lunedì 1 dicembre 2025

La potenza della Parola che esce dal Mistero

 



Paolo Cugini

 

Ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito (Mt 8,7).

Nel cuore dell’esperienza spirituale cristiana risuona una certezza: la Parola che esce dal Mistero non è semplice suono, ma potenza creatrice, luce che squarcia le tenebre dell’interiorità. In ogni tempo, la Parola di Dio non si offre come una dottrina astratta, ma come una forza viva capace di trasformare storie, di generare vita là dove regnava lo smarrimento. Questa Parola, pronunciata dal Mistero che si rivela, custodisce una luce profonda, capace di penetrare anche le zone d’ombra dell’anima e di illuminare il cammino di chi la cerca con cuore sincero. Eppure, come accade spesso nella storia della fede, non tutti riescono a percepire la Parola nella sua autenticità e nella sua potenza. La luce che scaturisce dal Mistero non acceca, non impone, ma si offre nella discrezione e nel rispetto della libertà umana. Chi rimane chiuso nel rumore del mondo, chi si lascia travolgere dalle inquietudini superficiali, fatica a cogliere lo splendore silenzioso della Parola. La difficoltà di percepirla nasce da quella cecità interiore che è la conseguenza di una vita vissuta senza ascolto, senza attenzione, senza apertura fiduciosa al Mistero.

Il Mistero però non abbandona l’umanità al proprio destino: si fa vicino, si incarna nella fragilità della carne, si offre nella Parola fatta uomo. In Gesù, il Mistero assume forma visibile, si lascia toccare, ascoltare, contemplare. Ma questa vicinanza non elimina la differenza: la Parola incarnata resta sempre un segno che rimanda oltre, una realtà che trasfigura il quotidiano e invita all’incontro con quella profondità che nessun discorso umano può esaurire. In Gesù, la Parola diventa presenza viva: eppure, solo chi accetta la fatica della ricerca, la tensione verso la luce, può davvero riconoscerla.

Il Vangelo di Matteo ci offre una pagina luminosa, in cui la potenza della Parola si manifesta in modo straordinario attraverso l’incontro tra Gesù e il Centurione. Costui, pagano e straniero, si rivolge a Gesù con una fiducia che sorprende: “Di’ solo una parola e il mio servo sarà guarito.” Il Centurione coglie il mistero della Parola che guarisce, che opera oltre lo spazio e il tempo, che non ha bisogno di gesti clamorosi, ma di un cuore che si apre con umiltà e fede. In questa scena, la fede autentica nasce dalla capacità di riconoscere la potenza della Parola, di affidarsi a una luce che supera ogni ragione, ogni abitudine, ogni barriera culturale. Così il Centurione diventa esempio di quel desiderio che spinge a vedere la luce, di quella fame di autenticità che permette di accogliere il Mistero nella concretezza della vita.

La ricerca della luce interiore è il cammino di chi non si accontenta delle apparenze, ma vuole andare al cuore delle cose, al centro caldo dove la Parola si svela come fonte di vita. Il desiderio sincero, la sete di verità, la disponibilità a lasciarsi mettere in discussione, sono le condizioni che permettono di percepire la potenza della Parola. “Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete”: la promessa evangelica riguarda proprio il movimento profondo di chi lascia parlare il Mistero, di chi si dispone ad essere illuminato dall’interno, come una lampada che arde anche nelle notti più buie.

Ma la Parola non resta mai sola: per essere vera, deve incarnarsi nei gesti, deve diventare azione, deve manifestarsi nella concretezza quotidiana. Gesù non si limita a parlare: le sue parole trovano conferma nei gesti di misericordia, di guarigione, di accoglienza. È nei suoi gesti che la Parola si fa carne, si rende autentica, si mostra come luce capace di illuminare ogni situazione umana. “A chi molto è stato dato, molto sarà richiesto”: la responsabilità di accogliere la Parola esige di lasciarla trasformare la vita, di diventare testimoni di quella luce che rischiara il mondo. Riconoscere la Parola che illumina il mondo non è un privilegio per pochi, ma una possibilità offerta a chiunque si disponga con cuore umile e sincero. Occorre accogliere il Mistero, lasciarsi “ferire” dalla sua presenza, coltivare la luce interiore che permette di discernere l’autenticità della Parola. Solo chi cerca la verità con perseveranza, chi si lascia guidare dalla “luce piccola” che cresce giorno dopo giorno, può davvero vedere il mondo trasfigurato dalla potenza della Parola.

 

venerdì 28 novembre 2025

Il Principio di realtà nell’insegnamento di Gesù

 



Osservare la realtà come via verso la fede autentica

Paolo Cugini

 

 

 

Osservate la pianta di fico e tutti gli alberi (Lc 21,29).  

È molto interessante questa indicazione di Gesù. Per risolvere un problema, manda le persone ad osservare la realtà. Così si apre la via della fede autentica, non sulle ali di illusorie fantasie, ma sull’attenta osservazione del quotidiano. Gesù, Maestro di saggezza e di concretezza, ci invita a guardare il mondo con occhi limpidi e cuore aperto, ad immergerci nella storia per scorgervi la luce del Mistero. Non è la prima volta che nel Vangelo avviene una scena simile. Quando si presentò il dilemma del tributo a Cesare, Gesù non rispose con discorsi astratti, ma chiese una moneta e invitò a osservare il volto inciso su di essa. La fede, allora, non nasce da narrazioni mitologiche o voli pindarici; il cammino che il Messia traccia è quello a contatto con la realtà, come chi cammina con i piedi ben piantati per terra.

Nel cuore della storia, c’è una luce che si rivela solo a chi osserva, a chi è attento, a chi non si lascia distrarre dai pensieri che affollano la mente. Gesù insegna non a volare nel cielo, ma a camminare sulla terra, a leggere il senso profondo della vita nel presente, nell’irriducibile pluralità dell’esistenza. La luce del Mistero si manifesta come i colori dell’arcobaleno che, insieme, formano il bianco: mille sfumature, mille storie diverse, unite in una sola presenza. È una sapienza antica, che risuona nel mondo. Giovanni, nel suo Vangelo, ci ricorda che «la luce è venuta nel mondo ma il mondo non l’ha riconosciuta». Il motivo, forse, è la distrazione, il lasciarsi catturare dai propri pensieri e non vedere la realtà che ci sta davanti.

Il cammino della luce è un percorso di apertura, di attenzione, di immersione nel presente. La vita si svela a chi sa cogliere il senso della realtà, a chi non teme la complessità e la pluralità che caratterizzano ogni giorno. La fede non è una fuga dal mondo, ma uno sguardo profondo che trasforma la realtà in rivelazione. «Nessuno può vedere la luce se non osserva la realtà», dice il profeta nel cuore della storia. In tempi di distrazione collettiva, il richiamo di Gesù è profetico: «Osserva, ascolta, vivi con attenzione». Solo chi è presente a sé stesso e al mondo può riconoscere la luce che si cela nel quotidiano, può cogliere il Mistero che trasfigura la realtà. È questa la via della fede: il miracolo di un cuore che vede, di uno sguardo che accoglie, di una vita che si lascia illuminare dalla luce che viene dall’alto, ma si rivela nella terra.

 

martedì 25 novembre 2025

Oltre la luce: il vedere profondo della coscienza

 




Paolo Cugini

 

 

Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta (Lc 21,6).

Che cosa vediamo, che cosa ci colpisce? È una domanda eterna, un sussurro che si insinua nelle profondità della nostra coscienza. C’è vedere e vedere. Gli occhi, portali del corpo umano, si lasciano affascinare dai colori, dalle luci, dalle apparenze che danzano sulla superficie del mondo. Ma questo è solo il primo livello, il velo sottile che separa il visibile dall’invisibile. C’è il vedere dei sensi, quello che si nutre della luce del sole, che illumina ogni cosa e diletta i sensi esterni. Una luce che non si può ignorare, che ci avvolge e ci guida nei meandri della quotidianità. È una luce che ci distrae, ci seduce, ci fa credere che la realtà sia ciò che appare.

Tuttavia, c’è un altro vedere, un vedere che va in profondità, che coglie una luce diversa, non esterna ma interna. Questa luce non si sa da dove venga; invade la coscienza, la trasforma, la fa vedere il senso delle cose, il fondamento di tutto. In altre parole: la realtà vera. Questa seconda luce non si coglie in modo immediato, come la luce del sole. È una luce che richiede tempo, dedizione, pazienza. Mentre la luce del sole colpisce i sensi esterni ed è impossibile non coglierla, la luce interiore esige un desiderio profondo, uno slancio che nasce dal cuore e dalla mente assetata di verità. Solo chi si incammina nel sentiero della ricerca, chi si interroga sul senso delle cose e non si accontenta delle risposte facili, può cogliere i raggi di questa luce misteriosa. È una luce che rivela il senso delle cose, del mondo, e dona pace a chi la trova.

Chi riesce a cogliere questa luce non sarà più interessato alla luce del sole, nel senso che non si lascerà abbagliare dalla luce che colpisce i sensi. Sarà libero dalla schiavitù dell’apparenza, capace di vivere in una dimensione diversa, più autentica, dove il Mistero diventa compagno di viaggio. Sono pochissime le persone che riescono a vedere la luce che viene dal Mistero, perché pochi sono i maestri che possono condurre qualcuno sul sentiero della luce vera. Questa luce non si insegna, si trasmette solo attraverso l’esempio, il silenzio, la presenza. È il dono che il Maestro offre al discepolo, ma solo se questi è pronto a ricevere.

In questo tempo di luci artificiali e di verità apparenti, la chiamata a vedere in profondità è più urgente che mai. Chi vuole davvero vivere, chi desidera abbeverarsi alla sorgente della realtà, deve cercare la luce che illumina la coscienza. E allora, come viandanti sul sentiero del Mistero, ci chiediamo ancora: che cosa vediamo, che cosa ci colpisce? La risposta è nelle profondità di chi osa cercare.

 

giovedì 20 novembre 2025

Quando il Mistero ci passa vicino

 




Una visita che sconvolge la storia

Paolo Cugini

 

 

 Non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata (Lc 19,44).

Il tempo si sospende quando il Mistero si manifesta. Ogni attimo della storia umana può essere segnato da una visita che trasforma, illumina, scuote le fondamenta stesse dell’esistenza. Gesù è il Mistero che ha abitato la nostra terra, e la sua visita non è solo un evento passato, ma un avvenimento che chiama ancora oggi ciascuno di noi. In Lui, il Mistero si è reso vicino, raggiungibile, eppure sempre al di là di ogni nostra previsione. La domanda che attraversa i secoli si rinnova: saremo pronti a riconoscere la visita del Mistero? “Ecco, ti annuncio una grande gioia”, così risuona la voce degli angeli nella notte di Betlemme. L’annuncio è sempre carico di letizia, eppure non è mai scontato. La gioia vera nasce quando il cuore si apre all’imprevisto, quando si accoglie la visita come dono e non come disturbo. Prepararsi all’incontro con il Mistero significa dilatare la propria attesa, purificare lo sguardo, rendere la casa dell’anima degna di un Ospite inaspettato e caro. L’annuncio risveglia, scuote, ma chiede di essere abbracciato con una disponibilità nuova: “Beato chi non si scandalizza di me”.

Non si nasce pronti a riconoscere il Mistero. Il cammino verso l’incontro è intessuto di gesti, parole, esempi ricevuti da chi ci precede. Padri e madri, maestri e guide sono le pietre miliari di questa preparazione: attraverso la loro testimonianza, il Mistero si fa meno estraneo, diventa familiare, pur restando sempre altro. Sono loro che insegnano ad attendere, a domandare, a non accontentarsi del già visto. L’educazione ricevuta apre la strada all’incontro, ma occorre che ciascuno completi il cammino personalmente. Non basta sapere, occorre incontrare. Il Mistero si manifesta, ma spesso resta inosservato agli occhi distratti. Riconoscere significa lasciarsi interrogare, sostare davanti a ciò che sfugge ai nostri schemi. La conoscenza che nasce dall’ascolto sincero, dalla ricerca appassionata, conduce all’incontro: “Venite e vedete”, dice il Maestro. Solo chi si mette in gioco, chi si lascia coinvolgere, arriva ad intravedere il volto del Mistero. La sequela non è imitazione sterile, ma esperienza viva che continuamente rinnova la domanda: “Chi è costui che il vento e il mare gli obbediscono?”

Il fascino della visita si svela nel percorso che ciascuno è chiamato a compiere: ascoltare la parola, seguirne i passi, testimoniarne la presenza. L’ascolto è attenzione fedele, silenzio che accoglie. La sequela è decisione coraggiosa, scelta che coinvolge la vita. La testimonianza è luce che si diffonde, energia che contagia. In questo cammino si sperimenta l’esigenza radicale del Mistero: nulla può restare come prima, tutto deve essere riorientato. Eppure, proprio qui si trova la felicità più vera, quella che non teme le tempeste. Seguire il Mistero non è percorso comodo. Il cammino spirituale affascina perché promette una pienezza che altrove non si trova; esige perché domanda la conversione quotidiana, la fedeltà nella prova, la gioia persino nella fatica. La ricerca del Mistero richiede il coraggio di volerlo davvero, di lasciarsi cambiare. La bellezza di questo viaggio è nella scoperta continua di un volto che si svela e si nasconde, che chiama e sorprende, che invita e provoca.

Gerusalemme ha visto il Mistero, ma non l’ha riconosciuto. Il pianto di Gesù sulla città è il pianto di chi ama e non viene accolto. “Non hai riconosciuto il tempo della tua visita”, ammonisce il Vangelo. Questo errore si ripete ogni volta che il cuore si chiude, che la routine soffoca la sorpresa, che la presunzione impedisce l’accoglienza. Gerusalemme diventa così specchio e monito: non lasciamo che il Mistero passi senza essere visto, non perdiamo il dono perché troppo presi da altro.

Il Mistero continua a visitare la storia, a bussare alle porte della nostra vita. La gioia dell’annuncio interpella, la necessità della preparazione responsabilizza, la bellezza del cammino affascina e scuote. Ogni incontro con il Mistero è occasione di vita nuova, di risveglio profondo. Che questa visita non sia ignorata, che il fascino e l’esigenza del cammino ci conducano oltre la paura e la pigrizia. Prepariamoci, ascoltiamo, lasciamoci coinvolgere: solo così potremo riconoscere la visita del Mistero e accogliere la gioia che trasforma il cuore e il mondo.

 

mercoledì 19 novembre 2025

La paura che uccide la vita

 




Paolo Cugini

 

Signore, ecco la tua moneta d'oro, che ho tenuto nascosta in un fazzoletto; avevo paura di te, che sei un uomo severo (Lc 19, 20-21).

C’è una paura sottile, che serpeggia silenziosa nei cuori e nelle menti, capace di spegnere i sogni prima ancora che trovino voce. È la paura che uccide la vita. Non una minaccia concreta o un pericolo reale, ma una presenza invisibile che lentamente erode la fiducia, il desiderio, la speranza. In un tempo in cui tutto sembra misurato, valutato, classificato, la paura di vivere nasce come figlia della paura di sbagliare. E così si spegne la scintilla della vita, come una candela soffocata dal vento del dubbio. Alla radice della paura di vivere, vi è la paura di sbagliare. In una società che innalza la cultura del merito a regola suprema, l’errore non è più visto come parte integrante del cammino umano, ma come una macchia indelebile sulla reputazione e sul valore personale. Il messaggio è chiaro: chi sbaglia è fuori, chi cade resta indietro. Rinchiusi in questa logica, impariamo presto a temere ogni passo falso, ad evitare ogni rischio, a non metterci mai davvero in gioco. Così, la vita diventa un terreno minato dove ogni decisione è carica d’ansia e ogni tentativo può trasformarsi in condanna.

Quando la paura prende il sopravvento, la prima vittima è il talento. Quanti doni rimangono sepolti sotto la coltre della timidezza e dell’insicurezza? Quanti sogni non trovano mai voce, soffocati dal timore del giudizio o dal rischio di fallire? Così, invece di fiorire, ci chiudiamo in noi stessi, costruendo muri che ci separano dagli altri e, soprattutto, da ciò che potremmo diventare. Non sperimentiamo, non osiamo, non viviamo. È come se un albero si rifiutasse di far nascere i suoi frutti per il timore che il vento li possa far cadere. Ma la vera tragedia non è cadere, è non aver mai provato a salire.

C’è un’antica verità che attraversa le epoche: la vita è dono. E il dono, per sua natura, chiede di essere accolto, vissuto, trasformato. Restituire il dono significa rinunciare a viverlo, significa dichiarare, magari senza parole, che non ci sentiamo degni, che non desideriamo abbastanza. È come restituire alla terra il seme, senza aver mai tentato di seminare. Dietro questa restituzione si nasconde una mancanza di desiderio profondo, una fiducia smarrita nelle possibilità della vita. Ma tradire il dono è l’offesa più grande che possiamo fare alla nostra stessa esistenza. Il desiderio è il motore silenzioso che spinge l’uomo oltre i suoi limiti. Dove c’è desiderio, c’è movimento, c’è apertura, c’è speranza. Il desiderio sano è quello che ci invita a rischiare, a esplorare, a provarci. Non nasce dall’arroganza, ma dalla consapevolezza profonda che la vita, per essere davvero vissuta, va sperimentata in tutte le sue sfumature. Rinunciare al desiderio, spegnerlo per paura di sbagliare, è come scegliere di non respirare per paura di soffocare. C’è vita anche nell’errore, c’è crescita anche nel fallimento. Forse più che altrove. Chi non sbaglia, non vive. Chi non cade, non impara. Il fallimento non è la fine, ma un passaggio, una porta aperta verso nuove possibilità. Nelle crepe dell’errore germoglia la forza di ricominciare, la saggezza di chi ha osato. Solo chi rischia conosce davvero la profondità della vita e sperimenta la gioia segreta che nasce nel rialzarsi dopo una caduta.

La paura che uccide la vita può essere vinta solo coltivando il coraggio di rischiare, la volontà di sperimentare, la fede nelle possibilità custodite in ogni giorno. Vivere pienamente non significa non sbagliare mai, ma concedersi il lusso di cercare, di desiderare, di cadere e rialzarsi. La vera morte è la rinuncia, l’apatia, il chiudersi in sé stessi. Osiamo, allora: affidiamoci al desiderio, sperimentiamo i nostri talenti, accogliamo il dono della vita. Solo così la paura diventa alleata, compagna di viaggio e non più il nostro carceriere. La vita, quella vera, spetta a chi ha il coraggio di viverla.

 

martedì 18 novembre 2025

La Libertà che svela

 




Un invito dello Spirito a lasciarsi attraversare dalla libertà di Cristo

Paolo Cugini

 

 

Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!» (Lc 19,7).

Così parla lo Spirito: Leggi il Vangelo, o uomo, e ti colpirà la grande libertà di Colui che ha camminato sulle strade di Galilea e Giudea. Egli non si ferma dinanzi all’apparenza, non si piega al vento della mentalità corrente, non si lascia ingabbiare dai giudizi degli altri. Gesù fa il bene sempre e comunque, come il sole che splende su giusti e ingiusti. La sua libertà è come acqua che rompe gli argini della convenzione e dilaga dove il cuore è assetato.

Nel cammino di Cristo, la libertà diventa segno dirompente: rompe gli schemi e scioglie le catene delle abitudini. Non è la libertà apparente di chi si adatta al vento del pensiero dominante, né quella di chi si illude di essere padrone di sé rimanendo prigioniero delle opinioni altrui. Gesù è libero nella radice più profonda dell’essere: la sua libertà non divide, ma libera, non isola, ma avvicina. Egli attraversa i confini, come l’acqua che cerca terreni assetati, senza timore di bagnare terre giudicate sterili o indegne. Proprio questa libertà scandalizza chi vive di apparenze e rassicura chi ha sete di autenticità. Sappiate questo: Gesù sa quello che fa. Egli cerca l’uomo e la donna in difficoltà, non si accontenta delle folle, ma si china sull’unico che è caduto, sull’unica che piange. Egli cammina tra i margini, lì dove la società meritocratica e perbenista non osa guardare, e chiama a sé coloro che si sentono esclusi, feriti, dimenticati. Il suo agire è contrario alle aspettative umane, scandalizza i benpensanti, turba i custodi dell’ordine prestabilito. Il mormorare del mondo è eco di una vita chiusa nella paura, fatta di convenzioni e compromessi, dove la libertà viene svenduta per una tranquillità che sa di morte nell’anima.

Con Cristo, la compassione si fa atto concreto: non si perde nelle masse, ma si raccoglie nell’unico volto, nella storia spesso ignorata da chi cerca solo la sicurezza delle regole. I suoi passi sfiorano i margini, là dove la società non osa guardare. È qui che la Sua azione diventa rivoluzionaria, perché sovverte l’ordine delle priorità: per il Vangelo, nessuno è troppo lontano, troppo sporco, troppo debole per essere amato. I gesti di Gesù sono come lampi che squarciano la notte: una provocazione profonda, uno smascheramento del fallimento di una vita asfittica, chiusa nella falsità, incapace di accogliere il vento del disvelamento. Gesù è trasparenza piena, luce vera che entra nel buio delle tenebre, e le tenebre rivelano ciò che sono davvero. Lui non teme il biasimo del mondo, perché la sua verità non cerca consenso, ma risveglio.

Ogni gesto del Maestro è un invito a uscire dalla prigione delle apparenze. Come la luce che penetra nella stanza buia, la presenza di Gesù rivela ciò che c’è davvero: non per condannare, ma per liberare. È la verità che non si adagia sui compromessi, che non teme il giudizio. In questa trasparenza c’è la sfida più grande: accettare di lasciarsi guardare, di lasciarsi smascherare, perché solo la verità salva e dona respiro. Quando il Figlio dell’Uomo entra nella casa del peccatore, accade una rivelazione: agli occhi suoi siamo tutti sulla stessa barca, figli di una stessa fragilità. Le distinzioni che ci rassicurano sono solo veli tessuti dalla nostra paura; non sono il pensiero di Dio. C’è uno sguardo che Gesù ha portato sulla terra, uno sguardo che va oltre le convenzioni, che penetra la realtà delle cose e ne coglie l’essenza, non l’apparenza. Beato chi riceve questo sguardo, perché in lui si risveglia la verità che libera.

Nel volto di Cristo, ogni uomo scopre la sua umanità, senza sconti o illusioni. Sotto lo sguardo del Figlio dell’Uomo, cadono i veli delle differenze che ci rassicurano: tutti, davanti a Lui, siamo creature fragili e preziose. La vera rivoluzione del Vangelo è questa comunanza nella fragilità, questa fraternità che non si accontenta di rassicurazioni, ma osa la verità che libera. Non temere di essere diverso, di essere giudicato dal mondo. Lascia che la luce di Cristo entri nella tua oscurità, smascheri i compromessi, sciolga le false sicurezze. Sii libero come il vento, e segui la voce del Maestro che chiama ogni uomo, ogni donna, a uscire dalla morte dell’anima e ad entrare nella vita piena. “Dove c’è lo Spirito del Signore, lì c’è libertà”.

L’invito dello Spirito è chiaro come il cielo dopo la tempesta: non temere la diversità, non lasciarti incatenare dai sussurri del mondo. Sii, piuttosto, come il vento che attraversa i confini, che non ha paura di essere giudicato, che conosce la propria origine e la propria destinazione. Lascia che la libertà vera, che non si piega alla convenienza ma obbedisce solo all’amore, sia la tua luce. Là dove abita lo Spirito, ogni catena si spezza, e la vita rinasce nella pienezza. Chi trova la libertà in Cristo trova se stesso. Così, oggi, lo Spirito ancora parla, invitando ciascuno ad accogliere la vera libertà: quella che non teme la verità, che non si appoggia sulle apparenze, che osa amare senza misura. Che sia questa la via, che sia questa la nostra profezia.

 

lunedì 17 novembre 2025

Alla sorgente della luce

 




Riflessione profetica sulla cecità interiore e il cammino verso la luce

 

Paolo Cugini

Gesù allora si fermò e ordinò che lo conducessero da lui. Quando fu vicino, gli domandò: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». Egli rispose: «Signore, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato» (Lc 18, 39-44).

C'è un male sottile che serpeggia tra le pieghe dell'anima, un'ombra che si insinua silenziosa e che, col tempo, rischia di tramutarsi in condizione permanente: la cecità della coscienza. Non è una malattia visibile, non lascia segni tangibili sulla carne, ma colpisce più in profondità, accecando la nostra capacità di vedere, di distinguere, di orientarci nel mare agitato della vita. Non si guarisce dalla cecità della coscienza restando fermi, immobili, ad aspettare che il miracolo cada dall’alto come pioggia in una notte d’estate. Non basta nemmeno implorare una guarigione, incastrati nella ripetizione di parole che non generano vero cambiamento. È necessario compiere un movimento, un’uscita consapevole dalla propria condizione di cecità, un atto di volontà che ci spinga verso la sorgente della luce. Eppure, spesso le nostre gambe tremano, il cuore esita, la mente si confonde. C’è bisogno di qualcuno che ci prenda per mano, che ci aiuti ad arrivare a chi può restituirci la vista e mostrarci la luce. Nessuno si salva da solo: la solidarietà, l’amicizia, la guida di chi ha già percorso quel sentiero diventano fari nel buio.

C’è un pericolo grave che incombe su chi indugia troppo nell’oscurità della propria condizione interiore. Quando la mente si abitua troppo a vivere nelle tenebre, si rischia di scambiarle per il proprio orizzonte naturale, di perdere la memoria stessa della luce. In quel momento, si consuma il dramma del non ritorno: l’abisso che trasforma il buio in normalità, che rende incapaci di desiderare la verità, la bellezza, la vita piena. Prolungare la permanenza nelle tenebre, lasciando che la negatività pervada ogni aspetto dell’esistenza, danneggia irreparabilmente la nostra capacità di vedere, di sperare, di osare. Siamo responsabili delle nostre oscurità, come delle nostre resurrezioni.

Nel Vangelo di Luca, il cieco lungo la strada non rimane in silenzio. Egli grida, rompe la quiete della disperazione dando voce al desiderio di luce. Quel grido è il primo atto della volontà, la scintilla che accende la possibilità di cambiamento. Non è Gesù a raggiungere il cieco, bensì il cieco che, aiutato, si avvicina al Maestro. È la volontà di uscire dalla propria zona d’ombra che apre la strada al miracolo. Non esistono miracoli o interventi improvvisi che possano risolvere ciò che ci affligge se non siamo noi, innanzitutto, a desiderare la guarigione, a compiere il passo fuori dalle nostre tenebre. Siamo noi i protagonisti dei nostri stessi danni, ma anche delle nostre resurrezioni. Nessuno può scegliere per noi: la libertà, questa terribile e meravigliosa dote, ci pone davanti alla responsabilità delle nostre scelte. L’uscita volontaria dal male è il segno di una fede viva, che non si limita a parole, ma diventa azione, movimento, cambiamento concreto. È la fede che ci salva, perché è la risposta personale al dono gratuito di amore che il Mistero ci rivela in Gesù. Non si tratta di una fede passiva, ma di una fede che attinge alla sorgente della luce e dell’amore dentro la storia, ogni volta che lo vogliamo.

La profezia che oggi risuona per ognuno di noi è un invito coraggioso: non restare immobili nella notte della coscienza, non identificare mai il buio con l’orizzonte possibile della vita. C’è una fonte di luce, di amore, di salvezza, alla quale possiamo attingere, ma solo se lo vogliamo davvero. Sta a noi iniziare il cammino, gridare, uscire, cercare la luce con tutto il cuore. Perché solo lì, sulla soglia tra ombra e chiarore, avviene il miracolo della rinascita.

 

sabato 15 novembre 2025

La Profezia della giustizia

 




Riflessioni sul Mistero che si rivela nel dinamismo dell’universo

 

Paolo Cugini

 

E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? (Lc 18, 7).

C’è luce nella giustizia, è trasparente come il mattino che si apre al mondo dopo una notte di attesa. La giustizia splende senza ombra né reticenza: anche un bambino, nella sua innocenza, sa capire se una cosa è giusta o sbagliata. Così come il cuore semplice distingue il bene dal male, il Mistero che si è rivelato nella storia si presenta con la sembianza della giustizia, e si pone sempre dalla parte di coloro che hanno subito ingiustizia. Egli ascolta il pianto degli oppressi, si fa vicino a chi è stato dimenticato, perché nel suo sguardo alberga la trasparenza della verità.

Chi si pone alla ricerca del Mistero sarà sempre protetto dalla sua Giustizia. Chi cerca con cuore sincero, troverà difesa nel sussurro silenzioso della voce eterna, che custodisce i passi di chi cammina nella verità. Perché è così importante la giustizia? Perché nell’universo vi è una presenza misteriosa che dà senso alle cose, una logica interna che si manifesta come bontà, come il filo d’oro che collega ogni respiro della vita. Questo filo è fragile ma potente, e ogni volta che, con le proprie scelte, si incrina questa logica, si entra nella sfera dell’ingiustizia. L’ingiustizia è come una crepa nell’equilibrio dell’universo, una dissonanza che riecheggia in ogni angolo del creato.

Gesù ci dice che ogni volta che questo accade, che qualcuno mette in pericolo l’equilibrio e la pace nel mondo, il Mistero interviene come giustizia. Nulla sfugge al respiro di questa logica interna: il Mistero veglia, interviene, ristabilisce ciò che è stato ferito. Chi vive cercando di cogliere il dinamismo intrinseco all’universo, chi cammina percorrendo il sentiero della giustizia, diventa parte di questa armonia profonda. L’uomo e la donna che inseguono la giustizia sono come alberi piantati lungo corsi d’acqua, le cui radici si alimentano del senso ultimo delle cose.

In questa prospettiva si comprende bene come mai l’ingiustizia assuma i connotati di un atto gravissimo contro l’equilibrio dell’universo. La persona ingiusta è come se fosse l’antagonista del Mistero, colui che si oppone al flusso vitale che regge il cosmo. Per questo il Vangelo è così duro contro ogni forma d’ingiustizia: chi rompe l’armonia mette in pericolo non solo se stesso, ma anche la trama invisibile che unisce ogni creatura.

Camminiamo, allora, sul sentiero della giustizia, che ci permette di comprendere il senso delle cose e, quindi, anche della nostra stessa vita. In ogni scelta, in ogni parola, in ogni gesto, siamo chiamati a custodire la presenza misteriosa che dà senso all’universo. Che il nostro cuore sia limpido come la luce della giustizia; che il nostro agire sia trasparente come il volto dei bambini; che la nostra ricerca del Mistero non conosca paura, perché chi cammina nella giustizia trova sempre riparo nella sua verità. Così sia.

 

venerdì 14 novembre 2025

Monito all'esistenza consapevole

 




Paolo Cugini

 

 

Mangiavano, bevevano, prendevano moglie, prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca e venne il diluvio (Lc 17,26).

Nel cammino silenzioso dell'umanità, giunge un tempo in cui è necessario interrogarsi profondamente sul senso della propria esistenza. In un'epoca di rapidi cambiamenti e di verità che sfuggono tra le dita come sabbia, si leva una voce solenne che invita a risvegliare la coscienza, a scuotere il torpore che offusca la mente e il cuore. Oggi parlo a chi ha il coraggio di ascoltare, agli adulti che cercano e agli studenti che dubitano: udite questo monito che attraversa le generazioni come un vento che sferza e invita a destarsi dal sonno dell'indifferenza. C'è un rischio sottile, spesso ignorato, che incombe su chi cammina senza pensare: quello di scivolare lentamente verso uno stato istintuale, in cui ogni gesto si riduce a mera sopravvivenza, simile a quello delle bestie prive di coscienza e di sogni. Vivere senza interrogarsi equivale a rinunciare alla propria umanità, a spegnere la scintilla che distingue l'essere umano dalla cieca ripetizione dell'abitudine. In questa condizione, i giorni scorrono uguali, privi di slanci, e l'anima si contrae, incapace di intravedere orizzonti o possibilità.

Quando la vita manca di un significato scelto e nutrito dall'interno, si perde la rotta e ci si abbandona alla corrente degli eventi. Non è la morale a parlare qui, ma la voce più antica dell'esistenza: senza un punto fermo, senza una meta che orienti il cammino, l'individuo si smarrisce nel caos delle possibilità. È come vagare in mare aperto senza stella polare, condannati a un eterno ritorno allo stesso punto, incapaci di crescere, di amare profondamente, di costruire qualcosa che abbia valore. Si celebra spesso la libertà come bene supremo, eppure esiste una libertà ingannevole che si tramuta in schiavitù. Quando si vive senza scelte consapevoli, senza la fatica del discernimento, si diventa schiavi dei propri impulsi, delle mode, degli umori passeggeri. Si crede di essere liberi, ma in realtà si è condotti da forze invisibili che guidano i passi verso la dispersione e la perdita di sé. Solo chi affronta il peso della responsabilità può assaporare la vera libertà, quella che nasce dall'autenticità e dal coraggio di dare una forma alla propria vita.

Per accorgersi davvero del mondo, per sentire il battito delle cose, occorre desiderare la vita, abbracciarla con tutto il proprio essere. È il desiderio che apre gli occhi e rende sensibili alle bellezze e alle sofferenze che ci circondano; senza di esso, si diventa ciechi, indifferenti, prigionieri di una routine che corrode dall'interno. Solo chi desidera davvero vivere può rispondere al richiamo della consapevolezza e trasformare la propria esistenza in un'opera unica e significativa. Vivere senza desiderio e senza pensiero conduce a un altro pericolo: quello dell'indifferenza, che spesso si fa complicità silenziosa con il male che abita il mondo. Quando si distolgono gli occhi dalle ingiustizie, quando si rimane spettatori passivi delle nefandezze che accadono intorno, si diventa parte del problema, involontari artefici del degrado. Troppo spesso la coscienza si risveglia solo dinanzi al dramma, quando il male ha già preso radici profonde e redimere diventa impresa ardua, a volte impossibile.

Ecco allora il monito che giunge come tuono nella notte: svegliatevi! Non lasciatevi vivere, ma prendete in mano le redini della vostra esistenza. Riorganizzate la vostra vita come chi, dopo una tempesta, ricostruisce la casa sulle fondamenta solide del pensiero e del desiderio autentico. Cercate punti di riferimento che diano senso al vostro cammino, coltivate la consapevolezza giorno dopo giorno. Non attendete che sia troppo tardi, che il dolore vi costringa a vedere ciò che ora potete scegliere di guardare con occhi nuovi. Il tempo per svegliarsi è ora. Il destino di ciascuno si scrive nell'attimo in cui si decide di vivere davvero.

 

mercoledì 12 novembre 2025

Le proporzioni del Vangelo

 





Riflessioni sulla spiritualità nell’epoca dell’egoismo

 

Paolo Cugini

 

Uno di loro… tornò indietro” (Lc 17,15).

Sono le proporzioni del Vangelo: uno a dieci. Parola misteriosa, cifra che pesa come pietra d’angolo, che regge e giudica i muri delle nostre relazioni. Chi ha orecchi per intendere, intenda: questa è la proporzione che bisogna mettere nel bilancio interiore, quando si decide di incamminarsi nella via stretta e luminosa aperta dal Vangelo. Ma non ci si abitua in fretta. Il tempo è maestro lento, la carne si ribella, il cuore si stringe e si indurisce davanti all’ingratitudine, uno degli aspetti più macabri della disumanità. Chi può dire di essere preparato, chi può dirsi di non vacillare davanti al gelo del rifiuto? La grazia costa fatica e sudore.

Eppure, la disumanità dilaga come nebbia d’autunno: è l’egoismo il combustibile che alimenta le città e i villaggi, la linfa che serpeggia tra le pieghe dei rapporti. Non si fa nulla gratuitamente, il gesto gratuito appare una follia, un lusso da anime ingenue. Tutto è scambio, tutto è calcolo. Chi vuole sopravvivere a questa tempesta di ghiaccio, chi non vuole essere inghiottito dalle maglie strette dell’egoismo, deve armarsi di grande spiritualità. Bisogna imparare l’arte del silenzio, trascorrere lunghe ore ascoltando la voce del Mistero che abita le profondità dell’anima. Solo così si scorge la luce che il mondo non può dare né spegnere, solo così ci si può alzare sereni all’alba per uscire e seguire la luce.

Ma attenzione: chi prende troppo sul serio le provocazioni dell’ingratitudine quotidiana rischia di perdere sé stesso. Il pericolo è reale: la stima di sé evapora, la volontà si annulla, il cuore precipita nella depressione. È una trappola sottile, una tela di ragno che stringe senza far rumore. Come fa Gesù a convivere in questo clima disumano? Ecco il mistero della sua forza: Egli vive immerso nel Mistero del Padre, ha piena coscienza di sé, non chiede all’umanità ciò che solo l’amore può dare. Chi vive così, nella pienezza dell’Amore autentico, non ha bisogno della valutazione degli altri, non si lascia scalfire dall’odio del mondo, non teme nemmeno la croce che lo attende.

Là dove l’amore del Mistero regna, la violenza dell’odio, l’indifferenza disumana, l’ingratitudine ingenerosa non hanno alcun potere. Chi si lascia avvolgere da questa presenza, chi si nutre di questa luce, può attraversare indenne la notte del mondo e, come il chicco di grano, portare frutto a suo tempo.

Questa è la profezia per i giorni nostri: la proporzione del Vangelo è la misura che salva, la via che libera, la luce che non si spegne. Non si vive di solo pane e, in fondo, non ci si salva da soli. Ma chi sa ascoltare il Mistero, anche nell’epoca dell’egoismo, conoscerà la vera libertà e la gioia che nessuno potrà mai togliere.