martedì 2 settembre 2025

LA PAROLA CHE SANA

 




Paolo Cugini


Che parola è mai questa, che comanda con autorità e potenza agli spiriti impuri ed essi se ne vanno? (Lc 4,36).

C’è una parola che cura l’anima: questo è il senso del brano. Come avviene questo processo di cura? C’è una presenza, quella di Gesù, che con la sua parola provoca e scuote il male presente nelle persone. Lo spirito impuro è tutto ciò che dentro di noi resiste al bene e si sente attratto da cammini di morte. C’è una parola che risvegli il senso originario della vita autentica, perché esce da un uomo, Gesù, nel cui stile di vita si vedono i segni della vittoria sulla morte. Per questo la sua parola è percepita come autentica, perché ciò che diceva e insegnava como leader religioso, non erano semplicemente precetti da obbedire, come facevano i capi religiosi del popolo d’Israele, ma insegnamenti che provenivano da un vissuto. C’è un male nel mondo e dentro di noi; c’è uno spirito impuro che non ci permette di vivere in modo autentico, perché prende il sopravvento sui nostri istinti, che ci fanno agire in modo immediato, senza riflessione e, spesso, l’istinto ci porta su cammini violenti, di possesso, di egoismo.

Gesù è l’uomo del silenzio, colui che viene dal deserto e continuamente cerca spazi di silenzio nella usa giornata. Gesù è l’uomo della preghiera, della meditazione, è colui cioè, che si prende il tempo per riflettere sulle proprie decisioni, sulle situazioni vissute e le vive alla luce della sua relazione con il Padre. Forse è per questo che la sua Parola sembra venire da altrove ed incide così profondamente nelle coscienze che l’accolgono. 

lunedì 1 settembre 2025

PORTARE AI POVERI IL LIETO ANNUNCIO


 



Paolo Cugini


«Lo Spirito del Signore è sopra di me;
per questo mi ha consacrato con l’unzione
e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, 
a proclamare ai prigionieri la liberazione
e ai ciechi la vista;
a rimettere in libertà gli oppressi,
a proclamare l’anno di grazia del Signore».
Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato»
(Lc 4,16s).

Come fa, un uomo come Gesù, dal suo spessore spirituale e culturale, identificarsi con un simile progetto? Quanta forza c’è nel percepire che la nostra grandezza non è determinata da titoli, soldi, potere, ma dal modo in cui ci doniamo, soprattutto nella relazione con i più poveri? Per vincere la pressione che la pressione della proposta del mondo esercita implicitamente e anche consapevolmente nella nostra coscienza, occorre essere arrivati ad un punto coscienza di sé così grande da essere un’alternativa. È possibile essere persone differenti, indipendentemente dai soldi e dai ruoli sociali: è questo il messaggio rivoluzionario di Gesù.

 C’è un cammino che può essere realizzato, che ci conduce in una dimensione nuova, una consapevolezza autentica di sé stessi, perché non la fa dipendere da cause esterne, ma dalla ricchezza che troviamo in noi stessi. Questa è la grande sfida, la cui proposta si trova nel Vangelo, che diventa proposta possibile per me oggi grazie all’azione dello Spirito Santo, che lavora interiormente per mostrarci la verità di ciò che leggiamo nel Vangelo.

 

sabato 30 agosto 2025

HO AVUTO PAURA

 




Paolo Cugini

 

Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo” (Mt 25, 14s).

 

Il centro di tutta la parabola dei talenti è questo versetto. Non a caso la parabola è rivolta ai discepoli, a coloro che ascoltano la parola del Signore, lo conoscono, convivono con lui, condividono i pasti con lui. La conoscenza del Signore e della sua Parola non serve per essere archiviata, ma vissuta. Perché uno deve aver paura della parola ascoltata? Perché contiene una proposta che esige il cambiamento, la conversione, il deporre i propri progetti. La Parola è una semente di eternità, come ci ricorda l’apostolo Pietro che trasforma la morte in vita, il deserto in torrenti d’acqua. È possibile ascoltare questa Parola, partecipare al banchetto del Signore, ma con la paura nel cuore di stravolgere i propri piani. E allora si entra nel cammino di fede come se fosse una religione, in cui c’è posto per tutto: per me e per Dio.

C’è un principio di trasformazione vitale e radicale che è entrato dentro la storia con Gesù che si realizza nella vita di coloro che l’accolgono. Ci vuole il coraggio per fare spazio alla vita proposta da Gesù: solo così si riesce a scoprire la verità della proposta contenuta nella Parola.

È la paura di perdere sé stessi, i propri sogni e progetti, che non permette alla Parola ascoltata di entrare e produrre frutti.  

mercoledì 6 agosto 2025

OPPRESSI DAL SONNO

 




Paolo Cugini


Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui (lc 9,30). 

In quel sonno di Petro e i suoi compagni c’è molto di più di una stanchezza fisica. È, infatti, un sonno che dice di una incomprensione, una difficoltà a comprendere le scelte del Maestro, le sue parole, i suoi gesti. Gesù sta conducendo i suoi discepoli e le sue discepole all’interno della nuova realtà del Regno di Dio, i cui criteri si trovano agli antipodi dei criteri assimilati dai discepoli e discepole sin dall’infanzia. Anche la salita al monte è molto di più di una salita fisica: rivela, infatti, una salita contemplativa. Passare dal piano materiale al piano spirituale, non è facile, perché mette in moto dinamismi ai quali solitamente, nella vita quotidiana, non accediamo. Gesù chiama tre dei suoi discepoli e, attraverso questa salita al monte, vuole aiutarli a scoprire la dimensione interiore delle cose, della realtà, quella dimensione che permette di vedere il mondo con occhi diversi, gli occhi del cuore, gli occhi della vita interiore, in altre parole, gli occhi di Gesù. È un passaggio che crea confusione, stanchezza, difficoltà a mettere ben a fuoco quello che sta avvenendo. 

C’è dunque, un sonno che ci opprime tutte le volte che tentiamo di entrare dentro la nuova dimensione proposta nel Vangelo da Gesù. Per questo il Maestro esige dai suoi discepoli e discepole scelte radicali, che dicono di una rottura definitiva con il passato, con il modo di vedere ereditato dal mondo. Chi riesce a compiere queste scelte entra nella dimensione del Vangelo e abbandona i vecchi paradigmi. Paolo, nella lettera ai filippesi, esprime la fatica e, allo stesso tempo, la gioia di questo cammino dichiarando che considera il suo passato come spazzatura, 

Pietro, Giacomo e Giovanni saliti sul monte dietro al Maestro non hanno ancora compiuto questo salto radicale e, per questo, sono oppressi dal sonno: non ci stanno capendo nulla. 

giovedì 12 giugno 2025

LA SAPIENZA GIOCA DAVANTI AL PADRE CHE E' ANCHE MADRE

 




SOLENNITA’ DELLA SANTISSIMA TRINITA’


 

Pro 8, 22-31; Sal 8; Rm 5, 1-5; Gv 16, 12-15

 

Paolo Cugini

 

La solennità della Santissima Trinità ci conduce all’interno del Mistero di Dio. Un Mistero grande che, sin dai primi secoli, la Chiesa ha cercato di spiegare, di comprendere, facendo aiutare anche dalla cultura del tempo, la filosofia greca. Quello che ne è venuto fuori è un insieme di definizioni non sempre di facile comprensione e, senza dubbio, l’omelia non è il luogo in cui addentrarsi in questo meandro di reticoli concettuali. Ci affidiamo, dunque, alla Parola del giorno.

quando disponeva le fondamenta della terra,
io ero con lui come artefice
ed ero la sua delizia ogni giorno:
giocavo davanti a lui in ogni istante,
giocavo sul globo terrestre
(Proverbi 8,30).

Affidarsi alla Parola significa credere che, all’interno di discorsi che provengono anche dalla cultura di un popolo e di un’epoca, c’è anche un soffio misterioso, divino, un contenuto che rimanda a qualcosa d’altro, che non può essere racchiuso nel semplice dato umano. C’è un di più che, se ascoltato, rivela contenuti che smontano le nostre costruzioni concettuali o devozionali su Dio che, con il tempo, formano pregiudizi, concetti indistruttibili. Che cosa ci dice, dunque, la Parola sul mistero di Dio? La pagina del libro dei proverbi che abbiamo ascoltato ci rivela che all’inizio di tutto non c’è un peccato, uno sbaglio, come sosteneva Agostino quando parlava di peccato originale, ma un gioco. “giocavo davanti a lui in ogni istante, giocavo sul globo terrestre”. All’inizio di tutto c’è lo sguardo sorridente di Dio Padre e Madre verso la figlia, bambina (la sapienza è al femminile), che gioca. All’origine di tutto c’è un gioco, un sorriso di vertente, che sgorga dalla relazione gioiosa del Padre-Madre con la figlia, che di nome fa Sapienza che, come ci ricorda il versetto iniziale del capitolo 8 del libro dei Proverbi, è stata creata dal Signore come inizio della sua attività. Nel cammino di fede il Mistero si rivela nel gioco: ama guardarci mentre giochiamo. È nel gioco che si sprigiona la Sapienza che viene dal Mistero.

La Sapienza che viene dal Mistero gioca davanti a Lui: che cosa significa questo giocare? Non è un caso che nel Vangelo di Giovanni, la vita pubblica di Gesù si apre con una festa di nozze, realizzando in questo modo la profezia di Isaia 24-27. Il Vangelo è gioia, festa. L’idea di gioco, infatti, espressa dal bellissimo passaggio del capitolo 8 del libro dei proverbi, apre la porta ad una serie di significati che solitamente vengono lasciati fuori dai discorsi religiosi. Il gioco significa allegria, gioia, creatività, passione, piacere, libertà, amicizia. Situazioni esistenziali che segnano profondamente la vita quotidiana della gente, ma che la religione non considera tali, perché troppo abituata a chiudersi in sé stessa e ad identificarsi con una parvenza di serietà posticcia, ipocrita. Diceva il teologo protestante Bonhoeffer nel bellissimo libro Resistenza e resa, che bisogna imparare a riconoscere Dio non solo nelle situazioni di sofferenza, dolore, malattia, come siamo abituati a fare, ma anche e soprattutto, nelle situazioni in cui la vita si manifesta come gioia, nell’arte, ad esempio, in una bella musica o, perché no, in una festa tra amici.

Vengono in mente le scene del Vangelo in cui ci sono i bambini che giocano davanti a Gesù e i discepoli, infastiditi, li vogliono scacciare via. Non solo. Gesù gioca con le nostre dottrine. Abbraccia i lebbrosi pur sapendo della legge sull’impurità, che non permetteva agli impuri, come i lebbrosi, di accostarsi al tempio che, da un punto di vista semplicemente logico, è assurdo. Lo stesso si può dire nel caso in cui Gesù tocca la donna che da 14 anni aveva un’emorragia. Anche in questo caso, chi tocca una donna che perde sangue e che, per questo, diventa impura, lui stesso è impuro. Gesù gioca con le nostre dottrine rigide, che ci rendo persone rigide e, spesso, disumani. Ancora. Gesù gioca spesso e volentieri con il perno delle leggi della Torà, la legge per eccellenza, che regge tutte le altre: il sabato. Sembra farlo apposta, ma spesso e volentieri Gesù compie miracoli nel giorno in cui è proibito fare qualsiasi cosa, al punto che un capo fariseo gli chiede se non poteva far quel miracolo un altro giorno. Gesù, invece, compie i miracoli proprio nel giorno di sabato per giocare con la nostra rigidità, con le nostre tradizioni umane, che abbiamo avuto la sfrontatezza di scambiarle, metterle al posto della Parola di Dio (Mc 7,2s).

La Santissima Trinità ci prende oggi per mano per farci giocare, per fare un girotondo, per scrollarci di dosso l’apparente serietà dottrinaria, che ci fa essere persone cupe, rigide, per entrare nel cammino dell’umanizzazione, che non è fatta solo di ragione, ma anche di passione, sentimenti. Entrando in questo gioco nel quale il Mistero della Trinità ci invita ad entrare, sarà più facile cogliere i segni della sua presenza e, in questo modo, abbandonare le fantasie religiose per lasciarci abbracciare dalla realtà di vita che Lui ci dona.

 

mercoledì 4 giugno 2025

UNA DONNA DI NOME DAMARIS (At 17,36)

 



 

Paolo Cugini

Dàmaris è una donna citata alla fin della narrazione della predicazione di Paolo ad Atene. È una predicazione che rappresenta un’ottima testimonianza della capacità di Paolo di inculturare il Vangelo nei più svariati contesti culturali. In questo caso Paolo si trova ad Atene, la patria della filosofia, culla della cultura occidentale e, per questo nella sua predicazione inizia citando autori della cultura locale. È un ottimo esempio di inculturazione: l’annuncio in un contesto culturale nuovo esige un aggancio per attirare l’attenzione I

n ogni modo, come sappiamo dalla narrazione, Ad Atene Paolo ebbe scarso successo eccetto il caso di alcune persone che abbracciarono la fede e, tra queste, una donna de nome Dàmaris. Un piccolo accenno che, però, apre varchi enormi. Là dove il mondo si chiude dinanzi alla predicazione del Vangelo, lo stesso Vangelo trova spazio nel cuore di coloro che nella società non valevano nulla: le donne. Questo picco accenno, dunque, di un nome di donna, Dàmaris, che aderisce alla fede e diviene credente, è l’indicazione della rivoluzione culturale e sociale che il piccolo seme del Vangelo sta producendo.

Basta solamente lanciarlo, che primo o poi, in modo insperato e in luoghi impossibili per il mondo, viene accolto e produce frutti sconvolgenti. La donna di nome Dàmaris è lo spazio teologico in cui avviene l’impossibile. Sono questi i miracoli del Vangelo, che apre nuovi orizzonti, squarcia i cieli ed entra una nuova luce.

 

martedì 27 maggio 2025

UNA DONNA DI NOME LIDIA

 



Paolo Cugini

 

Ad ascoltare c'era anche una donna di nome Lidia, commerciante di porpora, della città di Tiàtira, una credente in Dio, e il Signore le aprì il cuore per aderire alle parole di Paolo (At 16,13).

Il mistero delle donne nella Bibbia. In questo caso Lidia, che rimane toccata dalle parole di Paolo, dalla sua testimonianza. La Parola che fa brecci in un cuore attento, desideroso di verità. La Parola che non s’importa della cultura patriarcale, che vorrebbe le donne chiuse in casa, ma entra dove trova spazio. La Parola entra dove vuole e come vuole, entra dove incontra spazio, entra dove viene accolta con libertà. La Parola esige libertà, docilità. Non sono criteri culturali che decidono, ma solo la disponibilità dell’anima. Lidia, in questo brano, è il simbolo della libertà che fa spazio alla Parola, sena pregiudizi culturali, o preconcetti. C’è tutta una critica al paradigma patriarcale in vari testi del Nuovo Testamento che non è tematizzata, ma è implicita e, per questo, colpisce di più. Basta un nome, Lidia, per aprire varchi culturali nuovi, che si spingono oltre ogni tipo d’immaginazione. Lidia, che con semplicità accoglie la Parola di Gesù, distrugge ogni tipo di preconcetto maschilista e misogino. La Parola di Dio è libera es esige libertà, entra nei cuori aperti, apre orizzonti nuovi. Lidia è la gande testimone della libertà del Mistero che si è manifestato in Gesù. È di Lidia che abbiamo bisogno per ricostruire i percorsi spirituali infangati dalla cultura patriarcale ed entrare in sentieri nuovi, i sentieri della libertà. 

lunedì 14 aprile 2025

La canna Incrinata (lunedì santo)

 



Paolo Cugini

Non griderà né alzerà il tono,

non farà udire in piazza la sua voce,

non spezzerà una canna incrinata,

non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta (Is 42,2).

Lo stile del Servo de Jahvé annunciato da Isaia è lo stesso che s’intravede nella vita di Gesù. Ha portato, infatti il diritto e la giustizia alle nazioni non scegliendo i punti importanti dal punto di vista del mondo, come palazzi, castelli, ma quelli che contano dal punto di vista del Mistero. E così, lo troviamo annunciare il Regno di Dio per le strade della Galilea, sulle rive del Lago, nei piccoli paesini come Cafarnao. Lo troviamo nelle case dei pubblicani e peccatori, ma anche dei farisei come Simone. Gesù propone il Regno di Dio non con argomenti astratti, ma con parabole, con parole alla portata di tutti e tutte. E poi si ferma per spiegare, affinché il messaggio possa essere compreso. 

Gesù ha annunciato il diritto alle Nazioni con la sua stessa vita, condividendo la situazione d’indigenza del popolo, schierandosi sempre dalla parte di color che erano perseguitati, allontanati dalla comunità, come i lebbrosi, considerati impuri come la donna che perdeva sangue. Gesù ci ha mostrato che il diritto, la giustizia non son concetti che vanno insegnati dalla cattedra, ma modi di essere al mondo che vanno condivisi. Gesù è entrato a contatto con un’umanità molto fragile e stanca dei soprusi dei potenti, un’umanità incrinata e Lui con delicatezza l’ha raddrizzata. È venuto a porre una mano per proteggere dal vento quella parte di umanità che era come uno stoppino dalla fiamma smorta. Dove c’era sofferenza e dolore, Gesù ha portato il balsamo del suo amore. 

È proprio su questo metodo che vale la pena riflettere, per tentare di cambiare le dinamiche di aggressività che dominano le nostre relazioni, in uno stile di vita segnato dalla mansuetudine e dall’attenzione all’altro per andare incontro all’umanità stanca e sofferente, con delicatezza. 


giovedì 10 aprile 2025

DOMENICA X/C DEL TEMPO COMUNE

 




1 Re 17,17-24; Ps 29; Gal 1,11-19; Lc 7,11-17


Paolo Cugini

1. Dopo le tante domeniche solenni che abbiamo celebrato in questi ultimi mesi del periodo di Pasqua e Pentecoste, la liturgia ritorna al Tempo Comune e ci rimarrà per alcuni mesi, sino al Tempo d’ Avvento che avverrà alla fine di novembre. In questo Tempo Comune avremo l’opportunità di riflettere sui temi significativi del nostro camminare quotidiano, scoprendo i significati che la Parola di Dio dà ai contenuti sui quali lavoriamo giorno dopo giorno. In questa domenica, che é la decima del tempo comune, tempo che era iniziato subito dopo il tempo di Natale, il tema che ci viene proposto é quello della vita. Sia la prima lettura che il Vangelo ci parlano della resurrezione di una persona giovane. Nella prima lettura si parla della resurrezione di un bambino, mentre nel Vangelo é narrata la risurrezione di un ragazzo. In tutti i due i casi un giovane morto viene restituito vivo alla propria madre. La domanda che potremmo rivolgerci é questa: che insegnamento riceviamo da queste narrazioni di risurrezione?

2. Un morto dal punto di vista spirituale potremmo indicarlo come colui che ha rotto il proprio legame con la vita e, siccome la vita viene da Dio, é morto colui che non vive in Dio, che ha tagliato il proprio legame con Dio. In entrambe le narrazioni sono le madri le protagoniste dell’intervento divino. Nel primo caso la madre si arrabbia con il profeta per la morte del proprio bambino, quasi colpevolizzando Elia per l’accaduto. Elia entra in azione con una preghiera con la quale chiede l’intervento di Dio. É la preghiera del profeta, dell’uomo di Dio che é ascoltato dal Padre. Affinché la preghiera sia ascoltata e la morte si trasformi in vita bisogna essere profeti, uomini e donne di Dio, persone che hanno fatto della propria vita un dono al Signore, qualsiasi sia la vocazione. Per fare ció dovremmo prendere sempre più seriamente il nostro battesimo, viverlo come un dono, trasformando la nostra vita in dono. La preghiera di Elia é la preghiera di un uomo che ha fatto della propria vita un totale servizio al Signore. 

 3. Nel Vangelo é Gesù che sente compassione per la madre vedova che perde l’unico figlio ed entra decisamente in azione. É la situazione che provoca l’entrata di Dio nella storia. Il Dio che si é rivelato nella persona di Gesù Cristo non sopporta la sofferenza dei piccoli, dei poveri, degli oppressi. E infatti che cosa  c’é di più piccolo, povero e disperato di una madre vedova che ha perso il suo unico figlio? É in questo Dio che crediamo, nel Dio che ascolta il grido dei sui piccoli ed entra nella storia degli uomini e delle donne per dare vita, per trasformare situazioni di morte in vita. 

4. “Ragazzo, dico a te, alzati!”. Mi ha fatto impressione questa espressione di Gesù. Oggi incontriamo molti giovani morti nel significato sopra accennato e cioè senza Dio. Quanti giovani vivono oggi senza nessun riferimento al Vangelo, alla proposta di Gesù, nell’illusione di poter vivere senza di Lui! Eppure da sempre la maggior parte dei giovani che incontriamo sono passati dalle nostre sale di catechismo. E allora perché se ne sono andati? Perché oggi vivono come se Dio non esistesse, pur avendolo conosciuto, por avendo ascoltato per molto tempo la sua Parola? Come potrebbe la Chiesa oggi dirigere le parole di Gesù ai giovani che incontra “morti” sul proprio cammino?

5. “Tutti furono presi da timore e glorificavano Do”. Il mondo riconosce la presenza di Dio nella storia quando avviene una trasformazione, un passaggio dalla morte alla vita. Glorificare Dio significa credere in Lui. Il prodigio provoca la fede del mondo. La Chiesa é chiamata a compiere questo prodigio per aiutare il mondo a credere in Dio, ma come può fare ciò?

Sono due le indicazioni che ci sono state consegnate dalle letture. La prima é che solamente una Chiesa profetica, e cioè una Chiesa che vive e si alimenta del Signore é in grado di rivolgere al Padre una preghiera di supplica. La Bibbia c’insegna che Dio Padre ascolta sempre la preghiera dei suoi servi e serve. Se ci premono i giovani e la loro vita dovremmo convertirci una volta per tutte al Signore, uscire dai nostri egoismi e metterci al Servizio del Signore. La morte spirituale dei giovani deve provocare la nostra conversione. 

La seconda indicazione la troviamo nel Vangelo. Gesù tocca la bara. Fino a quando la nostra disperazione si ferma alle parole dette e scritte non succederà nulla nell’ottica della fede. Bisogna toccare la bara! Fino a quando il padre di famiglia va al bar o non smette di lavorare e non trova mai il tempo  per parlare con il proprio figlio/a, continua a costruire lentamente la sua bara. Sino a quando la madre si preoccupa solamente dei vestiti e dell’esterno e non prova mai ad abbozzare un minimo dialogo sui problemi dei propri figli, sta semplicemente martellando i chiodi delle loro bare. Bisogna avere l’umiltà di sentire la puzza di morte che esce dalla bara. Bisogna che un giorno arriviamo ad avere il coraggio di prendere il martello per togliere i chiodi alla bara, di fermare il corteo di gente che sta portando tanti giovani al cimitero della vita. E poi c’é la Chiesa, la comunità di cristiani che deve poter toccare le bare dei giovani che incontra, non facendo la corsa con il mondo e cioè, non offrendo in un modo più masticato e ripulito quello che il mondo già offre, ma avendo il coraggio di proporre quello che é chiamata a proporre: Gesù Cristo. Una Chiesa creativa che pensa al modo per poter parlare de Gesù ai giovani, senza provocare sensazioni di disagio, ma di fame di Dio. Per fare questo la Chiesa dovrebbe avere il coraggio di abbandonare una volta per tutte la logica mondana di offrire la proposta del Vangelo come se fosse obbligatoria, come una proposta scolastica che deve essere fatta. Quando la Chiesa avrà il coraggio di presentare ai giovani il Vangelo di Gesù per quello che é e cioè, una proposta di vita che esige un’adesione personale libera e non un obbligo o un’imposizione,  forse in questo modo potrà trovare la forza per dire ai giovani che incontra: ragazzo/a, dico a te: alzati!


venerdì 28 marzo 2025

PREPARATE LE PAROLE

 



Preparate le parole da dire e tornate al Signore (Os 14,3). 

Preparare le parole significa un invito ad una riflessione che viene dopo una presa di coscienza di un cammino intrapreso che non è andato nella direzione giusta. Trovare le parole che possano esprimere sentimenti, stati d’animo di una situazione che ha complicato la vita, ma che, allo stesso tempo, si è trasformata in nuova possibilità. Preparare la Parole per raccontare non solo un cammino sbagliato, ma anche il proposito di cose nuove. 

Questo è uno dei significati profondi della richiesta di perdono: mentre ci rendiamo conto dell’errore commesso, allo stesso tempo abbiamo capito per dove avremmo dovuto andare. Nella richiesta di perdono, nella ricerca di parole di riconciliazione c’è la presa di coscienza di sapere finalmente dove andare, che strada percorrere, per quale cammino immettersi. È questo uno degli aspetti più affascinanti del cammino cristiano: non si è mai persi definitivamente, ma c’è sempre una possibilità. Per questo Gesù nel Vangelo ripeteva di perdonare sempre, che tradotto significa: non chiudiamo la strada a nessuno; non permettiamo che qualcuno si avvilisca a causa della durezza del nostro cuore. 

Nessuno è così marcio da non avere nel fondo del proprio intimo un barlume di luce per ripartire. Non chiudiamo con la durezza del nostro cuore la strada del ritorno a chi ci chiede scuda. E allora, prepariamo le parole da dire per tornare al Signore.