responsabilità religiose, che si traducono nella possibilità di alimentare spiritualmente i fedeli, con la conoscenza della Parola, la vita sacramentale e la vita di carità. Il problema evidenziato anche da Ezechiele è che, alla distanza, il pastore può stancarsi e concentrarsi su di sé. Esercitare, infatti, il ministero di pastore esige un costante cammino spirituale, perché la relazione con i fedeli alla distanza svuota l’anima. Si tratta di una relazione ad una direzione, di richiesta, di necessità che non sempre trova il pastore disponibile. Occorre, infatti, considerare anche la situazione del pastore, uomo tra gli uomini, con tutto il suo bagaglio di problemi umani da risolvere in modo diverso dagli altri. La sua condizione celibataria, lo pone in una situazione di solitudine e di carenza di relazioni parentali, che non va trascurato.

C’è, senza dubbio, la forza della vita spirituale e anche delle relazioni della vita pastorale che costituiscono uno stimolo positivo. Il problema è che alla distanza, la situazione di non normalità della vita del pastore si fa sentire e appesantisce la vita. È vero che ci sono pastori, come ricorda il profeta Ezechiele, che utilizzano il ministero per curare i propri interessi e approfittare delle persone a loro affidate. Senza dubbio, questo è un dato che va tenuto conto. Ciò che invece non emerge quasi mai quando si parla della realtà del ministro di Dio, è la loro umanità, le problematiche legate al modo in cui è richiesto lo svolgimento della loro funzione.

C’è troppa disumanità nelle condizioni attuali di vita del pastore e questa situazione genera conseguenze negative. Il problema sta anche nel tempo. Tutta una vita celibataria in queste condizioni nell’attuale situazione culturale è disumana. Forse sarebbe meglio pensare ad un periodo, che potrebbe essere rinnovato dopo un attento esame. Non è reale risolvere il dibattito rimandando la problematica esclusivamente alla dimensione spirituale, come se il pastore che esercita male il proprio ministero sarebbe carente di spiritualità.

C’è molto di più in gioco. C’è tutta la dimensione affettiva e sessuale che non è mai menzionata, ma che esiste e nessuno prende in considerazione. Come rendere il ministero pastorale più umano: è questo il problema che va affrontato con coraggio, uscendo dalle pastoie spiritualistiche, che non fanno altro che allontanare il problema per non doverlo affrontare.

 


martedì 20 agosto 2024

Maria madre di Dio 1° gennaio

 




(Nm 6,22-27; Sal 66; Gal 4,4-7; Lc 2,16-21)


Paolo Cugini 

 Iniziare l’anno nel nome di Maria. È un’indicazione che andrebbe presa sul serio, soprattutto considerando la situazione sociale in cui viviamo, in cui aumentano in modo esponenziale il numero di femminicidi, segno di una cultura patriarcale che non smette di riprodurre una misoginia che non dà tregua. Alcune teologhe italiane come Selene Zorzi e Cristina Simonelli, ci ricordano spesso nei loro interventi, che la situazione sociale in cui viveva Maria non era certamente favorevole alle donne. Pensare alla Maria reale e non quella idealizzata spesso divinizzata da una certa devozione distorta, potrebbe aiutarci a rivedere il nostro modo di relazionarci con le donne anche dentro la comunità cristiana. Nonostante, infatti, Gesù ci abbia mostrato la possibilità di creare comunità di discepoli e discepole uguali, l’atavica tentazione maschile di sentirsi superiore e di creare dinamismi di disuguaglianza e di potere è sempre alle porte. Invocare Maria, in questa prospettiva, potrebbe aiutarci a proci in quell’atteggiamento d’ascolto che ci potrebbe permettere di cogliere segni nuovi dell’universo femminile, così deturpato dalla cultura machista e, in questo modo, poter intraprendere cammini nuovi di uguaglianza da porre dentro la comunità.

Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace (Nm 6,26).

È anche di pace che abbiamo bisogno in un mondo divenuto sempre più violento. Ce lo ricorda anche il Papa ogni anno proprio in questo giorno dichiarato Giornata Mondiale della pace. Iniziare l’anno nel segno della pace, nel proposito di seminare pace e di divenire noi stessi strumenti di pace è un grande regalo che possiamo fare a noi stessi e alle persone che ci sono vicine. Portare pace con il metodo che ci ha insegnato Gesù, non distruggendo il nemico, ma attirando l’odio su di noi (cfr. Ef 2,14), per distruggere i conflitti con l’amore (cfr. Rom 12,21) Parole profonde che richiedono una spiritualità non indifferente, una forza interiore capace di dominare l’istinto di vendetta, di farsi giustizia con le proprie mani. È sempre nella comunità cristiana che abbiamo la possibilità di sperimentare lo stile nuovo inaugurato da Gesù con i suoi discepoli e le sue discepole, quel modo di stare al mondo fatto di attenzione e di cura dell’altro, che crea relazioni autentiche capaci di modellare un’umanità nuova, segno della pace di Dio in noi e in mezzo a noi.

quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli (Gal 4,4-5).

La doppia nascita di Gesù, espressa in questi versetti di Paolo e ancor meglio in Rom 1,3-4 ci ricordano un dato significativo da prendere como ulteriore augurio all’inizio di quest’anno. Paolo, infatti, ci ricorda che con l’incarnazione del Verbo siamo invitati a vedere la divinità attraverso l’umanità di Gesù. Sono i gesti umani di Gesù, il suo modo di relazionarsi con le persone, la sua attenzione ai poveri, l’accoglienza alle donne in una cultura patriarcale, il suo modo di accogliere e abbracciare gli esclusi della società, come i lebbrosi: sono questi spazi umani che ci permettono d’ora innanzi d’incontrare dio. Iniziare l’anno con questa presa di coscienza evangelica, ci permetterebbe di entrare nelle nostre liturgie con occhi e attenzioni diversi. Probabilmente smetteremmo di concentrarci sui detriti pagani del sacro – pontificali, pizzi, candelabri, turiboli, ecc.- per concentrarci su ciò che può renderci più umani. Del resto, se ci pensiamo bene, Gesù venendo al mondo in quel modo strano narrato anche dal Vangelo di oggi, ci ha allertato che d’ora innanzi non abbiamo più bisogno di cercarlo tra le stelle, perché è venuto in mezzo a noi. In questo modo, non abbiamo nemmeno bisogno di offrire chissà quali sacrifici per ottenere i suoi favori, perché attraverso il suo Figlio Gesù, si è donato gratuitamente ad ognuno di noi.

[i pastori] andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia (Lc 2,16).

È un cammino di ascolto e attenzione che siamo invitati a compiere all’inizio dell’anno. Cammino che dovrebbe condurci ad una mentalità nuova, un pensiero nuovo o, come ci ricorda san Paolo, ad avere il pensiero di Cristo (1 Cor 2, 16). Di che pensiero si tratta? Il pensiero del dono gratuità di sé, che non esige particolari meriti, ma solamente la disponibilità ad accoglierlo, Non a caso nel brano di oggi, sono i pastori che si dirigono alla mangiatoia per incontrare Gesù. Cammino di ascolto che dovrebbe condurci ad un atteggiamento umile nei confronti del Mistero, per abbassare l’arroganza delle nostre argomentazioni e, così, fare spazio alla verità del Mistero che si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi.

 

SEI UN UOMO NON UN DIO

 




Paolo Cugini

Figlio dell’uomo, parla al principe di Tiro: Così dice il Signore Dio:
Poiché il tuo cuore si è insuperbito e hai detto:
“Io sono un dio,
siedo su un trono divino in mezzo ai mari”,
mentre tu sei un uomo e non un dio,
hai reso il tuo cuore come quello di Dio
(Ez 28, 1-2).

Sono versetti, questi di Ezechiele, che mi sono sempre molto piaciuti e rimasti impressi. C’è una descrizione reale, in questi pochi ma densi versetti di Ezechiele, di colui che perde il senso della realtà e identifica un momento di gloria come il tutto della vita. Puntare tutto su se stessi e sulle proprie forze ´molto rischioso, perché può bastare pochissimo, come una malattia o un lutto in casa, per far andare tutto all’aria. Quando pensiamo che il momentaneo successo dipende tutto da noi, dalle nostre capacità, stiamo costruendo la nostra vita su di un fondamento di sabbia: può crollare ad ogni momento. Si tratta, infatti, di un punto di vista non reale, perché non tiene conto della caducità della nostra vita, della debolezza della nostra struttura umana, delle reali condizioni della nostra vita, che sono alla mercè di tantissimi fattori esterni non calcolabili, come malattie, virus, incidenti e tanto altro.

Quanta persone cadono nella disperazione quando vivono un momento negativo, arrivato all’improvviso, mettendo a soqquadro tua l’esistenza! Questi versetti ci vogliono, allora, dire che bisogna imparare a guardare la propria vita con uno sguardo umano e reale, che c’è del bello anche in una situazione negativa, perché ogni aspetto della vita reale è un dono nel nostro cammino di apprendimento. Infatti, quante cose nuove apprendiamo in una situazione negativa, come una malattia, per esempio.

È in queste circostanze in cui tutto sembra avere i segni del fallimento, che scopriamo persone amiche, uno sguardo o un sorriso inaspettato. Scopriamo, soprattutto che non siamo soli, sia dentro che fuori di noi. 

mercoledì 14 agosto 2024

XII domenica C

 




(Zc 12,10-11; 13,1; Sal 62; Gal 3,26-29; Lc 9,18-24)

 

Paolo Cugini

 

Il problema dell’identità di Gesù accompagna tutto il cammino del Vangelo. C’è un processo di liberazione che deve avvenire se si vuole cogliere la proposta di Gesù, il senso della sua presenza nella storia degli uomini e delle donne. Non basta frequentare i culti religiosi per definirsi discepoli o discepole di Gesù. C’è qualcosa di profondo che dev’essere assimilato e che deve trovare spazio nella nostra anima. Affinché ciò avvenga, è necessario un cammino di liberazione dalle false opinioni religiose che con il tempo hanno preso posto nella nostra coscienza impedendo l’accoglienza della verità portata da Gesù. Una verità sconvolgente a tal punto da provocare reazioni negative proprio in coloro che vivono nell’ambito religioso. La presenza di Gesù, il suo modo di essere e di agire è così in contro tendenza rispetto alle aspettative religiose da creare rifiuto, distanza. Questo fenomeno è ben visibile nel brano di Vangelo di oggi. Vediamo.

Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare.

Questa frase iniziale rivela il senso di tutto il cammino cristiano. Che segue Gesù e si sforza di comprendere e vivere il suo messaggio, sarà condannato ad una vita di solitudine. La vita di Gesù è segnata dalla solitudine frutto del rifiuto della élite religiosa che non si riconosce in ciò che Gesù dice e fa. La proposta di Gesù è agli antipodi della religione del tempo e non ammette compromessi e ambiguità e, per questo, è disposto ad accettare il prezzo del rifiuto, della polemica costante, della solitudine. È proprio questo il senso delle parole finali del discorso di oggi.

«Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo di Dio». Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno. «Il Figlio dell’uomo – disse – deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno».

È interessante che, alla risposta di Pietro, che identifica Gesù con il Cristo di Dio, Gesù risponda con un titolo diverso: il Figlio dell’uomo. Come mai? In questi due titoli messianici c’è il divario tra le aspettative della religione del Tempio e quello che Gesù tenta, con grande fatica, di comunicare e dimostrare. Infatti, nonostante siamo al capitolo 9 del Vangelo di Luca, è palese che Gesù non s’identifica con il Messia annunciato in alcune profezie, vale a dire, l’avvento di un Cristo forte e potente, che avrebbe organizzato un esercito per sconfiggere gli oppressori (cfr. Is 11,4s). Gesù invece, si presenta, come il Figlio dell’uomo, che è l’unico titolo messianico (cfr. Dn 7,14s) che rivela l’identità divina del messia, e la possibilità di trasmettere questa divinità agli uomini e alle donne che accolgono il suo messaggio. È proprio questo che la primissima letteratura cristiana comprenderà, quando affermerà: “questo è il motivo per cui il Verbo si è fatto uomo, e il Figlio di Dio, Figlio dell'uomo: perché l'uomo, entrando in comunione con il Verbo e ricevendo così la filiazione divina, diventasse figlio di Dio” (Sant'Ireneo di Lione, Adversus haereses, 3, 19). Gesù incarna le profezie che indicano il messia non come il guerriero violento, ma il principe della pace (Zc 9,9s), colui che entra nel mondo non per uccidere il nemico, ma per insegnare ad amarlo. La proposta di Gesù è sconvolgente e inattesa per tutti coloro che volevano vendetta. Non è un caso che proprio Gesù, nell’episodio che lo vede commentare un testo di Isaia (Lc 4, 17s), annuncia che è arrivato il tempo del lieto annuncio ai poveri e della liberazione dei prigionieri, ommette di leggere il versetto successivo che parla del giorno della vendetta del nostro Dio (Is 61,2).

«Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà».

Non c’è continuità tra la proposta religiosa dei capi religiosi di Israele e quella di Gesù. Chi desidera seguire Gesù, entrare nella comunità di discepoli e discepole uguali, in cui, come ci ricorda san Paolo nella seconda lettura di oggi: “non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù (Gal 3,28), deve compiere un cammino di conversione che ha, come prima conseguenza, rinnegare se stessi, le proprie fantasie religiose, i propri idoli. Accogliere Gesù e il suo Spirito per passare da una vita concentrata in se stessi, per una vita di donazione gratuita e disinteressata: è questa la grande sfida che siamo cimati ad accogliere e tentare di realizzare.  

sabato 10 agosto 2024

II Domenica di Natale C

 




(Sir 24,1-4.8-12; Sal 147; Ef 1,3-6.15-18; Gv 1,1-18)

 

 

 

Bisogna pur apprendere ad ascoltare, per non correre il rischio d’inventare sempre, di distorcere le parole e, si sa, le parole pesano, soprattutto quando sono rivelate, quando vengono da un’altra parte. E allora a Natale, il giorno del presepio, il giorno della pace dell’anima, della pace dei cuori, della pace degli uomini e delle donne, dove tutti siamo più buoni, più felici, dove i bambini sono al centro dell’attenzione, Lui, il grande sconosciuto, entra nella storia, nella nostra storia felice, piena di sentimenti buoni, ricolma di quei sentimenti, che ti fanno pensare che la religione in fin dei conti s’identifichi con un sentimento, il grande sentimento universale di bontà.

In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio (Gv 1,1).

E allora entri TU e ci dici che sei il Logos, il pensiero e non il sentimento, la ragione e non la devozione, l’argomentazione e non la magia. Che sorpresa! Che spaventosa e grande sorpresa! Perché se sono abituato ad aspettarmi quello che da secoli mi hanno insegnato, ci hanno insegnato e cioè che tu sei sentimento, che tu sei miracolo, che tu sei la soluzione di tutti i mali, non riesco ad ascoltare la tua Parola, non riesco a cogliere la grande differenza di come ti poni nella storia, non riesco a capire che cosa stai dicendo. E allora proprio oggi che è Natale, che siamo tutti così felici, che ci aspetteremmo delle parole come sempre, delle parole uguali, delle parole soprattutto che non ci disturbino, che non ci inquietino, che non ci facciano pensare, Tu arrivi con questa del Logos, tu ci fai la sorpresa del Logos, che nessuno capisce non solo perché è greco, ma perché non è quello che avremmo voluto sentire, quello che il popolo avrebbe voluto sentire.

In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini (Gv 1, 4).

Avremmo voluto sentire che tu eri Pathos, e invece ci dici che sei il Logos e così ci spiazzi, ci confondi le idee. Anzi diciamo subito che le confondi solo a chi pone attenzione a questo scherzetto, perché per poter essere turbati bisogna essere attenti, bisogna porre attenzione alle parole. E allora tutti si aspettavano Pathos, perché la religione è da sempre identificata con il sentimento, perché l’uomo religioso, perché la donna religiosa sin da secoli memorabili sono persone dai forti sentimenti religiosi. Mai si era sentito parlare che per avvicinarsi a Dio ci voleva la ragione, il Logos, il pensiero, l’argomentazione. E invece vieni Tu e ti riveli come il Logos e ci parli, e ci mostri che in questo Logos c’è la vita. E allora ti dobbiamo ascoltare, ti dobbiamo seguire. Per questo tutti quelli che si sono fermati allo stadio puramente mentale – anche se sono stati bravi, dobbiamo ammetterlo, perché hanno avuto l’umiltà di ascoltarti, hanno avuto il coraggio di spostarsi dal lato sentimentale a quello razionale – si sono persi nel labirinto dei pensieri astratti che, in questo modo, sono diventati vani, svuotando la forza del Logos.

E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi (Gv 1,14).

 Perché il Logos si manifesta nella vita e, senza la vita, rimane lettera morta, vuota. Di che vita si tratta? Che vita ispira il pensiero di Dio? È la sete di giustizia, il desiderio di amare tutti, di non escludere nessuno. È la vita condivisa soprattutto con chi non ha nulla, è la ricerca costante di cammini di pace e di comunione, il desiderio di vedere il mondo riconciliato. È quella vita che si rende visibile nelle relazioni, perché Lui si è fatto carne, è diventato uno di noi, nostro amico, nostro fratello, che trasmette un pensiero che, in realtà, è uno stile di vita, un modo di essere e stare nel mondo.

Ho posto le radici in mezzo a un popolo glorioso,
nella porzione del Signore è la mia eredità,
nell'assemblea dei santi ho preso dimora (Sir 24,12).

Ce lo ha ricordato anche il libro del Siracide nella prima lettura: c’è un desiderio immenso del Mistero di Dio di entrare nella storia degli uomini e delle donne, al punto di desiderare di porre la sua tenda in mezzo a noi. Ebbene, questa tenda è Gesù, che è in mezzo a noi per comunicare vita. È questa vita che diventa luce nel mondo e che attrae, anche se allo stesso tempo provoca tensioni, contrasti chiusure. È normale. Ce lo ricorda anche Isaia nella messa del giorno di Natale (Is 9, 1s). Chi siamo, infatti? Siamo un popolo che cammina nelle tenebre e che una volta visitati dalla luce resistiamo, chiudiamo gli occhi. E, allora, spalanchiamo gli occhi, apriamoci alla luce di Cristo, per essere segno nel mondo della vita vera, per divenire con Cristo, portatori di giustizia e di pace.

 

 

venerdì 9 agosto 2024

GESU' LO AMMIRO'

 




IX domenica C

(1 Re 8,41-43; Sal 116; Gal 1,1-2.6-10; Lc 7,1-10)

 

 

 Paolo Cugini

Lo ricorda in modo chiaro Paolo nella seconda lettura di oggi: non c’è un altro Vangelo (Gal 1,7s). La tentazione di modificare il contenuto della proposta di Gesù, considerata scandalosa dagli ebrei e folle dai greci (1 Cor 1,23), ha accompagnato tutta la storia della Chiesa e continua tutt’ora. Assimilare il Vangelo richiede una prerogativa fondamentale: la disponibilità ad accoglierlo, a lasciarsi mettere in discussione e, quindi, cambiare. Si tratta di permettere al Vangelo che rinnovi il nostro modo di pensare, lo trasformi (Rom 12,1-2) per renderci capaci di entrare nel mondo come persone nuove, in grado di vedere la storia con uno sguardo che viene dall’alto e che, allo stesso tempo, diviene motivo di speranza per tutti e tutte. Il Vangelo di oggi affronta uno di quei temi delicati che facciamo fatica ad assimilare, che è il tema della fede. C’è una libertà nello sguardo di Gesù sulla storia degli uomini e delle donne che ci sconvolge e, spesso, ci disorienta. Che cosa significa avere fede nella prospettiva inaugurata da Gesù e perché è così importante nella dinamica del Vangelo?

Egli merita che tu gli conceda quello che chiede - dicevano -perché ama il nostro popolo ed è stato lui a costruirci la sinagoga (Lc 7, 4-5).

Il tema del merito lo troviamo frequentemente trattato nell’Antico Testamento e indica la possibilità di meritarsi la salvezza per le opere che facciamo. In questa prospettiva, l’osservanza della legge mosaica dà la possibilità al fedele di conquistare il premio di una vita lunga, benedetta dal Signore. È questa una delle idee religiose più radicate nell’animo umano che, allo stesso tempo, rivela un modo di vedere Dio e la nostra relazione con Lui. Se possiamo meritarci la salvezza, infatti, allora Dio può essere piegato ai nostri desideri e il rapporto con il divino non è più cammino di trasformazione, ma viene relegato tra le tante possibilità umane. Nella storia narrata dal Vangelo di oggi Gesù mostra un’opinione diversa, radicalmente opposta.

Gesù si incamminò con loro (Lc 7, 6).

Bellissima questa immagine, estremamente rivelativa dello stile di Gesù e che ha molto da dire nel nostro modo di fare pastorale. Non si annuncia il Vangelo semplicemente dal pulpito, ma camminando con la gente. Il Vangelo, infatti, è un contenuto che dev’essere inculturato e non calato dall’alto. Gesù cammina con la gente perché vuole rendersi conto di persona di cosa succede, s’interessa, si prende cura. L’annuncio del Vangelo non è questione di retorica, di belle parole, ma di vissuto quotidiano. È camminando con il popolo di Dio che il contenuto nuovo del Vangelo può essere trasmesso, perché percepito non come un corpo estraneo, ma inerente alla vita.

All'udire questo, Gesù lo ammirò e, volgendosi alla folla che lo seguiva, disse: "Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!". 

Che cosa colpisce Gesù, che cosa ammira del centurione? È la fiducia totale di quest’uomo, che tra l’altro – e va sottolineato – è un pagano, non appartenente al popolo ebraico, nei confronti della parola di Gesù. Il centurione si fida di Lui, della sua parola. È una fiducia che non si appoggia su nulla, perché non c’è nemmeno l’appoggio della legge mosaica, visto che è un pagano. Nella risposta di Gesù si comprende bene che non c’è alcun riferimento al merito, presentato da alcuni anziani dei giudei, sul fatto che quest’uomo si meritava un beneficio per il fatto che aveva costruito la sinagoga. L’ammirazione di Gesù per il centurione è tutta per la fiducia che quest’uomo pone nella sua parola, al punto da non esigere la presenza fisica del Maestro, ma solo una sua parola. C’è fede quando c’è fiducia incondizionata nel contenuto della parola. Questa fede così espressa dal centurione, non dipende da alcuna appartenenza religiosa, ma solo dal proprio cammino personale. Tutto ciò ha grandi conseguenze nel nostro modo di stare dianzi a Dio e nel vivere in comunità con i fratelli e le sorelle. La narrazione di oggi, infatti, ci invita ad un cammino di conversione, per smettere di vivere nella comunità assumendo ruoli con l’unico obiettivo di meritarsi dei favori. La gratuità della fede sgorga dal cuore del Mistero di Dio, che si è manifestato nel dono gratuito del Figlio, che gratuitamente ci ha donato la sua parola che, quando accolta, genera dinamismi di gratuità visibili nel modo in cui si relazionano i fratelli e le sorelle della comunità che si riconosce nella proposta del Vangelo. 

lunedì 5 agosto 2024

SI RITIRO' IN UN LUOGO DESERTO

 



Gesù partì di là su una barca e si ritirò in un luogo deserto, in disparte (Mt 14,13). Sempre toccante la scena di Gesù che si ritira in disparte. È parte del suo stile inconfondibile. Gesù si prende cura di sé, cura la sua anima, dedica molto tempo al silenzio, alla riflessine, Non cerca il plauso della folla ma la relazione con il Mistero di Dio. Nella vita pubblica di Gesù tutto nasce dall’immersione in questo silenzio, in questo nascondimento e tutto ritorno lì. La ricerca del luogo deserto, di un posto solitario è la chiave di lettura della proposta di Gesù. In un certo senso, non ci può essere cammino cristiano autentico che non tenga conto di questo aspetto fondamentale. È questo che dovrebbe essere vissuto e insegnato.

La vita cristiano come immersione nel silenzio del deserto, come ricerca costante di luoghi in disparte, lontano dal rumore della folla. Per vivere intensamente la relazione con i fratelli e le sorelle in modo gratuito e disinteressato, per costruire relazioni autentiche e libere non c’è altra strada: occorre sprofondare la propria vita in un silenzio assoluto, in una ricerca costante e quotidiana del silenzio interiore ed esteriore. Il cristiano, dunque, è colui che nasce dal silenzio e ritorna nel silenzio. La liturgia dovrebbe riprodurre questo stile ritirato e silenzioso di Gesù. La stessa pastorale dovrebbe avere come centro della propria proposta l’accompagnamento alla vita in disparte, ritirata.

Occorre pensare seriamente a questo aspetto centrale nella vita di Gesù.